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venerdì 3 giugno 2011

'Diaz' il film che nessuno vuole. La denuncia del regista Daniele Vicari.



Sono scappati tutti: Rai, Mediaset, distributori, banche, istituzioni, privati. La pellicola della Fandango sul massacro del G8 è oggetto di un incredibile boicottaggio. E la produzione si è rifugiata a Bucarest.

(03 giugno 2011)
Roma, quartiere Portonaccio. Sono in uno studio cinematografico per preparare "Diaz" e non avendo uno spazio per le prove con gli attori mi rivolgo al centro sociale Zona Rischio a pochi metri di distanza. Risposta: "Leggiamo in un comunicato del Comitato verità e giustizia che Fandango per produrre il film collabora con la Polizia, non siamo disponibili".

Resto senza fiato. Chiedo un colloquio con gli occupanti, vorrei capire fino in fondo. Accettano. A Cannes Domenico Procacci ha annunciato il via alle riprese, e ha aggiunto di non voler fare il film pregiudizialmente contro la Polizia, ma di aver chiesto un incontro con il prefetto Manganelli. Il Comitato verità e giustizia, con un automatismo stupefacente, ha emesso un comunicato durissimo accusandolo di aver fatto "analizzare" la sceneggiatura a Manganelli ma non a loro. I ragazzi del centro sociale sono ospitali e mi fanno molte domande. Non ho mai voluto parlare in pubblico del film perché sono troppo coinvolto, è un film difficile, e non voglio inutili discussioni. Ho incontrato tante persone travolte dalla vicenda, fortemente segnate. Il primo colloquio con Lorenzo Guadagnucci, uno dei firmatari del comunicato, mi ha convinto ad approfondire la ricerca. Lorenzo è una figura pubblica, ha scritto libri e articoli sulla Diaz.

Avevo bisogno di parlare con chi ha taciuto. Così ho incontrato decine di persone presenti nella scuola,
i loro avvocati, magistrati, giornalisti e anche poliziotti, seguendo uno schema di lavoro personale che ha portato me e Laura Paolucci a scrivere un film complesso. Perché non ho incontrato ufficialmente il Comitato? Perché ho preferito parlare con le persone singolarmente, anche quelle meno considerate: i tedeschi e i francesi, per esempio. Questo è il mio lavoro e serve per fare un film non un processo contro o a favore di qualcuno. Ma cosa racconterò? Non vicende private, farò un film corale con 140 personaggi ispirati alla realtà ma con nomi di fantasia.

Perché Procacci parla con la Polizia? Perché è un produttore, e chiunque in Italia (in Europa) faccia film raccontando Polizie o Forze Armate, per avere mezzi, divise o solo autorizzazioni deve farlo. Comunque fino ad oggi non c'è stata risposta: nessun incontro con Manganelli, nessuna collaborazione di alcun tipo e ormai è tardi, ci siamo organizzati. Procacci inoltre è un uomo libero e può permettersi di parlare con chi vuole, lasciando la sua libertà immutata. E anch'io, fino a prova contraria. Il problema è che "Diaz" è un film che in Italia nessuno vuole: nessun distributore, nessuna televisione, nessun finanziatore, nemmeno le banche e, ironia della sorte, ora anche il Comitato di verità e giustizia non è sicuro di volerlo. La cosa mi intristisce, ma credo faccia parte del prezzo che nel nostro Paese si paga sempre per la propria indipendenza di giudizio. L'entusiasmo e l'ammirazione che il progetto suscita fuori dall'Italia mi conforta non poco.

I ragazzi di Zona Rischio sono impegnati nelle lotte per l'acqua pubblica, alcuni fanno teatro e sono stati a Genova nel 2001 e su quel G8 hanno messo in scena spettacoli. I loro testi li condividono con il movimento? No! Mi chiedono se ho ancora bisogno dello spazio. Peccato, non più. Ci lasciamo con la voglia di tornarci su ma uno di loro mi fa una domanda: "Che si può fare per eliminare certe distorsioni? Per uscire dalle secche di certe discussioni intestine?". La domanda apre un baratro nella mia coscienza, non riguarda solo i centri sociali, riguarda l'intero Paese. L'unica cosa seria che mi viene è questa: essere spietati anche con noi stessi, non solo con gli altri. E poi mettersi in gioco davvero.

Ma io sono un regista, e il mio compito è fare un buon film, evitando l'impasse in cui si può cadere quando si affrontano temi controversi: mediando per motivi produttivi con tutte le parrocchie, si finisce per non convincere nessuno, men che meno gli spettatori. Non è facile essere all'altezza del compito, ma vorrei almeno provarci.

(fonte: Espresso)

mercoledì 25 maggio 2011

Giornalisti schiena dritta: Elisa Anzaldo


La giornalista ha chiesto di essere sollevata dalla conduzione dell'edizione della notte. "Non intendo mettere la mia faccia in un giornale che fa campagna politica"

ROMA – Il nuovo caso nel Tg1 scoppia in serata. Manca poco all´ora di cena quando sulla bacheca del tiggì condotto da Augusto Minzolini compare una lettera. È firmata da Elisa Anzaldo, storico volto della cronaca e attuale conduttrice dell´edizione della notte. Chiede al direttore di essere sollevata dalla conduzione perché non può più «mettere la faccia» in un giornale che nasconde le notizie in favore di una parte politica. Quella del premier Silvio Berlusconi. E giù con l´elenco delle news censurate per far piacere al Cavaliere. Non solo l´oscuramento del Rubygate, ma anche l´aver ignorato lo scandalo dei manifesti sui pm brigatisti, la proposta di un deputato del Pdl di cambiare l´articolo primo della Costituzione o il nuovo caos rifiuti a Napoli (trattato solo quando l´esecutivo ha mandato l´esercito). Tutte notizie scomode per il governo che – denuncia la giornalista – non sono state raccontate, o sono state raccontate solo in parte, al pubblico del telegiornale dell´ammiraglia Rai.

La richiesta della Anzaldo, noto mezzobusto dell´uno, era già arrivata a Minzolini lo scorso 19 aprile. Allora il direttore non aveva accontentato la conduttrice. L´aveva ricevuta e le aveva spiegato perché un lungo elenco di notizie delle quali aveva denunciato l´oscuramento lui non le considerasse tali, ovvero notizie. Ma dopo tre settimane, l´11 maggio, la conduttrice ha ripreso carta e penna e ha ribadito il concetto già espresso in precedenza: «Non posso più rappresentare un telegiornale che ogni giorno rischia di violare i più elementari doveri dell´informazione pubblica come equilibrio, correttezza, imparzialità e completezza dell´informazione». E ancora, «per motivi professionali e deontologici non ritengo più possibile mettere la faccia in un tg che fa una campagna di informazione contro». Ovvero contro una parte politica, l´opposizione, e a favore di un´altra, la maggioranza. Quindi ringrazia il direttore «per avermi spiegato il perché non consideri notizia quelle che io invece ritengo tali e come me molti mezzi di informazione». Clamoroso il caso-Lassini, che per giorni ha dominato le prime pagine dei quotidiani e lo spazio di molti altri tg. O la polemiche sulle spiagge in concessione per 90 anni, provvedimento sul quale il governo ha dovuto fare retromarcia. Tutti motivi per cui la Anzaldo chiede di non andare più in video a condurre, compito che per un telegiornalista equivale a firmare l´intero prodotto.

La Anzaldo ha deciso di rendere pubblica la richiesta di lasciare l´incarico dopo l´intervista monologo rilasciata al Tg1 venerdì scorso da Berlusconi e costata più 250mila euro di multa alla rete. Proprio dopo questo episodio sulla bacheca del telegiornale erano comparsi numerosi post-it di giornalisti scontenti per l´operato del direttore ma poi il Comitato di redazione si è spaccato: Attilio Romita non ha firmato la richiesta di concedere pari tempo a tutte le forze politiche e di garantire il pluralismo. Insomma il rispetto delle regole imposte dalla par condicio in campagna elettorale. Ad ogni modo oggi il Comitato di redazione oggi riceverà la Anzaldo e poi discuterà il suo caso con il “direttorissimo” Minzolini.

(fonte: Kataweb)