DEBITO PUBBLICO

RAPPORTO DEBITO/PIL

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venerdì 6 aprile 2012

Forlì, 85enne tenta il suicidio per paura di perdere la casa



L'abitazione è stata messa all'asta in tribunale per problemi finanziari. Le condizioni della donna, estratta dal pozzo nel quale si era gettata, sono in miglioramento. Sono diciassette le persone che in Italia da inizio 2012 hanno tentato il suicidio per problemi legati alla crisi economica 

Le avevano messo all’asta la casa per risolvere dei problemi economici. Per questo motivo, ieri mattina a Forlì, un’anziana di 85 anni ha tentato il suicidio gettandosi in un pozzo. Lì sarebbe rimasta, nel cortile della sua abitazione in via Don Servadei all’estremo nord della periferia cittadina, per circa un’ora, fino a quando è stata salvata dagli uomini dei vigili del fuoco. 

La donna vive sola. A dare l’allarme è stata la sorella, che era andata a trovarla e si è insospettita non vedendola in casa. Precipitata per quasi tre metri, l’anziana era già in stato di ipotermia e non avrebbe potuto resistere a lungo. L’operazione di recupero è stata effettuata dagli uomini della squadra alpino-fluviale dei vigili del fuoco, che sono intervenuti in tempi rapidi.

La donna è stata estratta dal pozzo cosciente e portata all’ospedale Morgagni-Pierantoni di Forlì. Il giorno dopo le sue condizioni sono in netto miglioramento, ma data l’età i medici non si sbilanciano sulla prognosi. Il suicidio sarebbe dovuto, secondo le prime fonti investigative, alla disperazione della donna di perdere la casa, messa all’asta in tribunale per problemi economici. 

Il volo di quattro metri, però è finito nell’acqua gelida e l’istinto di sopravvivenza avrebbe comunque spinto l’anziana signora ad aggrapparsi ad un tubo della pompa che aspira l’acqua e salvarsi. Sono sedici, e con il gesto a Forlì di ieri diciassette, le persone che in Italia da gennaio ad oggi hanno tentato il suicidio per motivi legati alla crisi economica. Solo pochi giorni fa, a Bologna, il tragico tentativo di suicidio di un artigiano davanti all’Agenzia delle Entrate. 

mercoledì 31 agosto 2011

Finta di niente...


Dico ma, davvero davvero questi sapiens della politica non si rendono conto che hanno fallito in massa? È mai possibile che non si siano accorti e non si stiano accorgendo che il popolo li sta accerchiando e con sempre maggiore convinzione di fargliela pagare?

Un qualsiasi essere umano sano di mente, già, sano di mente, avrebbe caricato le valige nel bagagliaio insieme al bottino di una vita, una valanga inimmaginabile di denari sottratti al paese e via andare in una qualche paradisiaca località a godersi gli ultimi grassi rantoli di una vita da infami.

Macchè! Sembrano quei rapinatori incalliti che dopo avere passato decenni a saccheggiare in qua e in la i beni migliori ed avere profanato ogni locale dove c’era qualcosa di valore anche presunto, mai sazi, si riuniscono tutta la banda insieme e dicono per l’ennesima volta: “facciamo questo ultimo colpo e poi ci ritiriamo”.

Ad onore del vero il paese sperava che “l’ultimo colpo” l’avessero fatto ai tempi di mani pulite, e nessuno mai si sarebbe immaginato che dopo la tristissima epoca “Craxiana” che ha tappezzato la nazione di fazzoletti e pannolini, ci sarebbe stato un susseguirsi di operazioni catastrofiche tali da dovere aprire centinaia di inchieste, “piedi puliti, viso pulito, pancia pulita e colon pulito”.

Ma la parte più incredibile è che i “malfattori” i quali hanno svaligiato tutto, sono gli stessi che stanno raccontando alla nazione che “qualcuno” si è impossessato dei gioielli di famiglia e che non ci sono più gli ori, gli argenti, i soprammobili, i tappeti e la carta igienica. Non solo, ma ogni maledetto giorno ci dicono che tocca “al popolo” riparare i portoni scassinati e riacquistare i materiali preziosi, altrimenti siamo rovinati. Praticamente ci troviamo davanti ad un manipolo di farabutti che hanno seminato per decenni centinaia di migliaia di bombe senza catalogare il luogo del deposito, e adesso ci vengono a dire che LORO sono in grado di evitare l’immensa esplosione a catena che sta per partire. Siamo all’apice dell’assurdo. L’Italia è un paese dove non c’è nessun limite all’indecenza, dove se sei un politico e ti beccano nudo a un droga party con il pistolino in mano, potrai serenamente dimostrare che partecipavi a un “meeting” cattolico dove insegnano a NON fare la pipì negli angoli delle strade e a rimuovere “la polvere” senza sporcarsi. L’importante è il pelo sullo stomaco, la faccia tosta e … finta di niente!

Sono certo e non sono l’unico a pensare che le piazze si riempiranno ogni settimana, poi ogni giorno, e infine ogni ora del giorno senza sosta fin quando l’Italia potrà in qualche modo assomigliare all’Islanda. Dico “in qualche modo” perché in Islanda molti appartenenti politici e i banchieri individuati quali responsabili del default sono stati arrestati (notizie che nei nostri TG non passano) mentre qui da noi tutto ciò ce lo possiamo scordare o quanto meno è assai difficile, poiché in un sistema corrotto e marcio da una vita porta dentro di se tutta la malattia di una società inebetita e per certi versi connivente. Mi basterebbe che dall’Islanda prendessimo anche solo l’esempio di come si può riformare una classe dirigente attingendo “uomini comuni” di fra il popolo, e che il nostro debito pubblico così come quello Islandese fosse azzerato, che se lo paghino gli speculatori e i banchieri se ci riescono!!!

L’importante è che le formiche possano ricominciare a lavorare per se e non per quelle scassa palle di cicale che prima smettono di “frignare” e meglio è. Ma soprattutto quel fastidioso incessante ipocrita rumore di cicale ci ha veramente frantumato la sacca scrotale, e prima se ne vanno a ronzare in altre isole e penisole e prima potremo sperare di recuperare quel che rimane. Il bisogno primario di questo paese è “rimuovere a tutti i costi questa classe politica”. Se non lo capiranno peccato, se saranno convinti di essere più forti loro peccato, se credono che il popolo è formato da tanti disgraziati senza forze peccato. I libri di storia sono pieni di gente che credeva di vivere in eterno.


(fonte: Reset-Italia)

mercoledì 24 agosto 2011

...da quale pulpito!


La Manovra economica di luglio e la Manovra- bis di Ferragosto hanno assestato alla famiglia una serie di colpi micidiali. Un serial killer non avrebbe potuto fare meglio. Anziché tassare i patrimoni dei ricchi, coloro ai quali anche un forte prelievo fiscale non cambierebbe la vita, s’è preferito colpire quell’ammortizzatore sociale italiano per eccellenza che è la famiglia. Unico vero patrimonio del Paese. È una politica miope, da “statisti” improvvisati, che non hanno un’idea sul futuro del Paese. Tanto meno pensano al bene comune. Unica loro preoccupazione soddisfare il proprio elettorato. Unico orizzonte le prossime elezioni. Nel frattempo, il Paese va alla deriva e perde credibilità. Una nave senza timoniere.

La stretta economica che si preannuncia provocherà collassi ovunque. Una situazione già insostenibile, che fa scivolare il ceto medio nella povertà. A pagare saranno i soliti noti. Ci si accanisce, ancora una volta, sui lavoratori dipendenti e sugli statali. Questi si vedono, addirittura, minacciata l’abolizione della tredicesima. A pagare un prezzo altissimo è chi ha già dato. Sonni tranquilli, invece, per i più ricchi, gli evasori e i grandi speculatori. Questi ultimi, tra l’altro, sono tra i principali responsabili della crisi finanziaria che sta devastando i mercati e incrementando paurosamente i debiti sovrani dei Paesi dell’Occidente.

Eppure, le indicazioni su alternative fiscali, come una tassa sui grandi patrimoni, non mancano. Di “tesoretti” intoccabili ve ne sono tanti. A cominciare dai centoventi miliardi annui di evasione fiscale. Una cifra definita «impressionante» dal cardinale Bagnasco, presidente dei vescovi italiani. E che ha spinto anche Giorgio Napolitano, al Meeting di Rimini, a lanciare un appello: «Basta con assuefazioni e debolezze nella lotta a quell’evasione, di cui l’Italia ha ancora il triste primato». Per non parlare, poi, dei sessanta miliardi spesi in corruzione e dei novanta miliardi “fatturati” dalla criminalità organizzata. Su cui poco si è intervenuto.

Mentre è in corso l’esame della Manovra economica, è partito l’assalto alla diligenza. Ognuno ha qualcosa da salvare. O da proteggere. I sacrifici si scaricano su chi non ha “santi in paradiso”. O, meglio, nelle Aule parlamentari. Senza equità nei sacrifici, e se non si mira al bene delle famiglie e del Paese, difficilmente ne verremo fuori. Soprattutto se chi può dare un “elevato” contributo troverà modo di sfilarsi dalla solidarietà nazionale. Come i calciatori (ignobili!). Ma anche la casta politica, che danza allegramente sulle macerie del Paese. Vanta sacrifici e riduzioni, ma non dà un taglio risoluto a costi e privilegi, ingiustificati e immorali.

Ancora una volta, i politici cattolici stanno alla finestra. Insignificanti e a corto di idee. Si confondono nel mucchio, per non disturbare i “manovratori”. In entrambi i campi. Spettacolo, anche questo, avvilente.

(fonte: Famiglia Cristiana)

lunedì 22 agosto 2011

LA PROSTATA IDRAULICA DI BERLUSCONI E LA LOTTA DI CLASSE PER DIFENDERE GLI EVASORI


Ciò che fa incazzare più di ogni altra cosa, in questa finanziaria massacra-soliti-noti é che, nella sua follia, obbedisce a una logica granitica: premiare gli evasori e tutelare i già garantiti.

La prostata idraulica di Berlusconi e la bava di quel che resta di Umberto Bossi hanno metaforicamente imposto il diktat delirante che tutela le pensioni dei garantiti, e le rendite in nero dei privilegiati che vivranno sulle spalle dei giovani. Il dogma anti-patrimoniale é costruito per continuare a tutelare il nocciolo duro degli evasori, che non pagano due volte e che possono continuare a maramaldeggiare, con la tracciabilitá a 3000 (2500 ndr) euro (cioè il diritto a lucrare in nero) come gli pare e piace. Gli evasori modello se ne restano nascosti lì, nel mare delle dichiarazioni truffa da venti-trentamila euro, ma poi hanno il panfilo in leasing intestato a una società di comodo.

É bello vedere che la lotta di classe non é morta, e che questa finanziaria ne é un episodio importante. La ruga di Berlusconi, ieri, diceva questo. Far pagare tutti tranne la tribù Arcoriana e poi sperare persino di passare alla storia come “quello che ha salvato il paese“. Illuso. Diceva che non avrebbe messo le mani nelle tasche degli italiani, ha letteralmente rapinato i Tfr di chi ha lavorato una vita. In compenso, visto che di lotta di classe si tratta, ha inserito la norma salva-Fiat. Il Berlusconismo chiude il suo ciclo nel ridicolo

Luca Talese da Il Fatto

(fonte: Dario Fo)

martedì 16 agosto 2011

Qualcosa è cambiato

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Quelle facce. Non le sopporto più. Non le posso più vedere. Mi danno la nausea, il vomito, il rigetto. Che l'Italia sia fallita lo posso accettare. Ma questi dilettanti con i loro sorrisi da maiali e da furetti non riesco più a sopportarli. Pagherei qualunque tassa, farei qualunque sacrificio per evitare quei ghigni da stronzo che compaiono ogni sera in televisione, ogni mattina in 10 pagine di giornale. Di buoni a nulla che si atteggiano a statisti.
Qualcosa si è rotto dentro di me, forse dentro tanti di voi. Qualcosa è cambiato. Il Paese ha capito di essere guidato da incapaci e da disonesti, forse lo sapeva già, ma pensava a un cambio della guardia dolce, come avviene in molti fallimenti. I responsabili si defilano, raggiungono la porta, non si fanno più vedere. E lo capisci, li lasci andare. Domani è un altro giorno e si può pensare a ricostruire. Invece questi traditori dell'economia nazionale che hanno indebitato il Paese e negato la catastrofe con una improntitudine degna del massimo disprezzo, questi gaglioffi non si schiodano, non mollano neppure un centimetro del loro potere. Io non sono violento, ma cerco di prevedere gli eventi. La Storia non solo non si ferma, ma si ripete. Quando incontra un muro sul suo percorso lo butta giù. E' avvenuto con il muro di Berlino, ma anche con la testa di Luigi XVI e con la famiglia dello Zar. Eventi che, a posteriori, erano del tutto spiegabili. Craxi è scappato. Allora i ladri si potevano condannare e indurre alla fuga. Oggi i parlamentari condannati, anche quando i tribunali ne chiedono l'arresto, come è avvenuto per Cosentino e per Tedesco, continuano a sedere alla Camera e a incassare 20.000 euro al mese tra stipendio e benefit. Ma queste sarebbero quisquilie, bazzecole se non continuassero a imporci la loro presenza.
Devono togliersi dalla vista dei cittadini, definitivamente. Vadano dove vogliono, ad Antigua, ad Hammamet, a Vancouver. Guardo Enrico Letta, con quel sorriso da spretato, Calderoli con la faccia da chi ha vinto un salame alla lotteria di paese e Bossi, Maroni, Bersani, Veltroni, D'Alema, Brunetta con i loro volti da pluri ripetenti al Cepu. Mi fanno tirare su anche l'anima. Se ne devono andare. Non c'è bisogno del giudizio dell'Economist o di Nouriel Roubini per capire che la classe politica è il primo problema del Paese. Ha fatto il suo tempo e puzza di muffa, di rancido. Sono i coproliti della seconda Repubblica. Li vedete e vi mettete un dito in bocca per liberare lo stomaco. E' ormai una questione che trascende la politica e l'economia. E anche l'etica e la morale. E' una questione di puzza. Una puzza nauseabonda che non è possibile sopportare oltre. E anche di estetica, certe facce ripugnano. L'Italia può crollare, è successo altre volte ed è sempre ripartita, ma questa classe politica se ne deve andare senza voltarsi indietro e senza eccezioni.

(fonte: Beppe Grillo)

giovedì 11 agosto 2011

Cavaliere, ci consenta!


Quarant’anni fa Jean Paul Sartre si opponeva all’unificazione europea, perché sospettava e temeva che il risultato finale sarebbe stata non un’integrazione politica ed economica dei vari paesi dell’Unione, ma un’egemonia neocapitalista franco-tedesca sui rimanenti.

Il tracollo di Grecia, Spagna e Portogallo dapprima, e dell’Italia ora, conferma le sue previsioni. Il tandem guidato da Sarkozy e dalla Merkel sta infatti imponendo al resto dell’Europa, e in particolare a noi, misure ultra-liberiste che non si discostano molto da quelle già imposte per decenni dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale ai paesi in via di sviluppo, costretti dalle loro difficoltà economiche a chiedere l’aiuto di queste vampiresche e imperialistiche organizzazioni.

Naturalmente, le misure richieste non dispiacciono affatto a Berlusconi e Tremonti, che si sono affrettati a presentare come passi inevitabili la privatizzazione selvaggia degli enti e dei beni pubblici, la riforma radicale del sistema pensionistico, l’abbattimento dei vincoli e dei controlli alla cosiddetta ‘libertà d’impresa’ e lo smantellamento di ciò che ancora rimane dello statuto e dei diritti dei lavoratori.

Inutile dire che quelle misure non sono affatto necessarie (e probabilmente nemmeno sufficienti) per il superamento della crisi, benché come tali vengano presentate. Lo dimostrano, ad esempio, le analisi del premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che da anni si oppone alle analoghe misure imposte dal FMI e dalla BM (di cui egli era stato un contrastato vicepresidente).

Nello specifico, se in Italia ci fosse una sinistra degna di questo nome, e non solo una sua indegna caricatura, essa cercherebbe di imporre, o almeno di proporre, una svolta radicale in direzione neosocialista, o almeno neosocialdemocratica. In particolare, ricordando al governo che i 50 miliardi di euro di cui ha immediatamente bisogno, e le centinaia che dovranno seguire, si potrebbero reperire spolpando le ossa non delle classi lavoratrici e produttive, ma di quelle speculatrici e parassitarie.

Ad esempio, facendo restituire alle banche gli enormi finanziamenti che hanno permesso il loro salvataggio allo scoppiare della crisi nel 2008. Tassando le rendite azionistiche e i patrimoni dei ricchi, invece che i consumi dei poveri. Scatenando una guerra senza presa di prigionieri all’evasione fiscale, invece di giustificarla e addirittura fomentarla. Chiudendo i rubinetti delle miliardarie elargizioni annuali al Vaticano, alla Chiesa e agli enti religiosi. E soprattutto concentrando gli aiuti sui servizi e le infrastrutture sociali, invece che sulle imprese e il commercio privati.

Sappiamo bene, ovviamente, che non una di queste misure verrà proposta, e meno che mai attuata. E che la crisi sarà invece sfruttata come scusa per la restaurazione del capitalismo selvaggio, e lo smantellamento dello stato sociale. Ma possiamo almeno ricordare che nel 1929 le cose sono andate in un altro modo, e che dunque potrebbero andarci anche oggi, se solo al posto di Berlusconi (e anche di Obama) ci fosse un Roosevelt. Che però, purtroppo, non c’è…

lunedì 8 agosto 2011

Il podestà forestiero. Editoriale di Mario Monti del 7 agosto 2011.


I mercati, l'Europa. Quanti strali sono stati scagliati contro i mercati e contro l'Europa da membri del governo e della classe politica italiana! «Europeista» è un aggettivo usato sempre meno. «Mercatista», brillante neologismo, ha una connotazione spregiativa. Eppure dobbiamo ai mercati, con tutti i loro eccessi distorsivi, e soprattutto all'Europa, con tutte le sue debolezze, se il governo ha finalmente aperto gli occhi e deciso almeno alcune delle misure necessarie.
La sequenza iniziata ai primi di luglio con l'allarme delle agenzie di rating e proseguita con la manovra, il dibattito parlamentare, la riunione con le parti sociali, la reazione negativa dei mercati e infine la conferenza stampa di venerdì, deve essere stata pesante per il presidente Berlusconi e per il ministro Tremonti. Essi sono stati costretti a modificare posizioni che avevano sostenuto a lungo, in modo disinvolto l'uno e molto puntiglioso l'altro, e a prendere decisioni non scaturite dai loro convincimenti ma dettate dai mercati e dall'Europa.

Il governo e la maggioranza, dopo avere rivendicato la propria autonoma capacità di risolvere i problemi del Paese, dopo avere rifiutato l'ipotesi di un impegno comune con altre forze politiche per cercare di risollevare un'Italia in crisi e sfiduciata, hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un «governo tecnico». Le forme sono salve. I ministri restano in carica. La primazia della politica è intatta. Ma le decisioni principali sono state prese da un «governo tecnico sopranazionale» e, si potrebbe aggiungere, «mercatista», con sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York.

Come europeista, e dato che riconosco l'utile funzione svolta dai mercati (purché sottoposti a una rigorosa disciplina da poteri pubblici imparziali), vedo tutti i vantaggi di certi «vincoli esterni», soprattutto per un Paese che, quando si governa da sé, è poco incline a guardare all'interesse dei giovani e delle future generazioni. Ma vedo anche, in una precipitosa soluzione eterodiretta come quella dei giorni scorsi, quattro inconvenienti.

Scarsa dignità . Anche se quella del «podestà forestiero» è una tradizione che risale ai Comuni italiani del XIII secolo, dispiace che l'Italia possa essere vista come un Paese che preferisce lasciarsi imporre decisioni impopolari, ma in realtà positive per gli italiani che verranno, anziché prenderle per convinzione acquisita dopo civili dibattiti tra le parti. In questo, ci vorrebbe un po' di «patriottismo economico», non nel fare barriera in nome dell'«interesse nazionale» contro acquisizioni dall'estero di imprese italiane anche in settori non strategici (barriere che del resto sono spesso goffe e inefficaci, una specie di colbertismo de noantri ).

Downgrading politico . Quanto è avvenuto nell'ultima settimana non contribuisce purtroppo ad accrescere la statura dell'Italia tra i protagonisti della scena europea e internazionale. Questo non è grave solo sul piano del prestigio, ma soprattutto su quello dell'efficacia. L'Unione europea e l'Eurozona si trovano in una fase critica, dovranno riconsiderare in profondità le proprie strategie. Dovranno darsi strumenti capaci di rafforzare la disciplina, giustamente voluta dalla Germania nell'interesse di tutti, e al tempo stesso di favorire la crescita, che neppure la Germania potrà avere durevolmente se non cresceranno anche gli altri. Il ruolo di un'Italia rispettata e autorevole, anziché fonte di problemi, sarebbe di grande aiuto all'Europa.

Tempo perduto . Nella diagnosi sull'economia italiana e nelle terapie, ciò che l'Europa e i mercati hanno imposto non comprende nulla che non fosse già stato proposto da tempo dal dibattito politico, dalle parti sociali, dalla Banca d'Italia, da molti economisti. La perseveranza con la quale si è preferito ascoltare solo poche voci, rassicuranti sulla solidità della nostra economia e anzi su una certa superiorità del modello italiano, è stata una delle cause del molto tempo perduto e dei conseguenti maggiori costi per la nostra economia e società, dei quali lo spread sui tassi è visibile manifestazione.

Crescita penalizzata . Nelle decisioni imposte dai mercati e dall'Europa, tendono a prevalere le ragioni della stabilità rispetto a quelle della crescita. Gli investitori, i governi degli altri Paesi, le autorità monetarie sono più preoccupati per i rischi di insolvenza sui titoli italiani, per il possibile contagio dell'instabilità finanziaria, per l'eventuale indebolimento dell'euro, di quanto lo siano per l'insufficiente crescita dell'economia italiana (anche se, per la prima volta, perfino le agenzie di rating hanno individuato proprio nella mancanza di crescita un fattore di non sostenibilità della finanza pubblica italiana, malgrado i miglioramenti di questi anni). L'incapacità di prendere serie decisioni per rimuovere i vincoli strutturali alla crescita e l'essersi ridotti a dover accettare misure dettate dall'imperativo della stabilità richiederanno ora un impegno forte e concentrato, dall'interno dell'Italia, sulla crescita.

Mario Monti

giovedì 3 febbraio 2011

De Profundis per l’economia


Gerardo Coco

Le economie dei G20 ristagnano da tre anni senza che le colossali manovre monetarie e altre misure interventistiche statali abbiano minimamente avuto effetti sul miglioramento delle capacità produttiva dei rispettivi paesi. E’ infatti l’incremento della produzione e della produttività e non quella dei consumi, a caratterizzare una autentica ripresa. Su questo aspetto le grandezze macroeconomiche nominali dei PIL sono fuorvianti.Ad es. negli USA la registrazione di un incremento del 3.2% dei consumi nel quarto trimestre del 2010, salutato come un segnale di crescita dell’economia, non rappresenta altro che pura inflazione determinata dal deficit e dagli stimoli monetari della Riserva Federale.

La realtà è che le manovre monetarie e politiche fiscali espansive sono incompatibili con la crescita economica e ne creano solo l’illusione.

L’espansione monetaria creata dalla banca centrale americana non ha manifestato ancora i suoi effetti distruttivi all’interno perché l’inflazione viene, per ora, esportata all’esterno. Infatti, il dollaro godendo della invidiabile posizione di valuta di riserva, cioè di mezzo di pagamento internazionale, non segue le regole delle altre valute e permette agli Stati Uniti di indebitarsi, spendere e consumare più di quello che guadagnano e producono semplicemente perché la FED crea i dollari dal nulla. In questo modo gli USA possono espropriare risorse degli altri comprando beni e servizi all’estero con un potere d’acquisto fittizio come potrebbe fare qualsiasi contraffattore che clona una valuta a costo zero e la spende nel mercato a spese del potere d’acquisto degli altri. L’eccesso di dollari torna poi in patria per essere trasformato in titoli del tesoro cosicché i partner degli USA con gli stessi dollari finanziano il loro deficit incoraggiando un irresponsabile consumo di risorse. Essi hanno infatti poco incentivo ad usare il surplus di dollari per acquistare beni e servizi in quanto negli ultimi decenni le industrie americane hanno perso completamente competitività. Ma cosa succede alle valute dei partner degli USA? I dollari ottenuti in cambio dei beni esportati devono essere convertiti nelle rispettive valute per effettuare gli acquisti all’interno. Se le forze di mercato operassero liberamente, l’eccesso di dollari alzerebbe il prezzo delle valute con cui il dollaro si scambia e rivalutandosi rispetto a quest’ultimo farebbero rincarare il valore delle loro esportazioni. Per evitare il peggioramento delle ragioni di scambio, l’unica opzione a disposizione dei partner è quella di abbassare artificialmente il valore delle proprie valute attraverso espansioni monetarie competitive. Per mantenere stabile il cambio essi devono acquistare il surplus di dollari ricorrendo deliberatamente al quantitative easing. Quindi, quando la Federal Reserve apre il rubinetto dei dollari anche le altre banche centrali aprono quello delle proprie valute. I dollari acquistati vengono parcheggiati in titoli del tesoro permettendo così agli USA di mantenere bassi i tassi di interesse e di continuare a vendere il proprio debito. Tutto questo processo porta danni incalcolabili alle economie perché fa scattare un’inflazione mondiale “sincronizzata”.

In questo modo le banche centrali dei G-20 hanno pompato nell’economia un oceano di liquidità che non avendo alcuna relazione con i processi di produzione della ricchezza porta alla crescita dei prezzi delle materie prime, dei generi alimentari, del gonfiamento dei prezzi di borsa creando nei mercati effimere illusioni di prosperità. Di tutto questo, nel salotto economico di Davos naturalmente ci si è ben guardati dal parlarne.

L’ inflazione monetaria è, naturalmente anche il precursore di nuove bolle perché il denaro di nuova creazione filtra nelle economie prima di tutto attraverso il settore delle attività finanziarie incentivando investimenti speculativi, puntellando posizioni viziate, elargendo sussidi a gruppi privilegiati ed aggravando l’indebitamento generale fino all’esplosione di nuove crisi. I cosiddetti squilibri globali (global imbalances) non sono determinati da quelli delle bilance dei pagamenti come si racconta, ma sono le creature delle irresponsabili e metodiche politiche di manipolazione monetaria. Ai surplus commerciali dei paesi esportatori non corrisponde infatti un surplus di risparmio da investire nei paesi importatori ma dei fondi creati dalle banche di emissione che non costituiscono capitale perché non sono la controparte di una riduzione di consumi nel paesi con deficit commerciale. D’altra parte i tassi di cambio che dovrebbero riflettere il rapporto tra i poteri d’acquisto reali fra le valute vengono falsati dalle relative velocità di aumento delle espansioni monetarie che a loro volta ne determinano la velocità di svalutazione. Più un paese aumenta l’espansione monetaria, cioè la circolazione complessiva in rapporto alla produzione reale, più velocemente svaluta la propria moneta ed il suo potere d’acquisto. E poiché, in definitiva, le esportazioni si pagano con le importazioni, per uno stesso ammontare di importazioni si ottengono minori esportazioni. In breve, il paese esportatore si arricchisce di valuta ma impoverisce in termini di beni e servizi che riceve, cioè in termini di ricchezza reale. In un contesto di tassi fluttuanti e di guerra valutaria (dirty floating), chi sostiene che è l’espansione delle esportazioni a generare lo sviluppo economico assume implicitamente che un aumento delle esportazioni comporti automaticamente un aumento dei risparmi e quindi di stock di capitale, il che non è vero. Una valuta di un paese esportatore che perde valore abbassa le sue ragioni di scambio e ciò significa che dovrà esportare di più per ottenere lo stesso ammontare di beni, il che equivale a produrre di più ma ad essere pagati di meno. Un paese che gode di un genuino sviluppo economico, non è necessariamente quello che esporta di più ma quello in cui la produttività ed i redditi reali crescono più velocemente e perché ciò sia possibile è necessario che lo stock di capitale aumenti. In un contesto di instabilità monetaria l’equazione degli scambi viene falsata, la produzione distorta e la formazione di capitale minata.

Per questo motivo, in un contesto di valute inconvertibili, la forma peggiore di interventismo è quella monetaria e purtroppo non c’è limite al potere delle banche di emissione di espandere i mezzi monetari consentendo loro di perpetrare i più indegni abusi. Questi abusi naturalmente sono strettamente collegati al finanziamento dei governi bancarottieri da parte del sistema bancario che acquista titoli di debito emessi dalle loro tesorerie. A questo riguardo l’Europa è tanto irresponsabile quanto gli Stati Uniti. I governi di entrambi i paesi non essendo più in grado di ripagare il loro debito lo rinnovano attraverso l’emissione di nuovo debito che non ha altra garanzia se non quella di altri titoli di debito che vengono emessi allo stesso modo in un processo di cui non si vede la fine. Non c’è nessuna creazione di valore in questo meccanismo: questi titoli infatti non producono alcun reddito ma rappresentano solo consumo perpetuato su scala gigantesca che ingoia il capitale reale della collettività.

I governi non producendo nulla, non hanno mezzi per pagare interessi e dovranno attingere da chi questi mezzi produce. Ma non essendoci nell’economia privata incrementi di produttività e, quindi, maggiore prodotto con cui pagare i maggiori interessi, i governi o ricorreranno a nuove dosi di debito o al mezzo illegittimo e disonesto dell’inflazione per svalutarli. Ormai le politiche monetarie e fiscali non hanno più nessun nesso con la creazione di valore nell’economia. Esse ammorbano tutta l’atmosfera economica ed impediscono alle strutture economiche di adattarsi a rapidi mutamenti.

In questo clima “bellico”, di instabilità monetaria, di guerre valutarie, di debiti e di generale incertezza non ci può essere crescita economica reale ma solo impoverimento progressivo.

Le premesse di una ripresa economica non effimera stanno nella stabilità valutaria e nella ricostituzione dello stock di capitale effettivo dissipato nella crisi precedente e affinché ciò avvenga il risparmio della collettività deve aumentare relativamente al consumo. E’ l’ammontare di capitale a determinare la capacità del sistema economico di produrre beni e servizi, di creare occupazione, di aumentarne la produttività e di permettere ai consumatori di acquistare beni durevoli a credito. Purtroppo l’ortodossia economica pensa che il sistema economico abbia sempre capitale a sufficienza e che i problemi economici si risolvano con le iniezioni di liquidità, con la spesa, con i consumi e con provvedimenti legislativi, insomma con un orgia di interventismo piuttosto che incentivando il risparmio e la produzione. Così la crisi dell’organismo economico si dovrebbe risolvere prolungandone la malattia.

Stiamo vivendo un inquietante regresso dell’evoluzione economica, ma crediamo che siano ancora pochi ad averne piena coscienza.

(fonte: Chicago-blog)