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mercoledì 25 maggio 2011
Maurizio Crozza. Copertina Ballarò del 24 maggio 2011
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giovedì 19 maggio 2011
Secondo tempo, l'ora delle rimonte impossibili
Da Alemanno su Rutelli a Guazzaloca nella "rossa" Bologna
FABIO MARTINI
ROMA
Quella notte, nella sua villa dell’Eur, Francesco Rutelli si addormentò con un filo d’ansia nel cuore. Era lunedì 13 aprile del 2008 e al primo turno il candidato sindaco del centrosinistra a Roma aveva ottenuto il 45,8% dei voti, contro il 40,7% di Gianni Alemanno, un vantaggio sostanzioso in vista del secondo turno. Ma Rutelli confidò la sua inquietudine: «Guai sedersi sugli allori, ripartiamo ventre a terra». Pubblicamente, per rassicurare i suoi elettori, l’ex sindaco ri-candidato disse: «Abbiamo 84.000 voti in più, una città di vantaggio o, se volete, lo stadio Olimpico, quando i posti non erano numerati...». Due settimane più tardi, lo stadio si svuotò e ad Alemanno riuscì un sorpasso da primato: eletto al secondo turno con 106.000 voti in più dello sfidante. Non è l’unica “rimonta impossibile” nella storia dei doppi turni, un francesismo in vigore in Italia dal 1993 nei Comuni e dal 1995 nelle Province. Certo, quasi sempre chi vince al primo turno, bissa il primato anche al secondo, ma quando si determinano condizioni particolari si possono produrre spettacolari sorpassi.
Difficile prevedere se anche Letizia Moratti possa replicare questi exploit, ma certo esistono precedenti con divari ancora più cospicui di quello che dovrebbe colmare il sindaco di Milano. Il 23 aprile del 1995 a Roma si vota per eleggere il nuovo presidente della Provincia e il candidato della destra, il rautiano Silvano Moffa (oggi uno dei capi dei Responsabili) incassa un corposo 48%, con un vantaggio di ben 11 punti sul rivale, il ds Giorgio Fregosi, fermo al 37,6%. Vittoria in tasca e invece, due settimane più tardi, il cinquantasettenne Fregosi (un cursus honorum da assessore provinciale, quasi sconosciuto al “grande pubblico”), riesce a sorpassare Moffa, uno dei più noti dirigenti missini romani, con uno scarto di 43.000 voti. Che era successo? Come tutti i miracoli umani, anche quello di Fregosi, aveva una spiegazione razionale: «Oltre alla convergenza di Rifondazione, lo scatto che portò alla clamorosa rimonta ricorda Roberto Morassut, oggi deputato pd, allora tra i leader del Pds romano - si determinò nelle stesse ore della prima sconfitta: quello stesso giorno, Piero Badaloni era stato eletto presidente della Regione e quella vittoria inattesa galvanizzò l’elettorato e trascinò il sorpasso di Fregosi. Paradossalmente uno stato d’animo di segno opposto, soltanto tre anni più tardi ribaltò tutto». Per una sorta di nemesi, nel 1998 fu un sentimento opposto - la depressione dell’elettorato progressista - ad aiutare la rivincita di Moffa. Al primo turno la pidiessina Pasqualina Napoletano era andata in testa col 48,6%, ma al secondo lo scombussolamento dell’elettorato per la caduta del governo Prodi, vittima della famosa “congiura”, tenne lontani molti elettori di sinistra e Moffa prevalse 50,9% contro il 49,1%. Ma tra tutte le rimonte, una portò ad un evento storico ed è quella firmata da Giorgio Guazzaloca a Bologna. Il 13 giugno, nella roccaforte rossa, per 50 anni la vetrina del comunismo democratico, al primo turno l’ex macellaio arrivò secondo, con un sorprendente 41,5% ma pur sempre con cinque punti in meno di Silvia Bartolini, la “rossa”, che sembrava destinata a diventare l’ennesimo sindaco di sinistra in una città che in tutto il dopoguerra, da Dozza in poi, aveva avuto soltanto leadership comuniste. Personaggio di forte personalità, capace di gesti coraggiosi (senza farlo sapere in giro, Guazzaloca fece nascondere in uno scantinato i manifesti di sostegno fatti stampare da Berlusconi), al secondo turno l’ex macellaio guadagnò nove punti percentuali e vinse col 50,7%.
Sono diventati proverbiali invece i due sorpassi a Torino di Valentino Castellani, il professore del Politecnico che nel 1993 affrontò in un singolare ballottaggio, tutto di sinistra, un personaggio carismatico della sinistra torinese, Diego Novelli. E se in quel duello a Castellani giovò essere il più moderato, quattro anni più tardi, il sorpasso su Raffaele Costa gli valse il soprannome dell’Avvocato Agnelli: «Il cavallo che rimonta». E quanto al più recente dei sorpassi, quello di Alemanno su Rutelli - oltre agli handicap legati al ritorno in campo di un ex sindaco che nel frattempo aveva cambiato identità politica - anche in quella occasione fu un evento emotivo a rimescolare le carte del primo turno: la violenta aggressione di una studentessa africana, uno stupro che seguiva quello di alcuni mesi prima (e finito con la morte della vittima) ai danni di Giovanna Reggiani. Un clima che aiutò il rush finale del candidato della destra romana.
(fonte: La Stampa)
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NON ESISTONO RIMONTE IMPOSSIBILI
Non esistono rimonte impossibili di GIAN ANTONIO STELLA
Prudenza: ricordate Yatabaré...», «p dovrebbe essere il monito di Giuliano Pisapia ai suoi elettori. «Forza! Ricordate Yatabaré!», dovrebbe essere l`incitamento di Letizia Moratti ai suoi.
Perché quel nome, da solo, dovrebbe ricordare che una partita, fino all`ultimo istante, non è mai vinta e non è mai, persa.
Era il gennaio dell`anno scorso e a ii minuti dalla fine l`Angola stava stracciando il Mali nella partita inaugurale della coppa d`Africa 4-0. Poi, convinti d`avere la partita in cassaforte, gli angolani cominciarono a far festa. E la festa gliela fecero gli avversari: quattro gol in un quarto d`ora, recupero compreso.
Col cesello finale, appunto, di Sambou Yatabaré. La storia dello sport è piena di vittorie buttate via per eccesso di sicurezza, baldanza, euforia.
Basti pensare a quanto accadde il 18 luglio 1930 a Parigi, alla finale Interzone di Davis, tra Stati Uniti e Italia. Giorgio De Stefani liquidò liscio liscio l`americano Wilmer Allison nei primi due set e pensò che fosse fatta. Un rilassamento fatale.
Arrivò a sprecare, uno dopo l`altro fino a farsi prendere dall`angoscia, 17 match-points: diciassette! Non è mai finita, se davanti hai qualcuno che non vuole perdere. Lo scoprirono i cestisti della nazionale jugoslava che persero ai mondiali di Madrid nel 1986 dopo essersi trovati avanti di 9 punti sullo squadrone sovietico a 45 secondi dalla fine. Lo accertò il francese Jacques Marinelli che al Tour de France del `49 si ritrovò a Saint-Malo con 36 minuti e 55 secondi di vantaggio su Fausto Coppi in crisi nera e alla fine lo vide trionfare, dopo una impressionante rimonta nelle tappe di montagna, con quasi 11 minuti su Gino Bartali. Il quale, l`anno prima, aveva compiuto la stessa impresa: staccato di 21 minuti e mezzo da Louison Bobet a 9 tappe dalla fine, Ginettaccio aveva ribaltato la classifica demolendo il rivale con tre attacchi micidiali che lo avevano portato a trionfare sugli Champs Elisées mandando in delirio l`Italia sconvolta dall`attentato a Palmiro Togliatti.
Ma soprattutto lo sanno i tifosi di calcio italiani. Che hanno visto scudetti già vinti buttati via dall`Inter in quel famoso 5 maggio della batosta all`Olimpico con la Lazio.
Dalla Juventus, impantanatasi nell`ultima partita sotto un diluvio a Perugia dopo avere sprecato nove punti di vantaggio (e allora le vittorie di punti ne valevano due e non tre) a otto giornate dalla fine. Dal Milan, scavalcato all`ultimo istante dalla Juventus (indimenticabile Sandro Ciotti dalle radioline: «Cuccureddu! Cuccureddu! Ed è.goal!!») nella «fatal Verona».
E come dimenticare la finale di Champions League buttata dal Milan contro il Liverpool, seppellito sotto tre gol nel primo tempo ma capace di risvegliarsi nella ripresa approfittando proprio del senso di appagamento da pratica archiviata dei rossoneri? Mai vinta, mai persa. Vale anche in politica. Fino all`ultimo voto. Vogliamo rileggere quello che disse Francesco Rutelli dopo avere conquistato la posizione di testa per il ballottaggio alle comunali di Roma nel 2008? Letti i risultati definitivi, che davano lui al45,8%o con 5 punti abbondanti e quasi centomila voti di vantaggio su Gianni Alemanno, già pregustava la possibilità di regalare al Partito democratico e alla sinistra, travolti dall`onda pidiellina e leghista alle politiche, una rivincita:
«Andiamo a queste elezioni con un vantaggio importante, determinante.
E io ho fiducia che questo ci permetta di vincere le elezioni».
Quindici giorni più tardi, doccia gelata.
Il vantaggio non era «determinante» proprio per niente. Rutelli andò avanti di mezzo punto salendo al 46,3 e Alemanno rovesciò i risultati del «primo tempo» andando avanti di 13 e vincendo col 53,7.
Il giorno dopo l`Unità titolava: «Roma alla destra, una grave sconfitta.
Alemanno batte nettamente Rutelli, festa in Campidoglio a base di saluti e slogan fascisti». Dieci anni prima, a Roma, era successa la stessa cosa. Questa volta alle provinciali:
Pasqualina Napoletano aveva contro Silvano Moffa, allora fedelissimo di Gianfranco Fini, al cui fianco sarebbe poi rimasto fino allo strappo sulla sfiducia a Berlusconi del 14 dicembre scorso. Vantaggio netto della candidata ulivista al primo turno,-rovesciamento al secondo.
Sono tanti i precedenti di declini dovuti a un eccesso di euforia indotta da sondaggi esagerati e travolti da spettacolari rimonte. Si pensi alle politiche del 20o6 quando, reduce da cinque anni di governo, di polemiche intestine alla Casa delle Libertà e da sconfitte a catena, il Cavaliere pareva spacciato. Al punto che chi suggerì all`Unione di presentare anche delle liste civiche per rafforzare la coalizione in senso moderato, come l`allora governatore del Friuli Venezia Giulia Riccardo Illy, venne trattato dai proconsoli della sinistra, certi di avere già la vittoria in tasca, con toni di sufficienza:
«E che ce ne facciamo?». Come finì, si sa Con una travolgente rimonta berlusconiana conclusa con una notte di interminabili dirette televisive e conteggi sezione per sezione: «Pare in vantaggio la sinistra...
Pare in vantaggio la de-stra...».
Fino al sostanziale pareggio al Senato e alla conseguente apertura, per l`obeso governo Prodi, di due anni di caos e polemiche paralizzanti.
Morale? Mai cantar vittoria troppo presto: l`euforia può fare danni devastanti. E mai dare per persa una battaglia: i conti, dice la cronaca, si fanno solo alla fine. Non solo in Italia. Valgano per tutti due casi un po` più grossi delle nostre faccende ambrosiane. Il primo è quello di Winston Churchill. Vinta la guerra contro Hitler e il nazismo, pareva il padrone assoluto della politica inglese tanto che nessuno avrebbe scommesso un penny sul suo avversario, Clement Attlee: vinse Attlee. Il secondo, leggendario, è quello di Thomas E. Dewey. Come scrive nel libro «I signori della Casa Bianca» Mauro della Porta Raffo, «i sondaggi lo indicavano come il netto favorito, ma Harry Truman per nulla intenzionato a lasciare White House - non si arrese e gli contese ogni singolo voto fino all`ultimo.
La notte dello scrutinio fu una delle più drammatiche della storia politica americana. Tutti (democratici compresi) si aspettavano una vera e propria valanga di suffragi a favore di Dewey e i primi risultati sembrarono largamente confermare le previsioni tanto che i giornali di New York, ignari degli esiti del voto negli Stati dell`Ovest e dovendo comunque «chiudere», nelle prime edizioni del giorno successivo uscirono con il titolo a nove colonne «Dewey batte Truman». A mezzanotte Dewey era il presidente, due ore dopo uno sconfitto.
La lezione di Alemanno (e Bartali):
non esistono rimonte impossibili In politica, come nello sport, prevale chi sa (orrore fino all`ultimo L'elezione scorsa e Francesco Rutelli (sopra), candidato sindaco di centrosinistra a Roma, vince il primo turno con il 45,8% e circa 100 mila voti più di Gianni Alemanno (a fianco), che poi rimonta e lo batte 0:
x i- 2 Louison Bobet (sopra), a 9 tappe dalla fine del Tour, ha oltre 21 minuti di vantaggio su Gino Bartali, che ribalta la classifica con tre attacchi e trionfa sugli Champs Elisées (a fianco) L a..., èper In ___ .. é a 3 Thomas E. Dewey (sopra, a destra), nel `48, è il favorito nella corsa alla Casa Bianca contro Harry Truman (a fianco), che cerca il secondo mandato, lotta fino all`ultimo voto e vince.
(fonte: Corriere della Sera e Rassegna Governo)
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martedì 17 maggio 2011
Miope trionfalismo. Qualcuno gli dica che non abbiamo vinto e che stiamo tutti perdendo da troppi anni
I democratici sono un po’ miopi. Non guardano molto lontano. Ieri hanno cantato vittoria non pensando o non volendo pensare che: punto primo, le amministrative sono sempre un terreno politico molto ostico per chi governa, perché sono le cosiddette elezioni di medio termine; punto secondo, liste di Grillo e completo scollamento del centro sinistra nelle coalizioni di centro sinistra, hanno determinato non tanto la tanto sbandierata (ma di fatto non vera) sconfitta di Berlusconi, bensì la sconfitta della strategia politica dell’opposizione stessa.
In ogni altro contesto di un altro paese, le opposizioni avrebbero potuto vincere, senza ballottaggio, a mani basse, forti della relativa fragilità del governo centrale di fronte alle lezioni di medio termine, che sono smepre (o quasi) la spada di Damocle sul collo di chi siede nei posti di comando.
Ma non è così in Italia, perché le opposizioni non hanno saputo creare la sintesi di troppe anime politiche che la compongono. “I dati significano inequivocabilmente una cosa: vinciamo noi e perdono loro”, ha detto ieri, a spoglio iniziato, il segretario del Pd Pierluigi Bersani, aggiungendo: “Il centrosinistra può aprire una nuova fase nei prossimi anni, c’è un segnale di inversione di tendenza”.
Parole un po’ forti, soprattutto se unite alle seguenti dichiarazioni dello stesso Bersani: “A Milano possiamo vincere”. E poi si è rivolto ai grillini con toni un po’ troppo da ’preside di scuola’: “Al movimento di Grillo voglio rivolgere un messaggio: non si può stare sempre nell’infanzia e se si diventa un soggetto politico bisogna tirare le somme e decidere.
Ci rivolgiamo ai grillini”, ha sottolineato il numero uno dei democratici, “per dire che noi possiamo migliorare ma non siamo uguali agli altri e a questo movimento ci rivolgiamo in modo amichevole ma rigoroso”. Per quanto riguarda Napoli, l’altra sfida importante di questa tornata elettorale, Bersani ha detto che: “Si può vincere”.
Viene spontaneo di ricordare una cosa non poco importante a Bersani. In primis riguardo a Milano, il candidato d’apparato del Pd, Stefano Boeri, non fu scelto alle primarie, a vantaggio dell’attuale competitor Pisapia, proveniente dalla società civile e non dalle stanze di Via Sant’Andrea delle Fratte.
A Napoli Luigi de Magistris ha tolto parecchi voti al partito democratico, determinando una non facile azione di aggregazione fra le forse di opposizione contro il candidato del Pdl Gianni Lettieri. E poi Torino, dove Piero Fassino ha vinto al primo turno. Bel risultato, nulla da dire, anche grazie al terreno preparato dal sindaco uscente Chiamparino, che ha saputo, soprattutto, creare il giusto clima di coesione sociale nel momento di enorme difficoltà della Fiat.
Ma, per quanto riguarda il rapporto con Bersani, il risultato di Fassino è un altro macigno che cade sulle divisioni già esistenti nei caminetti del Pd.
(fonte: Opinione)
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