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lunedì 11 luglio 2011

L'inquinamento costa 10 miliardi e 8.200 morti. Ambiente urbano. Servono interventi radicali, ma giustificati dagli enormi costi sociali del fenomeno.

di Marco Percoco, assistant professor al Dipartimento di analisi istituzionale e management pubblico alla Bocconi


La World health organization ci ha ricordato, se mai ve ne fosse bisogno, che la qualità dell’ambiente urbano in Italia è scadente. Delle quattro città più inquinate d’Europa, tre sono italiane. La maglia di più inquinata del Vecchio Continente va a Plovdiv in Bulgaria, seguita da Torino, Brescia e Milano. Quest’ultima è nel gruppetto di testa, nonostante decenni di interventi di lotta allo smog più o meno efficaci.

Le città hanno conosciuto e mostrato un interesse nei confronti del problema inquinamento altalenante e non sempre sostenuto da una visione di lungo periodo. Ultimamente, sembra aver prevalso la rassegnazione sia dal lato dei cittadini sia da quello degli amministratori locali, come se la famigerata concentrazione di PM10 e di NOx fosse un inevitabile prodotto dello sviluppo economico. Ma la Who ha stimato in 8.200 i decessi attribuibili all’inquinamento nelle 13 città italiane più grandi; ben 2.000 di queste morti avvengono a Milano. Tutto ciò ha un costo per la collettività, un costo invero significativo in questo caso. Se si considera che la stima del valore sociale di una vita umana è di circa 1,2 milioni di euro, si ottiene che il costo sociale dell’inquinamento è di quasi 10 miliardi di euro, di cui 2,4 per la sola Milano.
Sebbene questa cifra possa sembrare enorme, va detto che essa rappresenta una stima per difetto sia perché lo studio fornisce dati anche sulle malattie indotte dallo smog e non necessariamente mortali (si pensi all’asma), non ricomprese nel costo sociale, sia perché l’analisi della Who considera solo il territorio comunale e non quello metropolitano.

Le città italiane hanno fatto qualcosa negli ultimi anni per far fronte all’inquinamento, ma hanno fatto poco e male. Gli interventi di regolazione del traffico (che contribuisce per oltre il 50% alla produzione di PM10) a mezzo di zone a traffico limitato, targhe alterne, domeniche a piedi, si sono rivelati generalmente inefficaci.
Milano ha adottato, al pari di altre città europee, una tassa per le automobili che entrano nel centro della città, il cosiddetto Ecopass. Tale intervento ha abbassato il livello medio di concentrazione di polveri sottili del 17-18%, con evidenti e significative ricadute per la salute pubblica. Studi recenti dimostrano che l’applicazione dell’Ecopass ha prodotto una variazione positiva del benessere sociale, in alcuni casi addirittura superiore a quella generata dalla tassa sulla congestione londinese.
Ma è necessario fare di più a Milano come nelle altre città italiane. L’introduzione di una tassa sull’inquinamento può apportare significativi guadagni per la collettività purché applicata in maniera estensiva. Inoltre, incentivi all’acquisto di mezzi ecologici (o disincentivi all’acquisto di auto più inquinanti come i suv, così come paventato dal recente decreto sul federalismo fiscale) potrebbero garantire sicuri benefici sociali, sebbene solo nel lungo periodo.

Infine, il consumo di suolo nelle aree periurbane va limitato. La dispersione urbana produce un incremento dei chilometri percorsi dalle persone che si spostano dalle periferie verso il centro, con un conseguente deterioramento dell’ambiente. Una città metropolitana più compatta garantirebbe, invece, una migliore gestione della mobilità e un minor ricorso all’automobile e, di conseguenza, un minore inquinamento.
Questi interventi sono necessari, anche se sembrano estremamente costosi, ma forse un problema da circa 10 miliardi di euro all’anno vale un’attenzione e un attivismo superiori a quelli attuali.

(fonte: SDA Bocconi)

domenica 5 giugno 2011

All'Italia mazzette sull'atomo



L'allerta diventa massima nel 2008, quando Berlusconi assicura agli Usa che stavolta il suo esecutivo "rilancia sul serio il settore. Se andranno davvero avanti, ci saranno contratti per decine di miliardi". Con una minaccia: "Vediamo già un'azione di lobbying ad alto livello da parte dei leader del governo inglese, francese e russo". I colloqui con il consigliere diplomatico del ministro Claudio Scajola, Daniele Mancini, "suggeriscono che i francesi e i russi stanno già manovrando e facendo lobbying per i contratti". Ed ecco la previsione: "La corruzione è pervasiva in Italia e temiamo che potrebbe essere uno dei fattori che dovremo affrontare andando avanti". L'avversario è Parigi, che può sfruttare gli intrecci economici tra Enel ed Edf per stendere la sua trama. "Temiamo che i francesi abbiano una corsia preferenziale a causa della loro azione di lobbying ai più alti livelli e a causa del fatto che le compagnie che probabilmente costruiranno gli impianti in Italia hanno tutte un qualche tipo di French connection. Continueremo i nostri energici sforzi per garantire che le aziende americane abbiano una giusta chance".

Pochi mesi dopo i francesi danno scacco: Sarkozy e il Cavaliere firmano l'accordo che assegna ad Areva la costruzione di quattro reattori modello Epr in Italia. Siamo a febbraio 2009, la diplomazia statunitense vuole impedire che il successo di Parigi si trasformi in scacco matto. E intensifica gli sforzi per occupare gli spazi rimasti, ossia la fornitura di almeno altre due centrali. A maggio arriva a Roma il Mister Energia di Obama, Steven Chu.

L'ambasciata lo mette in guardia: "L'intensa pressione dei francesi, che forse comprende tangenti ("corruption payment") a funzionari del governo italiano, ha aperto la strada all'accordo di febbraio tra le aziende parastatali italiana e francese, Enel e Edf, in modo da formare un consorzio al 50 per cento per costruire centrali in Italia e altrove. L'intesa prevede la costruzione di quattro reattori dell'Areva entro il 2020 e, cosa ancora più preoccupante, può imporre quella francese come tecnologia standard per il ritorno dell'Italia al nucleare".

Gli americani ipotizzano che dietro la scelta degli standard a cui affideremo il nostro futuro e la sicurezza del Paese ci possano essere state bustarelle. E chiedono al ministro per l'Energia: "Dovrebbe far presente che abbiamo preoccupanti indicazioni del fatto che alle aziende americane sarà ingiustamente negata l'opportunità di partecipare a questo programma multimiliardario". L'ambasciata è molto decisa nel delineare un contesto di scorrettezza. Il promemoria scritto da Elizabeth Dibble, all'epoca reggente della sede di Roma oggi diventata consigliera di Hillary Clinton, insiste: "E' anche molto importante che ricordi al governo italiano che ci aspettiamo pari opportunità per le nostre aziende, visto quello che abbiamo notato fino a oggi nel processo di selezione".

RUSSIA? NO GRAZIE.
Alla fine del 2008 gli Usa ritengono che Berlusconi stia per annunciare un accordo per il nucleare anche con Mosca. Ma uno degli uomini chiave del ministero dello Sviluppo Economico, Sergio Garribba, rassicura gli americani e "ridendo" spiega la reale natura della collaborazione atomica con i russi: "E' una barzelletta, solo pubbliche relazioni". L'ambasciata scrive che l'alto funzionario "probabilmente ha ragione: gli italiani nel 1987 hanno chiuso il loro programma in risposta a Chernobyl...". Ma non si fidano completamente "visti gli stretti rapporti tra Berlusconi e Putin". E temono che comunque la coalizione tra Eni e Gazprom per il gas, che alimenta anche le centrali elettriche, si trasformerà in un muro per ostacolare il nucleare. "Si dice che l'Eni stia facendo una dura azione di lobbying contro la riapertura della partita da parte di Enel", registra nel 2005 l'ambasciatore Sembler, "perché ridurrebbe sia il mercato di Eni che la sua influenza politica". Anche se le resistenze più forti verranno dal nimby, l'opposizione delle comunità locali ai nuovi reattori. "L'Italia è una penisola lunga e stretta, con una spina dorsale di catene montuose e con coste densamente popolate. Il numero dei siti dove costruire impianti è limitato... Se continua a decentralizzare i poteri alle regioni attraverso le riforme costituzionali - sostengono i nostri contatti - un revival nucleare sarà veramente improbabile". Forse per questo, in tempi più recenti, l'ambasciata "programma" di contattare anche il leghista Andrea Gibelli, che presiede la commissione Attività produttive della Camera.

(fonte: L'Espresso)

mercoledì 27 aprile 2011

Gli animali di Fukushima


Gli animali di Fukushima sono rimasti all'interno della zona contaminata di 30 km. I loro padroni sono fuggiti. Tutti gli animali sono radioattivi, nessuno può più uscire dall'area. Tremila mucche, trentamila maiali, 600mila polli e un numero imprecisato di animali domestici. I cani sopravvissuti si avvicinano alle rare macchine autorizzate in cerca di cibo. Intorno a loro c'è un silenzio irreale e abitazioni abbandonate. Quasi tutto il pollame è morto. Le mucche e i vitelli, dove non vi sono fattorie con alimentatori automatici, sono morti di fame e di sete. Secondo le autorità giapponesi il 70% dei maiali e il 60% del bestiame è morto. I proprietari degli allevamenti hanno chiesto di portar fuori dal terreno radioattivo gli animali, o di entrare per praticare una forma di eutanasia. Le richieste sono state negate per la paura di contaminazione. Alcuni hanno ignorato il divieto e sono entrati nella zona proibita per portare in salvo i loro cani, condannando però anche sé stessi. L’acqua del mare a 30 chilometri dalla centrale nucleare ha una concentrazione di Iodio-131 di 88,5 becquerels per litro, il valore più alto registrato finora. La radioattività è 2,2 volte il limite massimo ammesso per le acque di scarico delle centrali nucleari. La fauna ittica presente nelle acque del Pacifico per decine di chilometri di fronte a Fukushima è contaminata. La radioattività si diffonderà in modo esponenziale quando le piccole prede saranno mangiate da altri pesci. Dovremo andare al supermercato con il contatore geiger. Ci abituereremo anche a questo.
Fukushima è una versione aggiornata della "Fattoria degli animali" di George Orwell dove però comandano, al posto dei maiali, i topi di fogna. Quelli che vivono lucrando sulla pelle degli altri, uomini o bestie non ha importanza. Che nascondono i rischi, che usano i media per accreditare le loro tesi, che espongono le generazioni future a un mondo desolato. I topi di fogna, quando l'aria si fa pesante, hanno l'abilità di nascondersi nel loro habitat naturale, le fogne per l'appunto. Spariscono dalla circolazione. Dove sono l'inconsapevole Scaiola, la Marcegaglia, il Fini delle centrali italiane di "ultimissima generazione", la Prestigiacomo, unico ministro dell'Ambiente nel mondo ad aver dichiarato dopo Fukushima che il nucleare andava avanti? Dove sono i ratti dell'atomo come Veronesi e Chicco Testa? Dove si è nascosto il pregiudicato Scaroni dell'ENI? Nuclearisti delle mie balle, dove siete? Se vi illudete che annullare il referendum, far passare un anno e poi fottere di nuovo gli italiani con il ritornello del nucleare vi sbagliate. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.

(fonte: Beppe Grillo)