DEBITO PUBBLICO

RAPPORTO DEBITO/PIL

Visualizzazione post con etichetta berlusconi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta berlusconi. Mostra tutti i post

mercoledì 16 gennaio 2013

Vuole essere ministro


Chi mi legge con pazienza, sa come la penso su questa cosa che si ostinano a chiamare politica: siamo cavie umane che qualcuno – non so chi – da tempo sottopone ad esperimenti. Fallito il test sul grado di sopportazione, ora semplicemente si attardano con la speranza di comprendere, in fine, quale livello di deficienza si possa riuscire a toccare. Posto che si pensava di non vederci arrivare più in basso di così, aumentano l’intensità dei test, e attendono. Non c’è altra spiegazione.

Altrimenti come dare senso a queste cose?

C’è l’accordo tra pdl e Lega. Al Fano presidente del consiglio, e il tizio all’economia. In effetti, se gli studiosi fossero stati un po’ più accaniti e bastardi gli avrebbero imposto di comunicare alla nazione che avrebbe ricoperto il dicastero di grazia e giustizia, ma evidentemente devono aver conservato un po’ di pudore.

La regione Lombardia, invece, verrà assegnata – come da accordo stipulato – al leghista Maroni.

Se questa è politica, io sono la Fata Turchina, ma tant’è. I giornali son già pieni e i telegiornali rilanciano la notizia al ritmo dei tam tam. Tutto serio, tutto reale. Tutto questo dovrebbe essere il nostro futuro.

Ve lo immaginate davvero quell’idiota, malfattore, evasore fiscale, corruttore come ministro dell’economia, in Italia? Io sì. Me lo immagino eccome.

Me lo immagino perché guardo anche dalle altre parti, dove i neo rivoluzionari civilisti, assoldano candidati degni di rispetto per le tragedie che hanno vissuto, per il lavoro che hanno svolto, ma assai poco hanno a che fare con quella che dovrebbe essere la politica. Pare quasi davvero che la vendetta privata sia un requisito ottimo per poter accedere alle cariche pubbliche. Le guardie contro i ladri a sfidarsi nel parlamento Italiano.

Finirà esattamente come tutto iniziato: meglio questo che è un uomo onesto, che quello che è un ladro. Meglio il ricco che non ha bisogno di rubare. Meglio Grillo che impone ai suoi di non toccarlo nemmeno il danaro, (che il resto sta già diventando storia).

Non c’era modo migliore di ricominciare le nostre attività in questo 2013, che con un paio di colossali cazzate.

Temo che il giorno del reset, del vero rinascimento, sia assai lontano, ancora. I nostri osservatori avranno ancora da lavorare, da studiare, soprattutto dopo le elezioni, quando sarà chiaro che assai più della metà degli aventi diritto a legittimare questa ignobile farsa, non si saranno recati alle urne, e gli irriducibili, invece, avranno apposto la loro ics sui simboli di quest’Italia mortificata, con un Sud al quale si può addirittura sputare in faccia con l’abominio della Lista “Grande Sud”. Una sorta di succursale del voto berlusconiano, che candiderà tutta la feccia mafiosa e malavitosa ritenuta impresentabile persino nell’Italia dei furti di lecca lecca e sigarette.

Nessuno mi convincerà mai che tutto questo ha un senso politico. Nessuno riuscirà mai a farmi abbandonare la teoria dell’esperimento scientifico. Nulla di questo può essere reale.

Rita Pani (APOLIDE)

(fonte: Rita Pani)

Perché le elezioni sono diventate casa Vianello


damilano


Dopo che l’altro giorno aveva pulito la sedia di Travaglio, oggi Berlusconi ha preso giocosamente a cartellate Marco Damilano e ha finto di ammanettarsi davanti a Ingroia.

Straordinarie photo opportunity – o video opportunity, è lo stesso – che il Cavaliere si crea da solo per buttarla in caciara, arte di cui è maestro planetario.

Ha perfettamente ragione, dal suo punto di vista: se si discutesse di come ha governato, di quelli di cui si è circondato, delle promesse che ha disatteso e di come ha lasciato l’Italia, beh, avrebbe già perso.

Di qui l’estrema corporizzazione mediatica della campagna elettorale, di qui i siparietti che penetrano nelle case e nelle menti molto più dei numeri sul Pil o delle parole sul programma.

Siamo arrivati insomma a una nuova fase: quella della propaganda politica basata tutta sulla comicità, sul divertimento, sulle gag stile casa Vianello. Un sistema efficace e fabulatorio per far dimenticare la crisi e per risultare simpatici.

Occhio, non è più politica mediatizzata, a questo punto: è mediatico puro – e la politica è stata messa alla porta.

E’ anzi un’interpretazione perfetta dello spirito dell’antipolitica: nel senso che la politica – cosa mediaticamente ‘brutta e noiosa, fatta di dichiarazioni ipocrite, privilegi e ruberie’ – è stata definitivamente sostituita dagli sketch, cosa invece – come noto – divertente e gradevole.

Quanti italiani poi accetteranno di dimenticare la realtà e applaudire a fine spettacolo è cosa che sapremo solo fra un mese.

martedì 11 dicembre 2012

Ipse dixit


Cosa vuol dire avere 
un metro e mezzo di statura, 
ve lo rivelan gli occhi 
e le battute della gente, 
o la curiosità 
d'una ragazza irriverente 
che vi avvicina solo 
per un suo dubbio impertinente: 

vuole scoprir se è vero 
quanto si dice intorno ai nani, 
che siano i più forniti 
della virtù meno apparente, 
fra tutte le virtù 
la più indecente. 

Passano gli anni, i mesi, 
e se li conti anche i minuti, 
è triste trovarsi adulti 
senza essere cresciuti; 
la maldicenza insiste, 
batte la lingua sul tamburo 
fino a dire che un nano 
è una carogna di sicuro 
perché ha il cuore troppo 
troppo vicino al buco del culo. 

Fu nelle notti insonni 
vegliate al lume del rancore 
che preparai gli esami 
diventai procuratore 
per imboccar la strada 
che dalle panche d'una cattedrale 
porta alla sacrestia 
quindi alla cattedra d'un tribunale 
giudice finalmente, 
arbitro in terra del bene e del male. 

E allora la mia statura 
non dispensò più buonumore 
a chi alla sbarra in piedi 
mi diceva "Vostro Onore", 
e di affidarli al boia 
fu un piacere del tutto mio, 
prima di genuflettermi 
nell'ora dell'addio 
non conoscendo affatto 
la statura di Dio.

(fonte: Fabrizio De Andrè)

giovedì 5 aprile 2012

Va pensiero...

Scandalo Lega


Riccardo Bossi: ‘Mai preso soldi da Belsito’


“Io personalmente di soldi dal Belsito non ne ho mai ricevuti, mi occupo di altre questioni, sono impegnato solo nello sport e sono fuori da tutte le cose del partito. Comunque ha fatto bene a dimettersi». Queste sono le parole rese da Riccardo Bossi, primogenito del senatùr, ai microfoni de “La Zanzara”, su radio 24. “Rimango dispiaciuto per questo episodio, perché fa male al partito e a tutti quanti. Mio padre – continua Riccardo Bossi – è una persona pulita, totalmente estraneo a queste storie, ci metto la mano sul fuoco e non solo la mano. È una persona per bene che ha dedicato la sua vita interamente alla politica. Se poi persone intorno a lui si sono comportate male non lo so. Complotto della magistratura? Sì, quello sì. È evidente l’attacco dei giudici nei confronti della Lega, l’unico movimento che è fuori dal potere e all’opposizione. La Lega non piace all’Europa e al pensiero politico europeo”. 

lunedì 26 marzo 2012

La terza mano della Biancofiore

Un manifesto come la dea Kalì: per promuovere il primo congresso Pdl in Alto Adige, la deputata si trasforma in piovra e abbraccia Berlusconi e ben altri due candidati della sua corrente 

 

Sarà forse uno dei tanti miracoli promessi da Silvio Berlusconi agli italiani, sta di fatto che la deputata "pasionaria" Michaela Biancofiore si è trasformata in una specie di piovra per promuovere il primo congresso del Pdl in Alto Adige, previsto il prossimo 14 aprile. Eccola infatti con la bellezza di tre mani, nei manifesti che ha fatto affiggere in queste ore a Bolzano per sostenere la propria corrente. Nel poster in questione, l'ex premier sembra quasi un manichino: la foto non deve essere proprio recente. Biancofiore posa la mano sinistra sulla sua spalla, mentre la mano destra è su uno dei due candidati della sua corrente, Bruno Borin. Il fatto è che le mani sono tre; ne spunta una anche sulla spalla sinistra del secondo candidato, Maurizio Vezzali. "La nostra coordinatrice pare proprio come la dea Kalì che tutto avvolge con le sue molteplici braccia", ha subito ironizzato l'altro coordinatore altoatesino del Pdl – e suo acerrimo rivale – Alberto Sigismondi, sostenuto dai deputati azzurri Giorgio Holzmann e Maurizio Gasparri, con cui Biancofiore ha avuto in passato scontri accesissimi. Il poster "trimane" non è che l'ultimo coupe de thèâtre fotografico della serie. In occasione delle elezioni comunali di due anni fa a Bolzano, la deputata portò ad Arcore il suo candidato a sindaco, l'ex hockeysta Bob Oberrauch: un "armadio" di quasi due metri. Bene, nella foto (a mezzobusto, qui sta il trucco) scattata con l'allora premier, la differenza in altezza tra i due era... alquanto sospetta. Sgabelli o Photoshop a parte, non era stata certo ritoccata la foto che, nel maggio del 2005, fece il giro d'Italia: quel dito medio mostrato da Berlusconi durante un comizio pre-elettorale a Bolzano, a corollario di una storiella delle sue. Questa: «A mia madre ho detto che c'è metà Italia che mi odia, che quando passo per strada mi fa così». E mostra il dito medio. «Mia madre mi ha risposto: e allora? Vuol dire che sei il numero uno, l'unico».

(fonte: Espresso)

venerdì 11 novembre 2011

Il re dei farmaci a cena col premier per avere una legge


Alberto Aleotti, patron dell'industria farmaceutica Menarini, è sospettato di aver provocato un danno al sistema sanitario nazionale di 860 milioni di euro. 

 Dai documenti e dalle intercettazioni salta fuori un quadro inquietante del business di Alberto Sergio Aleotti, patron del gruppo farmaceutico Menarini, sospettato di aver provocato un danno al sistema sanitario nazionale di 860 milioni di euro. Nell'avviso di conclusione delle indagini i pm Giuseppina Mione, Ettore Squillace e Luca Turco, documentano «artifici e raggiri» messi in atto per determinare «un aumento del prezzo dei farmaci». Quindici in tutto gli indagati e tra questi anche i figli di Aleotti, Giovanni e Lucia, e un politico: il senatore del Pdl Cesare Cursi. Dalle carte sembra proprio la politica la chiave di volta per capire la genesi di questa presunta colossale truffa ai danni dello Stato, con accuse di corruzione, riciclaggio ed evasione fiscale e un sospetto ingente finanziamento ai partiti. Nelle migliaia di pagine, zeppe di intercettazioni, si fanno nomi di politici illustri (nessuno di loro inquisito), ministri e del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che, ipotizzano i magistrati, sarebbe intervenuto per l'approvazione di un disegno di legge favorevole al gruppo Menarini. 
Decisiva sarebbe stata una cena il 6 maggio del 2009 a villa Madama alla quale Aleotti sarebbe stato invitato. A raccontarlo, otto giorni dopo, è lo stesso patron di Menarini in una conversazione con Maria Angiolillo, la regina dei salotti romani e vedova del fondatore de Il Tempo, Renato Angiolillo, scomparsa due anni fa. «Il presidente mi ha voluto vicino... E a un certo punto ho avuto il coraggio di dire "immagino signor presidente che lei abbia anche influito per quella questione...". E lui mi ha detto: "Aleotti! C'abbiamo avuto addirittura un incontro a tre"». Più avanti Aleotti fa anche i nomi: «Gianni Letta e il ministro dello Sviluppo (al tempo Claudio Scajola, ndr)». Lo stesso giorno della conversazione intercettata il disegno di legge viene approvato al Senato e passa alla Camera, annotano i pm. Aleotti avrebbe avuto un'attrazione «fatale» verso i politici. 
La Procura gli contesta anche di essere intervenuto presso il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. In una relazione agli atti dell'inchiesta i carabinieri del Nas di Firenze parlano infine di «una scientifica distribuzione del denaro (ai partiti)» documentata da «una serie di erogazioni nel 2001, eseguite da società non direttamente riconducibili al gruppo Menarini, in favore di partiti politici, non ancora individuati, in vista delle elezioni politiche 2001». I Nas citano anche il nome del governatore della Toscana, Enrico Rossi all'epoca dei fatti coordinatore degli assessori alla sanità regionali. Rossi, secondo la Procura completamente estraneo ai fatti, avrebbe inviato lettere al governo da lui firmate e redatte sulla base di bozze degli Aleotti. 

venerdì 26 agosto 2011

A Brancher 160 milioni di euro

A Brancher 160 milioni di euro

Paolo Biondani

Avete presente l'ex ministro di Berlusconi appena condannato in via definitiva a due anni? Bene: il governo lo ha nominato presidente con pieni poteri di un nuovo ricchissimo ente. Così l'esecutivo italiano ha un nuovo record: è l'unico al mondo che in tempi di sacrifici e di tagli affida una valanga di denaro a un pregiudicato

Per distribuire preziosi pacchi di soldi pubblici mentre l'Italia rischia la bancarotta, cosa c'è di meglio di un bel comitato politico, presieduto da un onorevole marchiato dalla giustizia come ladrone? Spesso in Italia, come insegnava Ennio Flaiano, la situazione è grave, ma non seria: a riconfermarlo è un atto del governo che affida un tesoretto di 160 milioni di euro a un nuovo ente presieduto e diretto da Aldo Brancher. Sì, proprio lui, il deputato berlusconiano fresco di condanna definitiva per i reati di ricettazione e appropriazione indebita.

Il neonato ente parastatale si chiama "Odi" ("Organismo di indirizzo") ed è stato istituito il 14 gennaio 2011 con un apposito decreto firmato nientemeno che da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Richiamandosi a un codicillo semi-nascosto nella legge finanziaria 2010 ("articolo 2, comma 107, lettera h"), il presidente del Consiglio e il ministro dell'Economia autorizzano la spartizione di 160 milioni tondi entro la fine di quest'anno. I soldi sono destinati ai soli comuni veneti e lombardi delle fasce di confine con Trento e Bolzano. L'idea era stata lanciata già nel 2008 per frenare la mini-secessione dei centri di montagna, che progettavano di abbandonare le regioni padane per entrare nelle ricche province a statuto speciale. Allora però era previsto uno stanziamento di soli 20 milioni. Adesso il fondo è quadruplicato: 80 milioni all'anno. E la prima spartizione riguarda il biennio 2010-2011, per cui la cifra in gioco raddoppia. Il nuovo ente ha pieni poteri sulla distribuzione dei soldi. Mentre i costi sono a carico delle due province autonome, che non sono amministrate dal centrodestra. Oltre a nominare gli otto componenti dell'Odi (quattro per il governo, quattro per gli enti locali), è lo stesso decreto Berlusconi-Tremonti a regalare a Brancher la poltronissima di "presidente, in rappresentanza del ministero dell'Economia, per i prossimi cinque anni".

L'atto governativo, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 22 marzo, è entrato in vigore d'urgenza la mattina successiva. Appena tre settimane prima, l'onorevole ex dirigente Fininvest si era visto confermare dalla Corte d'appello la condanna a due anni di reclusione, graziati dall'indulto, con l'accusa di aver intascato fondi neri per 827 mila euro. In parte attraverso contratti di comodo intestati a sua moglie Luana; in parte ritirati di persona, in contanti, in luoghi indimenticabili come il parcheggio dell'autogrill di San Giuliano Milanese. Soldi sporchi, perché sottratti alle casse di una banca, la Popolare di Lodi, tra il 2001 e il 2005, quando a guidarla era Gianpiero Fiorani, che dopo l'arresto confessò anche quelle mazzette versate "in cambio dell'appoggio del politico". In luglio la Cassazione ha riconfermato la colpevolezza del deputato, denunciando pure un suo tentativo di far saltare l'udienza finale, inventandosi un domicilio fittizio, nella speranza di salvarsi con la prescrizione, come era riuscito a fare già due volte, ai tempi di Tangentopoli. Tra un processo e l'altro, nel 2001 Brancher è diventato parlamentare, sottosegretario del premier Berlusconi e nel 2010 ministro per 17 giorni, giusto il tempo di avvalersi della legge sul legittimo impedimento, poi dichiarata incostituzionale. Ora è un onorevole pregiudicato. Per reati che dovrebbero sconsigliare di affidargli denaro pubblico: tecnicamente l'appropriazione indebita equivale a un furto aggravato, mentre l'accusa di ricettazione colpisce chi incassa un bottino rubato da altri ladri.

CORSA ALL'ORO
Nonostante questi precedenti penali e nuove accuse recentissime (caso Di Lernia), il decreto Berlusconi-Tremonti ha nominato Brancher presidente non solo dell'Odi, cioè dell'organismo che "fissa gli indirizzi" per distribuire i soldi ai Comuni, ma anche della "Commissione di approvazione dei progetti" (in sigla "Cap"), che valuta concretamente quali giunte beneficiare e con quanto denaro. La "Cap" ha solo quattro membri, per metà scelti a rotazione, ma in modo che il centrodestra abbia sempre una maggioranza di tre a uno. Della cabina di regia fanno parte almeno altri due amici di Brancher. L'immedesimazione tra il nuovo ente e l'onorevole condannato è tanto forte che decine di sindaci veneti e lombardi parlano direttamente di "fondo Brancher", come se i 160 milioni da distribuire fossero suoi. E in tempi di crisi sempre più nera e tagli rovinosi per i Comuni, il tesoretto dell'Odi sta scatenando scene da assalto alla diligenza. Il termine per presentare i progetti di "sviluppo dei territori" scadeva il 30 giugno. Con buona pace delle promesse di evitare una pioggia clientelare di micro-finanziamenti, nella sede dell'Odi risultano "pervenute" almeno 179 buste chiuse, ognuna delle quali può contenere più progetti: 68 da Belluno, 60 da Brescia, 33 da Vicenza, altre 18 da Verona e Sondrio. I dati sono ufficiosi, perché l'Odi per ora non pubblicizza neanche i progetti in gara. Le domande, secondo le prime indiscrezioni, sono le più disparate: centraline energetiche, piste ciclabili, sistemazioni dei sentieri, funivie, strutture turistiche, incentivi all'agricoltura, opere idrauliche... Nel timore di perdere il treno targato Brancher, decine di piccoli comuni, anziché spedire le richieste per raccomandata o per e-mail certificata, hanno preferito la consegna a mano: camion e furgoni stipati di documenti che scendono dalle montagne strombazzando il clacson per arrivare in tempo a Verona, in Lungadige Capuleti 11, negli uffici che ospitano l'Odi e i suoi 15 dipendenti in prestito dal ministero dell'Economia.

(fonte: Espresso)

lunedì 22 agosto 2011

Il primo al mondo

Ora che la fine di Gheddafi sembra vicina, il nostro Ministro degli Esteri sta rilasciando dichiarazioni ed interviste di questo tipo


Il primo a telefonare, l'intervento militare che ci ha dato ragione, l'Italia-apripista, è tutto merito nostro, siamo i più fichi di tutti, eccetera eccetera. Io la ricordavo un pochino diversa. 


Non solo per il "trattato di amicizia" con il regime libico di Muammar Gheddafi - fortemente voluto dal Governo Berlusconi - e che impegna l'Italia ad 
... astenersi da ogni ingerenza negli affari interni, nello spirito del buon vicinato ... a non usare né permettere l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia ... a fornire un forte e ampio partenariato industriale nella difesa e nell'industria militare ...
ma soprattutto per alcune dichiarazioni del Ministro Frattini. Proprio lui, ilprimo Ministro degli Esteri al mondo che, l'apripista ... Settembre 2010
I rapporti che l'Italia ha con Gheddafi non li ha nessun altro Paese ... puntando il dito contro la Libia non si ottiene nulla. Noi non lo abbiamo mai fatto, e anche per questo possiamo raggiungere risultati. Gheddafi ci apre le porte di tutta l'Africa. 
[image%255B15%255D.png]

[image%255B16%255D.png]

[image%255B17%255D.png]

Gennaio 2011
Credo si debbano sostenere con forza i governi di quei Paesi, dal Marocco all'Egitto, nei quali ci sono regimi laici tenendo alla larga il fondamentalismo ... Faccio l'esempio di Gheddafi, un modello per il mondo arabo ... Ha realizzato una riforma dei "Congressi provinciali del popolo": distretto per distretto si riuniscono assemblee di tribù e potentati locali, discutono e avanzano richieste al governo e al leader ... Ogni settimana Gheddafi va lì e ascolta. Per me sono segnali positivi.
Febbraio 2011
Non dobbiamo dare l'impressione sbagliata di volere interferire, di volere esportare la nostra democrazia ... Vi immaginate un emirato islamico ai confini con l'Europa? Questa sarebbe veramente una seria minaccia ... Se tollerassimo che l'economia crollasse in questi paesi saremmo noi i primi a pagarne le conseguenze ... 



LA PROSTATA IDRAULICA DI BERLUSCONI E LA LOTTA DI CLASSE PER DIFENDERE GLI EVASORI


Ciò che fa incazzare più di ogni altra cosa, in questa finanziaria massacra-soliti-noti é che, nella sua follia, obbedisce a una logica granitica: premiare gli evasori e tutelare i già garantiti.

La prostata idraulica di Berlusconi e la bava di quel che resta di Umberto Bossi hanno metaforicamente imposto il diktat delirante che tutela le pensioni dei garantiti, e le rendite in nero dei privilegiati che vivranno sulle spalle dei giovani. Il dogma anti-patrimoniale é costruito per continuare a tutelare il nocciolo duro degli evasori, che non pagano due volte e che possono continuare a maramaldeggiare, con la tracciabilitá a 3000 (2500 ndr) euro (cioè il diritto a lucrare in nero) come gli pare e piace. Gli evasori modello se ne restano nascosti lì, nel mare delle dichiarazioni truffa da venti-trentamila euro, ma poi hanno il panfilo in leasing intestato a una società di comodo.

É bello vedere che la lotta di classe non é morta, e che questa finanziaria ne é un episodio importante. La ruga di Berlusconi, ieri, diceva questo. Far pagare tutti tranne la tribù Arcoriana e poi sperare persino di passare alla storia come “quello che ha salvato il paese“. Illuso. Diceva che non avrebbe messo le mani nelle tasche degli italiani, ha letteralmente rapinato i Tfr di chi ha lavorato una vita. In compenso, visto che di lotta di classe si tratta, ha inserito la norma salva-Fiat. Il Berlusconismo chiude il suo ciclo nel ridicolo

Luca Talese da Il Fatto

(fonte: Dario Fo)

venerdì 19 agosto 2011

Lega contestata, Bossi “scappa” nella notte


Dopo due giorni di insulti e proteste, il leader del Carroccio decide di lasciare il Cadore. "Brutto, brutto, brutto: andiamo via", si sfoga con pochi intimi all'interno di un hotel Ferrovia blindato. Il clima è talmente pesante che la cena per il 64esimo compleanno di Tremonti è spostato all'ultimo secondo nella baita a Lorenzago del ministro dell'Economia“Brutto, brutto, brutto: andiamo via”. Umberto Bossi nella notte decide di lasciare l’hotel Ferrovia di Calalzo di Cadore per timore di altre proteste. Ci sono voluti due giorni di contestazioni dell’ormai ex popolo leghista bellunese e decine di insulti dei passanti, per far comprendere al leader del Carroccio che la base ha superato il limite di sopportazione. Tornare indietro ora è difficile. Da contadino della politica quale è, Bossi ha compreso che non può più salvarsi dal Titanic: affonderà insieme a Silvio Berlusconi.

Mercoledì sera ha dovuto cancellare il comizio in piazza per timore delle proteste leghiste, capitanate dal presidente della Provincia di Belluno che si è presentato con la bandiera dell’ente listata a lutto. Ieri ha ricevuto insulti dalle auto che passavano davanti all’albergo. Si è nascosto per tutto il giorno all’interno insieme a Roberto Calderoli. E i dieci minuti che è uscito per accogliere l’amico Giulio Tremonti, i tre sono stati costretti a farsi circondare da una decina di uomini della scorta. Prigionieri a casa loro. Tanto che ieri sera la tradizionale festa di compleanno del ministro dell’economia all’hotel Ferrovia è stata trasferita all’ultimo minuto (nella speranza di depistare proteste e giornalisti) nella baita di Tremonti a Lorenzago. La stessa baita dove i quattro saggi del centrodestra stilarono il federalismo che fu poi bocciato dagli elettori con il referendum.

La baita è raggiungibile solo attraversando un cancello, ovviamente ieri notte sigillato e sotto stretta sorveglianza. Nascosti nella loro terra, in fuga dagli ex elettori che per venti anni hanno regalato alla Lega la sensazione di potere e immortalità che adesso comincia a franare. Alberto da Giussano non può fare nulla, l’inesistente Padania comincia a essere ridimensionata agli occhi di Bossi. Le proteste fanno male. Anche ieri per tutto il giorno è stato un continuo susseguirsi di manifestazioni e contestazioni davanti all’albergo. Dal sindaco Pdl del Comune di Calalzo al presidente provinciale di Confcommercio, dagli ex leghisti e autonomisti, al Pd ai cittadini. Qui era impensabile fino a pochi mesi fa che qualcuno potesse criticare il Capo. All’hotel Ferrovia di Gino Mondin era un continuo pellegrinaggio di complimenti, mani da stringere, baci e foto ricordo tutti sorridenti col ministro leghista di turno. Dalle macchine che passavano davanti all’albergo è sempre stato un “viva Bossi, viva la Lega”. Da due giorni invece la strada è piena di contestatori e manifestanti. E dalle auto il conducente più delicato gli ha gridato contro “cialtrone”.

Il livello di sopportazione è ampiamente superato, ma la realtà non ha ancora preso forma nella mente del Carroccio. Il nervosismo è palpabile. A un giornalista della Rai regionale che lo segue imperterrito persino all’inaugurazione di una piccolissima centrale elettrica, Bossi si mostra molto infastidito. “Vaffanculo, siete anche qui”.

Così, dopo essersi nascosto per tre giorni, Bossi sceglie di scappare. Lo fa di notte. Mentre cenava nella baita, poco dopo le una di questa mattina, i sei uomini della scorta del leader leghista hanno pagato il conto dell’albergo (che era prenotato per Bossi fino a venerdì), fatto le valigie, caricato le macchine. Poi sono andati a prelevare il Capo e lo hanno portato lontano dalle contestazioni. Presumibilmente a Gemonio, a casa sua. Dove almeno una bandiera della Lega rimarrà alta: quella che ha nel suo giardino.

Calderoli è invece rimasto a dormire in albergo perché G., il figlio della compagna Gianna Gancia (presidente della Provincia di Cuneo) ha undici anni ed era stanco. Partiranno all’alba, ha fatto sapere il ministro per la Semplificazione. Quando i giornalisti presumibilmente dormiranno e, soprattutto, i contestatori non saranno tornati qui davanti.

A ripercorrere gli eventi di questi tre giorni appare evidente come la Lega deve fare i conti con una inaspettata realtà: non ha più il polso del territorio. La base è stanca, non ne può più di leggi ad personam, nuove tasse. Da mesi gli elettori del Carroccio chiedono a Bossi di staccare la spina al governo e lasciare Berlusconi. La base lo ha chiesto talmente ad alta voce attraverso i canali consueti, che il Carroccio invece di dialogare con i malpancisti, ha preferisco censurarli chiudendo persino gli interventi liberi a Radio Padania. Ora è troppo tardi. Berlusconi non si può più scaricare. Ed è lo stesso Senatùr ad averlo compreso. “Silvio ha vinto grazie a noi e ora noi perdiamo grazie a lui”, si è confidato in uno sprazzo di spietata lucidità. Il gioco è finito. Le proteste fanno male. Meglio tornare a casa, durante la notte. Al buio, di soppiatto, senza farsi vedere da nessuno.

Affidatevi a lui

Bossi_01_672-458_resize

L’ultima, disperata trincea della propaganda di governo di fronte al collasso dell’economia nazionale che ci sta lasciando in canottiera e mutande (per fortuna almeno quelle Sua Eccellenza il Ministro Bossi Umberto ce le ha risparmiate) è dire che ormai la finanza ha preso il sopravvento sulla politica e può fare carne di porco. Ma chi, se non la politica ha messo la finanza in condizione di fare carne di porco? E adesso dovrebbero essere loro, questi clown da circo di provincia che oscillano fra l’incompetenza e la disonestà giocando alla demagogia da bocciofila, a riparare i guasti che hanno provocato, magari quando ci spiegavano, come fossimo bambini deficienti, che era tutta una cosa “psicologica”, che “la crisi era superata” e “l’Italia ne era uscita meglio degli altri?”.

domenica 14 agosto 2011

Ma come fanno i marinai?


“Era una promessa da marinaio escludere, appunto “tassativamente”, che il governo Berlusconi potesse mai prelevare quattrini dalle nostre tasche a fronte del debito pubblico”. Noooo? Non lo scrivono la “vulgata di sinistra”, il “giornalista collettivo”, il “conformista de sinistra”, l’odiata “Repubblica”, la “pubblicistica alle vongole” per usare alcuni dei luoghi comuni cari ai desesperados che si ancora affannano attorno al Caro Estinto per fingere che sia vivo, ma lo scrive uno della sua ciurma, direttore e trombone di uno dei giornaletti di famiglia, anche se semiclandestino. Appunto, come tentasi invano di dimostrare da anni e qui si ripetere con ostinata disperazione, prima di essere un cialtrone, una vergogna nazionale, un inetto amministratore del bene pubblico, un truffatore e corruttore di giudici e di parlamentari che fa politica per difendere il proprio fienile fregandosene se bruciano i fienili degli altri, un organizzatore di orgette da ginnasiale settuagenario mai divenuto adulto con troppi soldi e poi tutto quello che volete aggiungere, Silvio Berlusconi è un B U G I A R D O patologico. Ma a noi, o a quelli che sopravviveranno al disastro, toccherà per forza comperare da lui un’auto usata a pezzi chiamata Italia, uno di quei catorci che il venditore farabutto vi racconta che ha appena 10 mila chilometri ed era stata usata soltanto da nonna Elvira per andare a messa alla domenica.

lunedì 8 agosto 2011

Il podestà forestiero. Editoriale di Mario Monti del 7 agosto 2011.


I mercati, l'Europa. Quanti strali sono stati scagliati contro i mercati e contro l'Europa da membri del governo e della classe politica italiana! «Europeista» è un aggettivo usato sempre meno. «Mercatista», brillante neologismo, ha una connotazione spregiativa. Eppure dobbiamo ai mercati, con tutti i loro eccessi distorsivi, e soprattutto all'Europa, con tutte le sue debolezze, se il governo ha finalmente aperto gli occhi e deciso almeno alcune delle misure necessarie.
La sequenza iniziata ai primi di luglio con l'allarme delle agenzie di rating e proseguita con la manovra, il dibattito parlamentare, la riunione con le parti sociali, la reazione negativa dei mercati e infine la conferenza stampa di venerdì, deve essere stata pesante per il presidente Berlusconi e per il ministro Tremonti. Essi sono stati costretti a modificare posizioni che avevano sostenuto a lungo, in modo disinvolto l'uno e molto puntiglioso l'altro, e a prendere decisioni non scaturite dai loro convincimenti ma dettate dai mercati e dall'Europa.

Il governo e la maggioranza, dopo avere rivendicato la propria autonoma capacità di risolvere i problemi del Paese, dopo avere rifiutato l'ipotesi di un impegno comune con altre forze politiche per cercare di risollevare un'Italia in crisi e sfiduciata, hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un «governo tecnico». Le forme sono salve. I ministri restano in carica. La primazia della politica è intatta. Ma le decisioni principali sono state prese da un «governo tecnico sopranazionale» e, si potrebbe aggiungere, «mercatista», con sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York.

Come europeista, e dato che riconosco l'utile funzione svolta dai mercati (purché sottoposti a una rigorosa disciplina da poteri pubblici imparziali), vedo tutti i vantaggi di certi «vincoli esterni», soprattutto per un Paese che, quando si governa da sé, è poco incline a guardare all'interesse dei giovani e delle future generazioni. Ma vedo anche, in una precipitosa soluzione eterodiretta come quella dei giorni scorsi, quattro inconvenienti.

Scarsa dignità . Anche se quella del «podestà forestiero» è una tradizione che risale ai Comuni italiani del XIII secolo, dispiace che l'Italia possa essere vista come un Paese che preferisce lasciarsi imporre decisioni impopolari, ma in realtà positive per gli italiani che verranno, anziché prenderle per convinzione acquisita dopo civili dibattiti tra le parti. In questo, ci vorrebbe un po' di «patriottismo economico», non nel fare barriera in nome dell'«interesse nazionale» contro acquisizioni dall'estero di imprese italiane anche in settori non strategici (barriere che del resto sono spesso goffe e inefficaci, una specie di colbertismo de noantri ).

Downgrading politico . Quanto è avvenuto nell'ultima settimana non contribuisce purtroppo ad accrescere la statura dell'Italia tra i protagonisti della scena europea e internazionale. Questo non è grave solo sul piano del prestigio, ma soprattutto su quello dell'efficacia. L'Unione europea e l'Eurozona si trovano in una fase critica, dovranno riconsiderare in profondità le proprie strategie. Dovranno darsi strumenti capaci di rafforzare la disciplina, giustamente voluta dalla Germania nell'interesse di tutti, e al tempo stesso di favorire la crescita, che neppure la Germania potrà avere durevolmente se non cresceranno anche gli altri. Il ruolo di un'Italia rispettata e autorevole, anziché fonte di problemi, sarebbe di grande aiuto all'Europa.

Tempo perduto . Nella diagnosi sull'economia italiana e nelle terapie, ciò che l'Europa e i mercati hanno imposto non comprende nulla che non fosse già stato proposto da tempo dal dibattito politico, dalle parti sociali, dalla Banca d'Italia, da molti economisti. La perseveranza con la quale si è preferito ascoltare solo poche voci, rassicuranti sulla solidità della nostra economia e anzi su una certa superiorità del modello italiano, è stata una delle cause del molto tempo perduto e dei conseguenti maggiori costi per la nostra economia e società, dei quali lo spread sui tassi è visibile manifestazione.

Crescita penalizzata . Nelle decisioni imposte dai mercati e dall'Europa, tendono a prevalere le ragioni della stabilità rispetto a quelle della crescita. Gli investitori, i governi degli altri Paesi, le autorità monetarie sono più preoccupati per i rischi di insolvenza sui titoli italiani, per il possibile contagio dell'instabilità finanziaria, per l'eventuale indebolimento dell'euro, di quanto lo siano per l'insufficiente crescita dell'economia italiana (anche se, per la prima volta, perfino le agenzie di rating hanno individuato proprio nella mancanza di crescita un fattore di non sostenibilità della finanza pubblica italiana, malgrado i miglioramenti di questi anni). L'incapacità di prendere serie decisioni per rimuovere i vincoli strutturali alla crescita e l'essersi ridotti a dover accettare misure dettate dall'imperativo della stabilità richiederanno ora un impegno forte e concentrato, dall'interno dell'Italia, sulla crescita.

Mario Monti

venerdì 15 luglio 2011

Caro ministro agricolo, bello come un porcellino


Lidia Ravera

ROSEO, PINGUE, soddisfatto del truogolo in cui si nutre, Saverio Romano, fisicamente, ha qualcosa di Jimmy, il più piccolo dei tre porcellini. Il musetto? Il codino? Quegli occhietti piccini e furbissimi? Di tutti i “salvatori della patria” che, il 14 dicembre scorso, allungarono, con il loro voto, la vita di un governo morente, è quello che ha ottenuto la medaglia più sostanziosa, un ministero, mica bruscolini. Sulla sua competenza in materia di agricoltura nessuno si interroga, le cariche, nel nostro Paese, sono moneta sonante non incarichi, ma premi a carriere il più possibile politicamente scorrette. Non investiture del migliore ma lauree del disonore: più hai trafficato e più ci piaci. Più sei legato con un potere occulto (criminale o massonico non importa, c’è libertà di scelta, vedi un po’ tu), più ci sei caro, utile, essenziale. Porti in dote un bel corredo di voti, quelli del bacino mafioso sono fra i più sicuri, più dei Bot, più dei Cct.
Sai ricattare, d’accordo, e questo non sta bene, ma sei anche ricattabile e allora, okay, sei dei nostri. E se adesso devi andare un pochino in galera, tranquillo. Ti tireremo fuori, riavrai tutti gli onori… ci pensano Tommy e Timmy. Vai che non sei solo, piccolo Jimmy!

(fonte: Il Fatto Quotidiano)

martedì 5 luglio 2011

Berlusconi e i cortigiani reggi-pitale


La decisione di inserire nella legge finanziaria una norma per evitare alla Fininvest e al suo padrone di pagare alla Cir di Carlo De Benedetti il risarcimento per i giudici comprati durante il caso Mondadori, e il conseguente scippo della casa editrice, rappresenta una soglia di non ritorno. Non per Silvio Berlusconi, che quella soglia l’ha già superata da un pezzo, ma per tutta la sua maggioranza e per i suoi (ultimi) supporter.

Dalla difesa della libertà del premier (dai processi e dalle sentenze) si passa a quella apertamente dichiarata dei suoi soldi. Sapendo oltretutto benissimo che un’eventuale condanna civile in secondo grado di Fininvest, anche eguale a quella inflitta in primo grado (750 milioni di euro), non ridurrà Berlusconi sul lastrico, ma lo renderà appena un po’ meno ricco.

Che Berlusconi lo faccia non stupisce. Il vecchio leader del Pdl sente di essere al tramonto. Al di là delle dichiarazioni di facciata, teme che questa sia la sua ultima legislatura da presidente del Consiglio. E allora tenta di arraffare tutto quello che c’è ancora da arraffare. In fondo tiene famiglia pure lui.

Più interessante è invece riflettere sulla stupidità del resto della Corte. Cercare d’introdurre, a quattro giorni dal verdetto d’appello sul lodo Mondadori, una norma del genere, è una follia per chi tra i cortigiani pensa di continuare a fare politica anche nei prossimi anni. La manovra impone sacrifici a milioni di cittadini. Gli elettori del Pdl, e sopratutto quelli della Lega, hanno già preso malissimo la scelta di rinviare al 2013 i tagli ai costi della Casta. E ora si trovano di fronte a un decreto legge che punta a far pagare tutti meno uno: il loro leader.

Certo, nelle prossime ore, assisteremo al consueto fuoco di sbarramento teso a spiegare che qui chi doveva incassare non era l’erario, ma l’odiato Carlo De Benedetti. Altre voci faranno poi notare che la legge vale per tutti quelli che hanno in ballo risarcimenti civili superiori ai 20 milioni di euro (cioè pochissime aziende ndr). Qualche buontempone, infine, dirà che la norma non cancella i pagamenti, ma si limita a congelarli sino alla cassazione.

Resta però un fatto: centinaia di migliaia di cittadini, anzi milioni, sanno benissimo per diretta esperienza personale che nelle cause civili, fino ad ora, prima si versava il dovuto e poi si sperava nel ricorso. In questo clima, insomma, prenderli per fessi sui soldi (magari a colpi di televisioni e di tg) non è esattamente quella che si definisce una grande idea.

Se fino a due anni fa, quando votava le leggi pro Berlusconi, il centrodestra poteva sostenere che il premier aveva dietro di sé la maggioranza del paese, oggi a quella favola non crede più nessuno.Per tutti, finalmente, la questione Berlusconi diventa quello che era sempre stata e che in molti facevano però finta di non vedere: una semplice questione d’interessi personali e soldi.

Una faccenda esclusiva di un uomo anziano che non riesce più a evitare di farla fuori dal vaso. Di un ricco signore che, giorno dopo giorno, rischia sempre più di vedere discostarsi di un passo coloro i quali gli reggono ancora il pitale. Di un politico dal futuro sempre più breve, ormai disposto a combattere solo per sé e per la sua roba.

lunedì 4 luglio 2011

LA STRUTTURA DELTA IN RAI. Idv: "Una class action contro la Rai". Dalla "squadra" danni per i cittadini


Le telefonate intercettate nel 2005, nell'ambito dell'inchiesta Hdc. Da Deborah Bergamini a Pionati a Del Noce, tanti si attivano per addolcire a Berlusconi il boccono amaro delle Regionali, ma anche per discutere con la supposta "concorrenza" i palinsesti più favorevoli al "Biscione". Fino alla costituzione di una "task force" per controllare e disinformare. Un gruppo che funziona ancora...

La struttura Delta non operava negli interessi dei veri proprietari della Rai, ovvero i cittadini che pagano il canone. L'Italia dei valori annuncia un'azione legale contro i "dirigenti infedeli" che hanno messo in discussione la libertà di informazione. E il partito di Di Pietro chiede al Dg Lorenza Lei di prendere una posizioneROMA - Una class action contro la Struttura delta della Rai. Secondo l'Idv, i dirigenti della televisione pubblica che lavoravano negli interessi di Berlusconi devono pagare i danni. Da quanto emerge dalle intercettazioni del 2005, raccolte nell'ambito dell'inchiesta Hdc, infatti, a Viale Mazzini c'era una squadra che lavorava per non scontentare il Cavaliere. 'La struttura Delta', questo il nome del nucleo operativo composto da manager Rai e Mediaset, lavorava per favorire il Capo, per fare in modo che l'informazione fosse al suo servizio, organizzava i palinsesti perché il Biscione non perdesse share.


Deborah Bergamini, Fabrizio del Noce, Clemente Mimun, Gianfranco Comanducci e Alessio Gorla, però, dice adesso l'Italia dei valori, hanno ingannato i veri proprietari della Rai, ovvero i cittadini che pagano il canone. Il partito di Di Pietro annuncia: "Agiremo per vie legali - si legge in una nota il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando - e promuoveremo una class action per risarcire la Rai da coloro che hanno tradito il ruolo del servizio pubblico e hanno distrutto la libertà d'informazione". I dirigenti infedeli, continua la nota, che hanno lavorato per Mediaset e per Berlusconi devono pagare in prima persona per il danno che hanno procurato ai cittadini.


"Lorenza Lei - prosegue - dica da che parte sta, non ha più alibi, deve dimostrare di non aver nulla a che fare con questa struttura parallela lobbista e piduista, prendendo provvedimenti nei riguardi di coloro che hanno infangato l'azienda pubblica e che ancora sono al loro posto. Dovrebbe disporre un'indagine interna e cacciare chi rema contro".

Secondo l'Idv le notizie che arrivano dalla Rai confermano che la Struttura delta ancora esiste e lavora per favorire il Premier. "L'eliminazione di programmi di successo e di professionisti dell'informazione - prosegue l'esponente dipietrista - come Maria Luisa Busi, Milena Gabanelli, Michele Santoro, il duo Fazio-Saviano, Serena Dandini e tanti altri, dimostra come la struttura Delta sembra ancora operare in Rai. Il Dg batta un colpo ed esca dal suo imbarazzante silenzio o si renderà complice delle epurazioni e dell'implosione dell'azienda. Si capisce ora perché questo governo e questa maggioranza vogliono abolire le intercettazioni perché vogliono nascondere tutte le nefandezze che commettono".

"L'Italia dei Valori, che non si è mai seduta al tavolo della spartizione delle poltrone del Cda Rai - conclude Orlando - chiede nuovamente a tutte le forze politiche di fare un passo indietro e di promuovere una riforma seria del servizio pubblico radio televisivo per restituirlo ai cittadini. Una riforma da fare contestualmente alla risoluzione del conflitto d'interessi, per evitare che in futuro si nomino altri Cda in applicazione della legge Gasparri, norma che abbiamo tutti il dovere civile di abrogare".


(fonte: Repubblica)