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martedì 10 aprile 2012

Modena, la Fornero chiude il sito sul lavoro. Web in rivolta: “Dalle lacrime alla censura”


Questa volta Anonymous non c’entra nulla. La censura e cancellazione di un sito web arrivano direttamente dai più solerti funzionari della segreteria del Ministero del Lavoro che, in data 5 aprile 2012, su richiesta del ministro Elsa Fornero hanno chiuso il sito internet del Dipartimento del Lavoro di Modena. Causa scatenante: sul sito incriminato le informazioni messe in rete non rappresenterebbero “in modo uniforme” i provvedimenti ministeriali. Tanto che da oggi con l’apparizione di una scarna home page il sito www.dplmodena.it avvisa gli utenti che “il segretario generale del ministero del lavoro e delle politiche sociali (…) ha provveduto alla chiusura della pagina. --- 
La Direzione Territoriale del Lavoro di Modena, che ancora viene chiamata con l’acronimo Dpl, è una delle 74 direzioni territoriali presenti su tutto il territorio italiano (ad esclusione di Trentino Alto Adige e Sicilia), sorta di articolazione periferica, generalmente con competenza in ambito provinciale, del Ministero del Lavoro. In Emilia Romagna le Dtl sono otto (Forlì, Ravenna, Ferrara, Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Rimini) e sono sottoposte alla Direzione regionale del lavoro dell’Emilia Romagna che ha sede in viale Masini a Bologna: luogo inaccessibile nei giorni di ferie pasquali, e irraggiungibile per qualsivoglia spiegazione ufficiale sulla censura calata dall’alto sui colleghi modenesi. --- 
Un provvedimento che lascia attonito il mondo sindacale e politico, nonché il popolo della rete che, proprio su un sito web come quello oscurato aveva contribuito a creare un traffico impressionante di contatti per richiesta di informazioni in un ambito come quello del diritto del lavoro che sta diventando sempre più un groviglio inestricabile in continua evoluzione. Dal 19 febbraio 2001, infatti, il portale costituiva un utile strumento di informazioni per coloro che lo visitavano, qualcosa come 18 milioni di persone durante gli undici anni di attività. --- 
“Per convincersene”, ha scritto Guido Scorza sul blog del fattoquotidiano.it, è sufficiente visitare alcune delle pagine del sito ancora accessibili nonostante la censura ministeriale: notizie relative ai diritti dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione, informazioni e commenti relativi alla riforma del sistema pensionistico, pagine dedicate alle opportunità di lavoro per gli extra-comunitari o al rinnovo del permesso di soggiorno, solo per fare qualche esempio”. --- 
Fulmine a ciel sereno la nota più che perentoria del Ministero: “Al fine di garantire una rappresentazione uniforme delle informazioni istituzionali e con riferimento agli obblighi di trasparenza ed ai profili di comunicazione e pubblicazione delle informazioni di interesse collettivo anche per quanto attiene agli uffici territoriali, si chiede di provvedere alla immediata chiusura del sito dplmodena.it”. --- 
L’accusa non tanto celata parrebbe quella di una sorta di travisamento o di elaborazione differente dei dati provenienti dal ministero. Una reinterpretazione soggettiva dei dati ministeriali da parte di chi gestisce il sito che agli occhi dei funzionari di via Vittorio Veneto deve essere risultata talmente lontana dalla realtà dei paragrafi governativi tale per cui se ne è dovuta ordinare la cancellazione come in quei paesi modello Cina e Birmania in cui vige la censura web dello stato. --- 
Su quale sia l’evento scatenante che ha portato all’oscuramento del sito, dal ministero ancora bocche cucite. Ma come era prevedibile, le reazioni di stupore e sdegno per la drastica decisione del dicastero retto dal Elsa Fornero non si sono fatte attendere. --- 
Dal mondo sindacale Cisl e Cgil si ritrovano compatte nello stigmatizzare l’accaduto. “Incomprensibile”, afferma Pasquale Coscia, della segreteria provinciale della Cisl, “Non si capiscono le ragioni di questo gesto. In attesa di spiegazioni il Ministero colmi subito il vuoto informativo che si apre da oggi e diventi esso stesso un autorevole ed esauriente punto di riferimento per gli addetti ai lavori”. “L’improvvisa chiusura del sito la riteniamo grave e ingiustificata“, scrive in una nota la segreteria Cgil di Modena, “il portale oltre a rappresentare per diversi anni un importante ed autorevole punto di riferimento ha ospitato in diverse occasioni pareri di autorevolissimi esperti di materie giuslavoristiche. Auspichiamo un immediato ripensamento da parte del Ministero del Lavoro per quella che consideriamo una decisione miope ed immotivata” --- 
Anche l’assessore provinciale al lavoro della provincia di Modena, Francesco Ori, si dice stupito: “Il servizio rappresentava la dimostrazione pratica della capacità di un ufficio periferico dello Stato di rapportarsi in modo positivo con le diverse figure che operano nel mercato del lavoro, compresa la Provincia. Invierò una lettera da parte del servizio Lavoro della Provincia di Modena al segretario generale del ministero del Lavoro per chiedere il ripristino del sito”. --- 
“Il sito internet della Direzione territoriale del Lavoro di Modena era un bell’esempio di proficua collaborazione tra istituzioni pubbliche e soggetti privati: averlo chiuso è un errore”, scrive il responsabile sindacale di Confcooperative Modena, Alessandro Monzani, in una mail inviata stamattina al ministro del Welfare Elsa Fornero per chiederle di revocare la decisione di chiudere il sito. “In questi anni il sito si è dimostrato chiaro ed equilibrato. Ci auguriamo che il Ministero riapra subito questo indispensabile canale informativo tra istituzione e parti sociali”. --- 
“Oltre a togliere i diritti dei lavoratori il governo vuole anche eliminare di imperio le fonti di conoscenza? – scrive Patrizia Bugnano, capogruppo dell’Italia dei valori in commissione attività produttive al Senato – Se Monti e Fornero credono di poter imporre il pensiero unico si sbagliano di grosso”. --- 
“Censura” e “berlusconismo”, invece, sono gli hashtag più digitati su Twitter accanto al nomedel ministro Fornero dallo scatenato popolo del web che non ha digerito la censura. Molti sostengono che una rimozione dei contenuti irregolari, qualora ce ne fossero, o un parziale blocco delle pagine, ove necessario, sarebbe stato anche accettabile: “Quello che non si comprende – si legge in un tweet – è come sia possibile trovare tracce del sistema adottato dall‘ultimo governo Berlusconi anche in questa nuova classe di professori, che 100 ne promettono e poi non ne attuano nemmeno una”. --- 
E in attesa delle spiegazioni dettagliate del ministro Fornero è già partita una raccolta firme sul web per ottenere l’immediata riapertura della pagina internet. E come scrive, con un certo sconcerto, una delle tanti voci di internauti “arrabbiati” rispetto al comportamento della titolare del dicastero del lavoro: ”Fornero: dalle lacrime alle forbici, dalle forbici alla gomma”.

(fonte: Il Fatto Quotidiano)

venerdì 24 giugno 2011

No alla legge bavaglio

Ora il governo vuole riproporre le norme per far calare il silenzio sull'inchiesta P4 e impedire nuove indagini delle procure. Questo logo è il simbolo del no a questa decisione della maggioranza, per difendere la democrazia.

venerdì 17 giugno 2011



Per la copertina di questa settimana, Internazionale aveva preparato uno spot radiofonico. Nella prima versione una voce leggeva il titolo di copertina “L’uomo che ha fottuto un intero paese” e poi spiegava che si trattava dello speciale dell’Economist sull’Italia.

La Rai si è rifiutata di mandarlo in onda. Hanno detto che per un regolamento interno dell’azienda la Rai non può trasmettere spot che contengono giudizi negativi su personaggi pubblici. Allora Internazionale ha cambiato lo spot, mettendo un bip al posto del giudizio negativo. Ma la Rai ha rifiutato anche questa versione. Se volete ascoltarla, eccola qui:


(fonte: Internazionale,Valigia Blu,La dignità dei giornalisti)

giovedì 16 giugno 2011

DIRITTO D'AUTORE. Pena di morte digitale L'Agcom minaccia la libertà del web, ma la Rete non lo sa.


Giovedì, 16 Giugno 2011. Fabio Chiusi

I critici non hanno dubbi. La bozza della delibera (la 668/2010) dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) è una mina da disinnescare al più presto, perché mette a repentaglio la sopravvivenza di migliaia di siti.
«È la più forte minaccia alla libertà di espressione in Rete che sia mai stata fatta in Italia», sostiene Fulvio Sarzana, avvocato e curatore del Libro bianco su diritti d'autore e diritti fondamentali nella Rete internet. Per Sarzana, infatti, la bozza della delibera potrebbe «decretare la pena di morte digitale di centinaia di migliaia di siti».

TESTO DEFINITIVO ENTRO FINE MESE.
La versione provvisoria del regolamento è stata rilasciata a dicembre 2010, e al momento non vi sono indicazioni ufficiali sull'approvazione di un testo definitivo. Ma secondo le fonti di Lettera43.it, è lecito ipotizzare la presentazione del progetto compiuto entro fine giugno.
Un rapido passaggio in consiglio di amministrazione Agcom, la pubblicazione entro 60 giorni in Gazzetta ufficiale e il testo sarà in vigore. «Cioè verso Ferragosto», ironizza Marco Scialdone, uno degli avvocati che ha proposto l'appello all'Authority «affinché effettui una moratoria sulla nuova regolamentazione sul diritto d'autore», come recita il testo consultabile su Sitononraggiungibile.e-policy.it.
La procedura della rimozione dei contenuti

Il nome del sito non è stato scelto a caso. Perché i siti potrebbero essere resi non raggiungibili tramite un sistema di cancellazione e inibizione degli indirizzi anche solo «sospettati», accusano i detrattori, di violare il diritto d'autore. Una procedura che, in gergo, si chiama notice and take down.
Secondo la delibera Agcom, se il titolare dei diritti di un contenuto audiovisivo dovesse riscontrare una violazione di copyright su un qualunque sito (senza distinzione tra portali, banche dati, siti privati, blog, a scopo di lucro o meno) può chiederne la rimozione al gestore. Che, «se la richiesta apparisse fondata», avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere.

CINQUE GIORNI PER IL CONTRADDITTORIO.
Se ciò non dovesse avvenire, il richiedente potrebbe, secondo la delibera ancora in bozza, rivolgersi all'Authority che «effettuerebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro cinque giorni», comunicandone l'avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. E in caso di esito negativo, l'Agcom potrebbe disporre la rimozione dei contenuti.
Per i siti esteri, «in casi estremi e previo contraddittorio», è prevista «l’inibizione del nome del sito web», prosegue l'allegato B della delibera, «ovvero dell’indirizzo Ip, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, o ancora per i casi di pedopornografia».
«Ma la competenza è dell'autorità giudiziaria»

Tutto chiaro? Niente affatto. I critici, infatti ritengono che l'Authority rischia di finire travolta dalle segnalazioni. La richiesta di moratoria promossa da Adiconsum, Agorà digitale, Altroconsumo, Assonet-Confesercenti, Assoprovider-Confcommercio e dallo studio legale Sarzana, è poi chiara su un'altra criticità: «L'intera procedura» si svolge «senza alcuna forma di consultazione o interazione con l'Autorità giudiziaria».

UNA DELIBERA ANTICOSTITUZIONALE.
Violando così, attacca Sarzana, «i principi costituzionali di riparto dei poteri, perché l'Agcom interverrebbe in un settore riservato da un lato al parlamento», cioè introducendo «nuove forme di repressione delle violazioni del diritto d'autore, «e dall'altro all'ambito giudiziario».
Solo a quest'ultimo, argomenta l'avvocato, e non all'Authority, spetta decidere come un soggetto possa essere chiamato a rispondere di violazioni del copyright. Per questo i detrattori della delibera affermano che sia sufficiente il «sospetto» di una violazione: «Perché non si capisce chi giudica», afferma Scialdone, «e se il giudizio sia sommario e quantitativo oppure sia necessario che un determinato sito sia integralmente in violazione del diritto d'autore».

DAL DIRITTO D'AUTORE ALLA CENSURA.
Incostituzionale, dunque, e tanto più grave quanto si ricorda, come fa Scialdone, che «l'Agcom è una autorità nominata dal parlamento, ed è dunque espressione di una autorità politica». Insomma, l'impressione è che il diritto d'autore «sia usato come grimaldello», dice Sarzana, per censurare contenuti scomodi.
Del resto, che si tratti di una vicenda eminentemente politica si deduce dal fatto che il suo originario relatore, il consigliere Nicola D'Angelo, è stato rimosso per aver manifestato delle perplessità. E sostituito da Sebastiano Sortino, ex presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg). Senza contare che la delibera è di fatto una costola del criticatissimo decreto Romani, che reca la firma dell'attuale ministro dello Sviluppo economico.
È forte, dunque, la sensazione che il provvedimento abbia un preciso mandante politico: il governo in carica. E che quest'ultimo, a sua volta, sia stato fortemente influenzato dalle richieste dell'industria dell'intrattenimento.
«Meno accesso per i cittadini a risorse estere»

Ma le critiche si concentrano sulle conseguenze di una simile normativa per i cittadini. «A parte l'equiparazione, molto sciocca, tra diritto d'autore e pedofilia», attacca Sarzana, «l'effetto è impedire ai cittadini italiani di avere accesso a determinate risorse estere». E «senza che lo sappiano», aggiunge.
L'avvocato ricorre a una metafora: «È come se entrassero in una biblioteca e scoprissero che mancano alcuni libri. Al loro posto, un cartello con scritto: 'Qualcuno si è lamentato che questo libro violava i diritti d'autore e non c'è più'».

OBIETTIVO: ARGINARE I DOWNLOAD.
La conseguenza è chiara: «Si sta isolando il nostro Paese, e tutto questo per chiudere quattro o cinque siti». Le associazioni annunciano ricorso al Tar non appena il testo definitivo della delibera sarà approvato.
Su Avaaz.org le firme raccolte per chiedere all'Agcom di «rimettere la questione al parlamento, come prevede la nostra Costituzione», sono 64.500. Eppure la mobilitazione in Rete e da parte delle opposizioni è stata sommessa rispetto alle levate di scudi contro il comma «ammazza-blog» del disegno di legge Alfano, il decreto Pisanu (che limitava la diffusione del Wi-fi libero) e lo stesso decreto Romani.
Come mai? «L'obiettivo è evitare che la gente scarichi musica e film da Internet», risponde Sarzana, «e chi vuole raggiungerlo è molto forte. In termini di potere e di voti di determinate categorie, interessa non solo a chi è al governo».

IL PLACET DI FINI. 
Intanto il cammino della delibera prosegue indisturbato, con il placet di Fimi, Confindustria cultura e del presidente Agcom, Corrado Calabrò. E perfino del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Che, dopo aver definito internet «strumento di democrazia» e difeso la libertà di espressione sul web, introducendo la relazione dell'Authority alla Camera, si è limitato ad affermare che la riforma complessiva del diritto d'autore spetta al parlamento, anche se per il momento l'Agcom è autorizzata a proseguire il lavoro.
La replica: «Propaganda e disinformazione»

I commissari Agcom Stefano Martusciello e Stefano Mannoni, in un intervento su Milano Finanza, hanno replicato definendo i critici delle delibera degli «arruffapopolo che indulgono in tirate di propaganda e disinformazione» che hanno prodotto «una sbornia di demagogia e di pressappochismo». Aggiugendo, inoltre, di essere al contrario al lavoro per «impedire» che il web diventi un «laboratorio» per la censura.

PER I COMMISSARI AGCOM, ARGOMENTAZIONI DEBOLI.
«Sarebbe davvero curioso», hanno proseguito, «che una conquista della modernità giuridica, alla base della fortuna e dell'economia e dell'inventiva europea fosse ipotecata a cuor leggero in nome di una chiamata alle armi dei moderni pirati dei Caraibi». E le critiche? «Gli argomenti farebbero arrossire uno studente al secondo anno di Giurisprudenza».
Quanto al merito delle critiche, Martusciello e Mannoni credono che «la riserva di legge sia pienamente rispettata da un quadro di fonti che conferisce all'autorità amministrativa ampio titolo per adottare provvedimenti inibitori efficace». Inoltre, secondo i commissari «la riserva di giurisdizione sia rispettata dalla possibilità di chiunque di impugnare i provvedimenti davanti al giudice amministrativo».

(fonte: Lettera43)

venerdì 3 giugno 2011

'Diaz' il film che nessuno vuole. La denuncia del regista Daniele Vicari.



Sono scappati tutti: Rai, Mediaset, distributori, banche, istituzioni, privati. La pellicola della Fandango sul massacro del G8 è oggetto di un incredibile boicottaggio. E la produzione si è rifugiata a Bucarest.

(03 giugno 2011)
Roma, quartiere Portonaccio. Sono in uno studio cinematografico per preparare "Diaz" e non avendo uno spazio per le prove con gli attori mi rivolgo al centro sociale Zona Rischio a pochi metri di distanza. Risposta: "Leggiamo in un comunicato del Comitato verità e giustizia che Fandango per produrre il film collabora con la Polizia, non siamo disponibili".

Resto senza fiato. Chiedo un colloquio con gli occupanti, vorrei capire fino in fondo. Accettano. A Cannes Domenico Procacci ha annunciato il via alle riprese, e ha aggiunto di non voler fare il film pregiudizialmente contro la Polizia, ma di aver chiesto un incontro con il prefetto Manganelli. Il Comitato verità e giustizia, con un automatismo stupefacente, ha emesso un comunicato durissimo accusandolo di aver fatto "analizzare" la sceneggiatura a Manganelli ma non a loro. I ragazzi del centro sociale sono ospitali e mi fanno molte domande. Non ho mai voluto parlare in pubblico del film perché sono troppo coinvolto, è un film difficile, e non voglio inutili discussioni. Ho incontrato tante persone travolte dalla vicenda, fortemente segnate. Il primo colloquio con Lorenzo Guadagnucci, uno dei firmatari del comunicato, mi ha convinto ad approfondire la ricerca. Lorenzo è una figura pubblica, ha scritto libri e articoli sulla Diaz.

Avevo bisogno di parlare con chi ha taciuto. Così ho incontrato decine di persone presenti nella scuola,
i loro avvocati, magistrati, giornalisti e anche poliziotti, seguendo uno schema di lavoro personale che ha portato me e Laura Paolucci a scrivere un film complesso. Perché non ho incontrato ufficialmente il Comitato? Perché ho preferito parlare con le persone singolarmente, anche quelle meno considerate: i tedeschi e i francesi, per esempio. Questo è il mio lavoro e serve per fare un film non un processo contro o a favore di qualcuno. Ma cosa racconterò? Non vicende private, farò un film corale con 140 personaggi ispirati alla realtà ma con nomi di fantasia.

Perché Procacci parla con la Polizia? Perché è un produttore, e chiunque in Italia (in Europa) faccia film raccontando Polizie o Forze Armate, per avere mezzi, divise o solo autorizzazioni deve farlo. Comunque fino ad oggi non c'è stata risposta: nessun incontro con Manganelli, nessuna collaborazione di alcun tipo e ormai è tardi, ci siamo organizzati. Procacci inoltre è un uomo libero e può permettersi di parlare con chi vuole, lasciando la sua libertà immutata. E anch'io, fino a prova contraria. Il problema è che "Diaz" è un film che in Italia nessuno vuole: nessun distributore, nessuna televisione, nessun finanziatore, nemmeno le banche e, ironia della sorte, ora anche il Comitato di verità e giustizia non è sicuro di volerlo. La cosa mi intristisce, ma credo faccia parte del prezzo che nel nostro Paese si paga sempre per la propria indipendenza di giudizio. L'entusiasmo e l'ammirazione che il progetto suscita fuori dall'Italia mi conforta non poco.

I ragazzi di Zona Rischio sono impegnati nelle lotte per l'acqua pubblica, alcuni fanno teatro e sono stati a Genova nel 2001 e su quel G8 hanno messo in scena spettacoli. I loro testi li condividono con il movimento? No! Mi chiedono se ho ancora bisogno dello spazio. Peccato, non più. Ci lasciamo con la voglia di tornarci su ma uno di loro mi fa una domanda: "Che si può fare per eliminare certe distorsioni? Per uscire dalle secche di certe discussioni intestine?". La domanda apre un baratro nella mia coscienza, non riguarda solo i centri sociali, riguarda l'intero Paese. L'unica cosa seria che mi viene è questa: essere spietati anche con noi stessi, non solo con gli altri. E poi mettersi in gioco davvero.

Ma io sono un regista, e il mio compito è fare un buon film, evitando l'impasse in cui si può cadere quando si affrontano temi controversi: mediando per motivi produttivi con tutte le parrocchie, si finisce per non convincere nessuno, men che meno gli spettatori. Non è facile essere all'altezza del compito, ma vorrei almeno provarci.

(fonte: Espresso)

lunedì 9 maggio 2011

Il bavaglio Rai al referendum. Democrazia in caduta libera!


Date: 20 aprile 2011 11:23

Ciao a tutti,

confermo la necessità di questo passaparola, aggiungendo che si tratta di informazione per ri-affermare i diritti costituzionalmente garantiti . Il dramma è che sembra la maggior parte della popolazione non sia consapevole di quanto sta avvenendo.

Quello che Vi porto è solo un piccolo esempio. Sono una ricercatrice, mi occupo di diritto ambientale e di risorse idriche. Ieri mattina dovevo intervenire ad un programma RADIO RAI (programmato ormai da due settimane) per parlare del referendum sulla privatizzazione dell'acqua e chiarirne meglio le implicazioni giuridiche.

'E arrivata una circolare interna RAI alle 8 di ieri mattina che ha vietato con effetti immediati a qualunque programma della RAI di toccare l'argomento fino a giugno (12-13 giugno quando si terrà il referendum), quindi il programma è saltato e il mio intervento pure.

Questo è un piccolo esempio delle modalità con cui "il servizio pubblico" viene messo a tacere e di come si boicotti pesantemente la possibilità dei cittadini di essere informati e di intervenire (secondo gli strumenti garantiti dalla Costituzione) nella gestione della res publica. Di fronte a questa ennesima manifestazione di un potere esecutivo assoluto che calpesta non solo quotidianamente le altre istituzioni, ma anche il popolo italiano di cui invece si fregia di esser voce ed espressione, occorre riappropriarci della nostra voce prima di perderla definitivamente.

Il referendum è evidentemente anche questo!

Mariachiara Alberton



RICORDATEVI CHE DOVETE PUBBLICIZZARLO VOI IL REFERENDUM... perchè il Governo non farà passare gli spot ne' in Rai ne' a Mediaset.
Sapete perché ? Perché nel caso in cui riuscissimo a raggiungere il quorum lo scenario sarebbe drammatico per i governanti ma stupendo per tutti i cittadini italiani:
Vi ricordo che il referendum passa se viene raggiunto il quorum. E' necessario che vadano a votare almeno 25 milioni di persone

Il referendum non sarà pubblicizzato in TV e Radio.

I cittadini, non sapranno nemmeno che ci sarà un referendum da votare il 12 giugno. QUINDI : I cittadini, non andranno a votare il referendum.

Vuoi che le cose non vadano a finire cosi? Copia-incolla e pubblicizza il referendum a parenti, amici, conoscenti e non conoscenti.

Passaparola!

martedì 3 maggio 2011

Il bavaglio Rai al concertone del Primo Maggio

Cantanti e artisti obbligati a firmare una liberatoria: vietato parlare di politicaIl classico concertone del Primo maggio è piaciuto a chi l’ha visto sul divano e a chi era in piazza San Giovanni. Ma nessuno dei cantanti e dei comici ha potuto informare i cittadini-spettatori (2,5 milioni da casa) che il prossimo 12 e 13 giugno ci sarà un referendum sul legittimo impedimento, sulla privatizzazione dell’acqua e sull’energia nucleare. Nessuno ha potuto sfiorare l’argomento perché la Rai, che ha trasmesso l’evento comprandone i diritti per 700 mila euro, ha obbligato i partecipanti a firmare una liberatoria che vietava di esprimere valutazioni sul prossimo voto amministrativo o di parlare anche genericamente dei referendum. Una decisione imposta a Raitredalla direzione generale di viale Mazzini, proprio nei giorni del cambio di guardia tra il dimissionarioMauro Masi e il probabile successore, il vicedirettore Lorenza Lei.

(video di Luigina D’Emilio e Paolo Dimalio)

La manifestazione di piazza San Giovanni rientra nel periodo di par condicio sia dei referendum e sia del voto nei comuni e nelle province italiane, ma la legge non vieta a cantanti, comici e artisti di discutere del rischio nucleare o della complessa questione dell’acqua, proprio perché non sono politici. Vince la strategia del governo che vuole insabbiare il triplo referendum: da una parte impedisce alla commissione parlamentare di Vigilanza Rai di approvare il regolamento per indicare come e quando istituire programmi di informazione sul tema, d’altra con le liberatorie vieta a chiunque vada in televisione di far nemmeno un cenno all’esistenza della consultazione del 12 e 13 giugno.

E così sul concertone, fatto di musica, emozioni, ricordi e Unità d’Italia, è calata una campagna di vetro per aiutare il governo a boicottare il referendum. Tutti coloro che hanno intrattenuto la piazza e il pubblico da casa per dieci ore – dal presentatore Neri Marcorè ad Ascanio Celestini - sono stati costretti a peripezie retoriche per toccare l’attualità che il governo cerca di nascondere. Paolo Ruffini, direttore di Raitre, precisa che si trattava di “normale prassi”. Ma Antonio Di Pietro (Idv) la pensa diversamente: “La liberatoria è una illegalità. E’ curioso che si applichi solo la parte proibitiva del regolamento, peraltro non ancora approvato”. E oggi si riunisce la commissione di Vigilanza che proverà, nonostante l’ostruzionismo della maggioranza di Pdl e Lega, a far approvare il regolamento per dare spazio e dignità al referendum nel servizio pubblico. Il presidente Sergio Zavoli rassicura: “Di fronte a un problema che è anche di urgenza se necessario provvederemo a riunirci ad oltranza”. Dietro le quinte era un continuo vociare sopra i decibel del palco. Ascoltavi i cantanti, gli artisti presenti parlare tra loro, confrontarsi, cercare di capire il perchè di questa liberatoria, di questa forma di bavaglio imposta dalla Rai.

Così ecco Enrico “Erriquez” Greppi, frontman franco-lussemburghese-fiorentino dei Bandabardò raggiungere le telecamere del Fatto per rassicurare: “Noi comunque il nostro messaggio lo lanceremo alla piazza”. O Ascanio Celestini espiremere tutto il suo sconcerto: “È una vergogna, non possiamo parlare di referendum. Ma che democrazia è questa?”. E ancora Gherardo Colombo, Eugenio Finardi e Luca Barbarossa, pronti a unirsi al coro. Nel frattempo gli organizzatori del concerto si muovevano tra le quinte per spiegare, rassicurare, scaricare ogni responsabilità. Insomma, per dire a tutti: “Non è colpa nostra, non c’entriamo niente”. All’interno dell’area privata, erano bandite anche le bandiere con la scritta “sì”, le uniche visibili, eccole lì tra il pubblico, appese a qualche lampione, mai inquadrate dalle telecamere. Sempre par condicio. In mezzo Antonio Di Pietro, presente già alle prime ore del concerto: è lui a portare la politica dentro, a confermare l’appoggio totale ai tre quesiti, a denunciare il silenzio. Un silenzio obbligato.

articolo di Alessandro Ferrucci e Carlo Tecce