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martedì 17 luglio 2012

Taglio degli stipendi ai politici. Il referendum di cui nessuno parla


Alzi la mano chi sapeva che presso i Comuni è possibile firmare per un Referendum abrogativo parziale sulla legge per le indennità parlamentari (Art.2 L.31/10/1965, n.1261). Ben pochi. 

Si tratta di un referendum finalizzato al il taglio degli stipendi della casta politica. La raccolta firme si concluderà il 30 luglio 2012 (termine per la presentazione al Comitato promotore 31/07/2012). Gli stipendi dei nostri parlamentari risultano essere i più alti d’Europa (16mila euro lordi mensili). Per tale motivo il movimento ‘Unione Popolare‘ si è fatto promotore di una raccolta firme per indire il referendum per l’abrogazione parziale della legge per le indennità parlamentari, ossia l’articolo 2 della legge 1261 del 1965 che disciplina le indennità spettanti ai membri del Parlamento; cioè i compensi relativi alla diaria ed alle spese di soggiorno a Roma. E’ stato riportato solo sul sito della Camera e si tratta di un vero e proprio rimborso spese che ammonta a 3.503,11 euro con varie detrazioni a seconda della presenze rilevate con il voto elettronico. E questa è soltanto una delle componenti dello stipendio dei parlamentari che ha già subito un taglio di circa 500 euro lordi a inizio gennaio. 

Qualora questo articolo venisse abrogato si risparmierebbero circa 48mila euro all’anno per ciascun parlamentare. Purtroppo però nessuno ha parlato di questa iniziativa referendaria, nessun giornale, nessuno spazio televisivo. Il problema è che la raccolta firme ha preso il via il 12 maggio e proseguirà solo fino al 27 luglio. Per firmare in sostegno del referendum è necessario recarsi presso gli uffici del proprio Comune e richiedere il modulo su cui apporre la propria firma. 

 Cosa occorre fare? Nulla di più semplice: recarsi presso il proprio Comune ed andare a firmare. Provate però a domandarvi come mai questa notizia non è passata sui giornali. Non è che per caso c’è un forte connubbio tra i finanziamenti elargiti alla carta stampata e la casta politica? 

Meditate gente. 

Ci vogliono 500.000 firme altrimenti avremo perso l’ennesima buona occasione per dare un duro colpo alla casta. Ma attenzione, la notizia è poco nota e quindi bisogna DIFFONDERLA!!!! 

 (fonte: informatissimo.net)

mercoledì 8 giugno 2011

Per cosa voteremo il 12 e 13 giugno.


Fanno benissimo, credo, i giornalisti e i blogger che in questi giorni spiegano i testi dei quesiti referendari. E’ giusto infatti che per quanto possibile si sappia, nello specifico di legge, che cosa potrebbe cambiare per quanto riguarda le norme sulle centrali nucleari, sulla distribuzione dell’acqua e sul legittimo impedimento.

Però, però.

Però sarebbe un po’ riduttivo rinchiudere gli effetti dei referendum nelle loro technicalities. Perché non è così, non è mai stato così. La consultazione sul divorzio del 1974 non ha solo permesso agli italiani di risposarsi dopo un matrimonio fallito: ha messo alle spalle l’Italia bigotta del Dopoguerra, ha portato al nuovo diritto di famiglia del 1975, alla legge 194 sull’aborto del 1978, allo stupro non più come reato contro la morale bensì contro la persona nel 1996. Per dire. E senza il referendum sulla preferenza unica del 1991 non ci sarebbe stata Mani Pulite un anno dopo.

Insomma, credo che sia giusto – nel votare – fare un po’ un “balance” tra il loro effetto tecnico e il loro effetto politico.

Il voto sull’acqua, ad esempio, non riguarda soltanto il destino degli Ambiti Territoriali Ottimali o lo scioglimento delle società miste che gestiscono le risorse idriche. Un eventuale doppio Sì sull’acqua vuol dire anche che gli italiani non credono all’iperliberismo come pensiero unico dominante, non credono che tutto nella vita debba essere fonte di profitto, non credono che necessariamente i privati sappiano organizzare meglio del pubblico i servizi essenziali per il cittadino. E’ così, piaccia o no: è un segnale politico a favore o contro il mantra thatcheriano che ci accompagna da venti e passa anni.

Il voto sul nucleare, poi, da un punto di vista tecnico «non cancellerà per sempre la possibilità di costruire impianti di generazione elettrica basati sulla fissione nucleare», come sostiene Marco Cattaneo, ma non credo che vi siano dubbi che sarebbe un voto contro le centrali atomiche – e (se vincessero i Sì) un messaggio sulla questione perfino più forte di quello mandato dagli elettori nel 1987. Nasconderselo sarebbe un filo ipocrita, credo. Secondo me sarebbe anche un messaggio forte su altro, ad esempio sulle rinnovabili e sulla green economy: ambiti nei quali il governo italiano brilla per assenza se non boicottaggio, e con cui invece un’eventuale vittoria dei Sì, almeno sul medio lungo termine, costringerebbe a fare i conti.

Quello sul Legittimo Impedimento, infine, cosa sarebbe? Anche qui, inutile nascondersi dietro a un dito. Sarebbe un messaggio forte a Berlusconi – e alla classe politica in generale – per dire che la legge è uguale per tutti, che la magistratura si rispetta, che ci si difende nei processi e non dai processi. Sarebbe anche un ‘non provateci neppure a rimettere l’immunità parlamentare’ come prima, ad esempio; e già che ci siete dimenticatevi pure il Lodo Alfano costituzionale. Mica poco.

Questo, anche questo, è quello che decideremo il 12 e il 13 giugno.

Poi va benissimo decriptare i quesiti riga per riga e – lo ripeto a scanso di equivoci – è importante anche conoscerne le technicalities. Ma se ci si ferma qui, intendo dire solo qui, se ne rischia di fare una lettura un po’ ragionieristica e piccina. Una lettura che non tiene conto dello spirito del tempo: che è fondamentale per il nostro futuro e può andare, appunto, da una parte o dall’altra.

mercoledì 11 maggio 2011

Questi qua...Il 12 e 13 giugno difendete la vostra libertà

Questi qua......



  • Questi qua il 13 aprile hanno votato l'impunità per il loro capo facendoci credere di averlo fatto per il bene di noi cittadini.
  • Noi ci becchiamo un'ipoteca sulla casa per una multa non pagata.
  • Questi qua hanno la pensione garantita di 3.100 euro al mese lavorando 5 anni.
  • Noi lavoreremo fino ai 65 anni per avere una pensione forse pari a metà dello stipendio.
  • Questi qua beneficiano gratis di aereo, treno, autostrada, cinema, ristoranti, ecc.
  • Noi paghiamo anche la carta igienica dei figli a scuola.
  • Questi qua hanno la casa in affitto in centro a Roma a 500 € al mese.
  • Noi abbiamo un mutuo fino alla terza età.
  • Questi qua vorrebbero che non andassimo a votare il referendum, il 12 e 13 giugno, perchè tutti i provvedimenti in gioco riguardano l'impunità e gli interessi economici loro e di loro amici

Fate come volete, cittadini, siete liberi (ancora), e vi voglio bene anche per questo...

(fonte: prospettico)

lunedì 9 maggio 2011

Il bavaglio Rai al referendum. Democrazia in caduta libera!


Date: 20 aprile 2011 11:23

Ciao a tutti,

confermo la necessità di questo passaparola, aggiungendo che si tratta di informazione per ri-affermare i diritti costituzionalmente garantiti . Il dramma è che sembra la maggior parte della popolazione non sia consapevole di quanto sta avvenendo.

Quello che Vi porto è solo un piccolo esempio. Sono una ricercatrice, mi occupo di diritto ambientale e di risorse idriche. Ieri mattina dovevo intervenire ad un programma RADIO RAI (programmato ormai da due settimane) per parlare del referendum sulla privatizzazione dell'acqua e chiarirne meglio le implicazioni giuridiche.

'E arrivata una circolare interna RAI alle 8 di ieri mattina che ha vietato con effetti immediati a qualunque programma della RAI di toccare l'argomento fino a giugno (12-13 giugno quando si terrà il referendum), quindi il programma è saltato e il mio intervento pure.

Questo è un piccolo esempio delle modalità con cui "il servizio pubblico" viene messo a tacere e di come si boicotti pesantemente la possibilità dei cittadini di essere informati e di intervenire (secondo gli strumenti garantiti dalla Costituzione) nella gestione della res publica. Di fronte a questa ennesima manifestazione di un potere esecutivo assoluto che calpesta non solo quotidianamente le altre istituzioni, ma anche il popolo italiano di cui invece si fregia di esser voce ed espressione, occorre riappropriarci della nostra voce prima di perderla definitivamente.

Il referendum è evidentemente anche questo!

Mariachiara Alberton



RICORDATEVI CHE DOVETE PUBBLICIZZARLO VOI IL REFERENDUM... perchè il Governo non farà passare gli spot ne' in Rai ne' a Mediaset.
Sapete perché ? Perché nel caso in cui riuscissimo a raggiungere il quorum lo scenario sarebbe drammatico per i governanti ma stupendo per tutti i cittadini italiani:
Vi ricordo che il referendum passa se viene raggiunto il quorum. E' necessario che vadano a votare almeno 25 milioni di persone

Il referendum non sarà pubblicizzato in TV e Radio.

I cittadini, non sapranno nemmeno che ci sarà un referendum da votare il 12 giugno. QUINDI : I cittadini, non andranno a votare il referendum.

Vuoi che le cose non vadano a finire cosi? Copia-incolla e pubblicizza il referendum a parenti, amici, conoscenti e non conoscenti.

Passaparola!

martedì 3 maggio 2011

Chi vuole far soldi con l'acqua

acquadollari

di Maurizio Maggi e Stefano Vergine - L'Espresso

Una torta da 64 miliardi. Da spartire tra il gruppo Caltagirone, la famiglia Benetton, gli eredi Gavio, i Pesenti e l'immancabile Ligresti. Senza gare d'appalto. Ecco perché il referendum del 12 giugno fa tanta paura.


Bicchiere ricco, mi ci ficco. Solo per gli acquedotti, dicono gli esperti, bisognerà investire qualcosa come 16 miliardi di euro nei prossimi 30 anni. E altri 19 miliardi per fognature e depuratori. Tra manutenzione del sistema idrico e opere nuove di zecca, il conto della spesa prevista supera i 64 miliardi di euro. Svanito il sogno di lavorare sul nucleare, molte imprese, italiane ed estere, incrociano le dita e sperano che non svanisca il grande affare dell'acqua. Che è prima di tutto un bel business per i costruttori, tra cemento, tubi, scavi e via dicendo. Uno dei pochi settori in cui possono arrivare denari dalle casse dello Stato. Giuseppe Roma del Censis stima che almeno l'11 per cento di quegli agognati 64 miliardi arriveranno da fondi pubblici. Ma Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti, suona l'allarme, sostenendo che la vittoria del "sì" al referendum anti-privatizzazione, inchiodando le società che gestiscono i servizi nell'area pubblica, collocherebbe i loro prestiti nell'alveo del debito dello Stato: col rischio che gli investimenti vengano bloccati per non sforare il patto di stabilità.

Fino a qualche settimana fa un massiccio afflusso di investimenti privati pareva ineluttabile, grazie alla prospettiva di vendere l'acqua a prezzi remunerativi, cioè crescenti. Ora però, sia i gestori che gli operatori guardano preoccupati al referendum del 12 e 13 giugno. "Se vince il sì all'abrogazione dei due articoli sull'affidamento ai privati e sulla remunerazione del capitale, ci vorranno anni per riattivare il flusso di denari per modernizzare la rete", dice Roberto Bazzano, presidente dell'Iren, società nata dalla fusione di ex aziende municipalizzate (tra cui quelle di Genova, Torino e Reggio Emilia), e numero uno di Federutility, la federazione delle utilities che aderisce a Confindustria.

Secondo Bazzano, anche i finanziamenti già decisi dagli Ato (gli ambiti territoriali ottimali) arrivano a rilento, nella misura del 50 per cento dei 2 miliardi di euro di cui ci sarebbe bisogno ogni anno per tappare le falle di una rete-colabrodo che perde un terzo dell'acqua prima che arrivi al cliente: "Chi ha voglia di investire soldi freschi, oggi, sapendo che tra qualche mese il capitale potrebbe non essere più remunerato per legge?", si chiede retoricamente il capo di Federutility. Un'analisi che, ovviamente, non è affatto condivisa dai referendari, che la pensano esattamente all'opposto: l'acqua è meglio pubblica.

La battaglia si fa effervescente dal punto di vista politico. Al governo piacerebbe far saltare anche questo referendum, dopo quello sul nucleare, per far mancare il quorum al quesito sul legittimo impedimento, temuto da Silvio Berlusconi. Si aggiunge lo scontro ideologico che verte sul quesito: "E' giusto fare i soldi con l'acqua?". Il fronte del no, mosso da sinistra, conquista adepti anche nelle fila degli amministratori locali espressi dal centro destra.

Dietro l'aspetto politico e ideologico si nasconde in realtà una questione legata agli affari possibili. I players, italiani ma anche stranieri, sono più che agguerriti. A partire dal gruppo di Francesco Gaetano Caltagirone, azionista privato sempre più "pesante" dell'Acea, e dai francesi di Gdf-Suez (che sono soci della stessa Acea ma giocano anche in proprio) o degli altri francesi di Veolia. In teoria, la torta potenziale è talmente grossa che non ci sarà bisogno di sventolare l'italianità contro i colonizzatori d'Oltralpe. I due colossi Gdf-Suez e Veolia sono già ben radicati sull'italico suolo, e anche se la stessa Acea, la Iren con l'appoggio strategico del Fondo per le Infrastrutture (F21) guidato da Vito Gamberale o la bolognese Hera aspirassero davvero a divenire dei "campioni nazionali", ci sarebbe spazio per tutti.

"Entrare nel business dell'acqua è proficuo soprattutto per chi realizza infrastrutture. Prendiamo come esempio l'Acea: se la società decidesse di realizzare un grosso lavoro di ristrutturazione della rete idrica, probabilmente lo farà fare a Vianini Lavori, impresa controllata dallo stesso Caltagirone", sottolinea Marco Bersani, uno dei fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua. Ma non ci sono le gare d'appalto? "Nessun problema. Anche se dal primo gennaio 2010, l'Unione europea ha abbassato la soglia minima per le gare pubbliche da 5,1 milioni di euro a 4,8, chi vuole affidare i lavori senza essere costretto a indire una gara può sempre spezzettare le opere in più parti", afferma ancora Bersani. Tra le aziende interessate ai molti business legati all'acqua sul fronte delle opere spiccano nomi celebri di società quotate in Borsa: come Impregilo (azionisti Benetton, Gavio e Ligresti) e Trevi Group, che nel realizzare pozzi per l'estrazione d'acqua può affiancare alle macchine perforatrici le pompe e le vasche per il trattamento del fango. Amministratore delegato del Trevi Group è Cesare Trevisani, vicepresidente di Confindustria. Senza dimenticare grandi cementieri come i Pesenti, patron di Italcementi, certo attenti agli sviluppi dei futuri progetti su acquedotti, depuratori e fognature.

I bocconi potenzialmente più attraenti sono quelli che nella mappa sono evidenziati in blu. "Si tratta di città e zone dove la gestione del servizio idrico è "in house", cioè affidata a società interamente controllate dall'ente pubblico, come Milano, Torino, Napoli, parte del Piemonte, le province di Bergamo e Verona", spiega Luca Martinelli, giornalista di Altreconomia e autore del pamphlet anti-privatizzazione "L'acqua (non) è una merce", appena uscito in libreria. Martinelli critica la Legge Ronchi, quella che obbliga le società che gestiscono il servizio a scendere sotto il 40 per cento di partecipazione pubblica già entro la fine del 2011 e attacca il meccanismo della gara obbligatoria per ottenere la concessione: "Negli ultimi 15 anni, alla maggior parte dei bandi ha partecipato un solo soggetto: dov'era la concorrenza tanto strombazzata?". Martinelli sottolinea anche come due dei big nazionali della gestione come Iren ed Hera siano cresciuti non vincendo appalti "ma rilevando altre società pubbliche che avevano in pancia affidamenti ottenuti senza gara. Alla faccia della competizione". Nonostante il 47 per cento di rincari delle tariffe tra il 1998 e il 2008, il costo dell'acqua resta mediamente inferiore, in Italia, rispetto a molti altri paesi. Secondo il Blue Book di Utilitatis, nel 2009 una famiglia di tre persone ha sborsato, a Roma, 204 euro per un consumo di 200 metri cubi, contro i 224 di Singapore, i 275 di Stoccolma, i 317 di Lisbona. Maurizio Del Re, amministratore delegato di Sorical (53,5 per cento Regione Calabria, 46,5 per cento Veolia), fa due conti: "Attualmente una famiglia italiana di tre persone spende per l'acqua 20 euro al mese, circa 7 euro a persona. Se venisse realizzato veramente il piano di investimenti da 60 miliardi, gli incrementi di tariffa sarebbero di 5 euro a persona all'anno per trent'anni". Il che vorrebbe dire passare da 84 euro all'anno a persona a 234 alla fine del trentennio.

A dispetto dei rincari già subiti, tuttavia, almeno finora la salute della rete idrica nazionale è restata più che cagionevole, anche se non mancano situazioni ad alto tasso d'efficienza, tipo Milano (perdite inferiori al 10 per cento), dove l'acqua è peraltro saldissimamente in mano pubblica e nessuno si sogna, per adesso, di privatizzarla. Di quattrini per rattoppare e migliorare ce n'è un gran bisogno: che li caccino lo Stato o gli enti locali, finanziandosi con le tasse (come vorrebbero i referendari), o i privati per ottenere rendimenti futuri, a chi costruisce o posa condotte, acquedotti e depuratori, interessa relativamente. Si lamenta Alessandro Gariazzo, il cui gruppo lavora nell'acqua da un secolo ma da un po' ha dovuto diversificare per carenza d'affari: "Da dieci anni con l'acqua si combina poco, per noi ormai vale il 30 per cento del fatturato. Per fortuna ha piovuto molto, sennò saremmo stati spesso in emergenza. La realtà e tragica, specie se confrontata con quello che fanno in città come Chicago, dove ogni dieci anni il comune emette un bond per finanziare la sostituzione delle tubature. Un sogno, visto da qui".

(fonte: L'Espresso e Cometa)

Il bavaglio Rai al concertone del Primo Maggio

Cantanti e artisti obbligati a firmare una liberatoria: vietato parlare di politicaIl classico concertone del Primo maggio è piaciuto a chi l’ha visto sul divano e a chi era in piazza San Giovanni. Ma nessuno dei cantanti e dei comici ha potuto informare i cittadini-spettatori (2,5 milioni da casa) che il prossimo 12 e 13 giugno ci sarà un referendum sul legittimo impedimento, sulla privatizzazione dell’acqua e sull’energia nucleare. Nessuno ha potuto sfiorare l’argomento perché la Rai, che ha trasmesso l’evento comprandone i diritti per 700 mila euro, ha obbligato i partecipanti a firmare una liberatoria che vietava di esprimere valutazioni sul prossimo voto amministrativo o di parlare anche genericamente dei referendum. Una decisione imposta a Raitredalla direzione generale di viale Mazzini, proprio nei giorni del cambio di guardia tra il dimissionarioMauro Masi e il probabile successore, il vicedirettore Lorenza Lei.

(video di Luigina D’Emilio e Paolo Dimalio)

La manifestazione di piazza San Giovanni rientra nel periodo di par condicio sia dei referendum e sia del voto nei comuni e nelle province italiane, ma la legge non vieta a cantanti, comici e artisti di discutere del rischio nucleare o della complessa questione dell’acqua, proprio perché non sono politici. Vince la strategia del governo che vuole insabbiare il triplo referendum: da una parte impedisce alla commissione parlamentare di Vigilanza Rai di approvare il regolamento per indicare come e quando istituire programmi di informazione sul tema, d’altra con le liberatorie vieta a chiunque vada in televisione di far nemmeno un cenno all’esistenza della consultazione del 12 e 13 giugno.

E così sul concertone, fatto di musica, emozioni, ricordi e Unità d’Italia, è calata una campagna di vetro per aiutare il governo a boicottare il referendum. Tutti coloro che hanno intrattenuto la piazza e il pubblico da casa per dieci ore – dal presentatore Neri Marcorè ad Ascanio Celestini - sono stati costretti a peripezie retoriche per toccare l’attualità che il governo cerca di nascondere. Paolo Ruffini, direttore di Raitre, precisa che si trattava di “normale prassi”. Ma Antonio Di Pietro (Idv) la pensa diversamente: “La liberatoria è una illegalità. E’ curioso che si applichi solo la parte proibitiva del regolamento, peraltro non ancora approvato”. E oggi si riunisce la commissione di Vigilanza che proverà, nonostante l’ostruzionismo della maggioranza di Pdl e Lega, a far approvare il regolamento per dare spazio e dignità al referendum nel servizio pubblico. Il presidente Sergio Zavoli rassicura: “Di fronte a un problema che è anche di urgenza se necessario provvederemo a riunirci ad oltranza”. Dietro le quinte era un continuo vociare sopra i decibel del palco. Ascoltavi i cantanti, gli artisti presenti parlare tra loro, confrontarsi, cercare di capire il perchè di questa liberatoria, di questa forma di bavaglio imposta dalla Rai.

Così ecco Enrico “Erriquez” Greppi, frontman franco-lussemburghese-fiorentino dei Bandabardò raggiungere le telecamere del Fatto per rassicurare: “Noi comunque il nostro messaggio lo lanceremo alla piazza”. O Ascanio Celestini espiremere tutto il suo sconcerto: “È una vergogna, non possiamo parlare di referendum. Ma che democrazia è questa?”. E ancora Gherardo Colombo, Eugenio Finardi e Luca Barbarossa, pronti a unirsi al coro. Nel frattempo gli organizzatori del concerto si muovevano tra le quinte per spiegare, rassicurare, scaricare ogni responsabilità. Insomma, per dire a tutti: “Non è colpa nostra, non c’entriamo niente”. All’interno dell’area privata, erano bandite anche le bandiere con la scritta “sì”, le uniche visibili, eccole lì tra il pubblico, appese a qualche lampione, mai inquadrate dalle telecamere. Sempre par condicio. In mezzo Antonio Di Pietro, presente già alle prime ore del concerto: è lui a portare la politica dentro, a confermare l’appoggio totale ai tre quesiti, a denunciare il silenzio. Un silenzio obbligato.

articolo di Alessandro Ferrucci e Carlo Tecce

giovedì 21 aprile 2011

Berlusconi e la Rai, la paura fa novanta


Finalmente una bella notizia dal fronte Rai: il direttore generale Mauro Masi ha comunicato che le reti e le testate del servizio pubblico non daranno più gli exit poll e, di conseguenza, non ci saranno i fili diretti. Saranno dunque compressi gli spazi di informazione, insomma, ci sarà, in quelle ore, un pò di oscuramento in più. Naturalmente si tratta di una delle tante notizie tragicomiche di questa stagione, l’ennesima conferma del ruolo da badante mediatica che si è autoassegnata la Rai, e bene ha fatto l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti, a bollare questa come una scelta censoria, un altro colpo mortale contro il servizio pubblico.

Eppure, non possiamo nascondere una certa irresponsabile soddisfazione perchè l’ultima volta che la Rai decise in questo senso fu nel 2005, quando, in previsione di una disfatta elettorale, la Rai del centro destra si autooscurò, spense i riflettori, nella speranza che, rotti i termometri, si fermasse anche la febbre. Insomma, l’autorete di Masi potrebbe persino essere un segnale benaugurale, una sorta di avviso ai naviganti, se fossimo in Berlusconi faremmo le corna, tanto è una delle poche cose che gli viene ancora bene…

Per quanto ci riguarda, invece, sarà bene raddoppiare gli sforzi per vincere le prossime elezioni anche e soprattutto a Milano, e per centrare il quorum ai referendum, nonostante l’imbroglio governativo sul nucleare che , tuttavia, è la migliore conferma dello stato di panico che ormai pervade il cavaliere e i suoi scudieri, dentro e fuori la Rai. Sarà davvero il caso di non mollare!