Ora il governo vuole riproporre le norme per far calare il silenzio sull'inchiesta P4 e impedire nuove indagini delle procure. Questo logo è il simbolo del no a questa decisione della maggioranza, per difendere la democrazia.
DEBITO PUBBLICO
RAPPORTO DEBITO/PIL
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venerdì 24 giugno 2011
mercoledì 22 giugno 2011
Cos’è una rivoluzione, oggi?
Giusto, ha vinto internet. Ormai è banale dirlo ma queste tre elezioni (Milano, Napoli e i referendum) sono la data di nascita del “partito” nuovo, della nuova organizzazione di massa. Il “L’avevo detto” è irrefrenabile (penso al San Libero di dieci anni fa), ma in fondo è sciocco: non ci voleva granché per capire che cosa si stava preparando, bastava tenersi fuori dal ceto politico riconosciuto e, pagandone i prezzi, ragionare.
Hanno perso gli imprenditori. E’ dalla “Milano da bere”, dunque dagli anni Ottanta, che la politica si ufficializza sempre più in un pensiero: il Paese è un’azienda, le aziende lo compongono, e tutto il resto è contorno. Neanche il pensiero di Mao era stato così categorico e indiscusso.
I nuovi imprenditori italiani, in buona parte, sono stati – parlano i conti – la zavorra dell’economia italiana. Hanno rosicchiato un’industria faticosamente costruita negli anni duri, hanno mandato all’estero macchine e mercati, ci hanno trasformato – per pura avidità, senza accorgersene – un dignitoso paese industriale in un pastrocchio indefinibile fra postsovietico e terzo mondo. Le magnifiche sorti e progressive.
Abbiamo sfiorato il nazismo, in questi anni, e se ne leggeranno le cronache, anni dopo di noi, con un senso d’orrore.
* * *
In questo disastro, creato dai possidentes, imposto a colpi di tv e mafia dalla destra e vaselinato dai leghisti, le colpe della sinistra sono tremende. Il medioevo sociale di Berlusconi – precariato, privatizzazioni selvagge, università, scuola – è cominciato col centrosinistra, che di queste “riforme” andava fiero e orgoglioso.
Solo quando la gestione è passata alla destra, e le poche carote sono state sostituite dai bastoni, il centrosinistra (non tutto) ha cominciato ad accorgersi del danno fatto. La privatizzazione dell’acqua, ad esempio, nacque anche in Sicilia, con Bianco il “riformista”, e venne portata avanti da una lobby precisa dentro il Pds.
Adesso questo è finito, almeno ora. Bersani si è impegnato onestamente sui referendum, ha sostenuto a spada tratta posizioni che due anni fa avrebbero spaccato il partito, si è dimostrato coi suoi paciosi “ohè ragassi” un leader molto più serio e affidabile dei magniloquenti e catastrofici Veltroni e D’Alema.
Ma anche lui non osa prendere posizione sulla Fiat (qui ci si spaccherebbe davvero, con un Fassino che sta a Marchionne come una volta Cossutta a Breznev), persino dire “stiamo con gli operai” è troppo pericoloso, in un partito nato esattamente dagli operai della Fiat, cent’anni fa. E va bene.
Inutile piangere sul latte versato: meglio pensare che la sinistra ufficiale in questo momento è la meno peggio che si vede da molti anni, con ali ben distinte fra loro ma non nemiche, con personalismi assai forti (Vendola, Di Pietro, Grillo) ma tutto sommato controllabili, con una dura opposizione al governo attuale – non al sistema che l’ha prodotto – e con la vaga sensazione che forse privatizzazioni e precariato hanno qualche piccolo difetto.
Va bene, non si può chiedere troppo dalla vita: questo può darci oggi la “politica”, ed è già tanto.
* * *
Al resto, dobbiamo pensarci noi, con altri mezzi. Quali? Ohè ragassi, ma la rivolussione naturalmente!
Aaaargh! Nel duemila e passa! Queste parole orribili! Queste… queste cose selvagge e sanguinolente! Queste cose impossibili, fuori dal tempo!
Momento. Le rivoluzioni nel duemila si possono fare, e si fanno benissimo difatti. Vedi Egitto, vedi Tunisia e un pochino forse anche Milano. Le rivoluzioni oggi possono essere nonviolente (debbono esserlo, perché lo zar non ha più i cosacchi ma le televisioni) e non sono meno rivoluzionarie per questo (chiedetelo a Obama).
Rivoluzione vuol dire uscire coscientemente dal vecchio sistema e organizzarsi direttamente alla base, con sistemi nuovi. Discutere ma fare anche eventi di massa. Quali sono le bastiglie oggi? I palazzi d’inverno? Non hanno mura e cannoni, ma ci sono lo stesso; non più in una singola piazza, ma diffusi.
Quella dozzina di liceali che organizza la lotta per l’acqua, in un paesino della Sicilia, e solo dopo si rivolge (se si rivolge) ai partiti, è rivoluzionaria; e alla fine vince. Quel gruppo di studenti a Milano, che parla di informazione e, saltando i decenni, riparte da Giuseppe Fava, è rivoluzionario; altro che Vespa e Santoro. Quella ragazza sveglia, frequentatrice dei Siciliani anni ’90, che dopo anni organizza il primo sciopero degli immigrati, è rivoluzionaria.
Si unissero tutte queste forze fra loro, facessero corpo insieme, sprizzassero scintille: che cosa sarebbe questo, se non una rivoluzione?
* * *
C’è un unico ostacolo serio, ed è la nostra insufficienza. Insufficienza culturale, non di forze. Stiamo perdendo tempo, stiamo perdendo occasioni.
Ricordate com’è cresciuto Berlusconi? Con un progresso tecnico, l’emittenza locale. E’ là che – per colpa nostra – ci ha battuto. Eravamo molto più forti di lui, negli anni Settanta, in questo campo. Duecentocinquantatrè radio libere di sinistra (una era quella di Peppino) e mezza dozzina di tv. Queste sono state date via perché tanto c’era già il nostro spazio Rai. Quelle non riuscivano mai a coordinarsi fra loro, neanche per un momento, e passavano il tempo a giocare a “rradio-rrossa-alternativa”. Intanto Berlusconi macinava.
E’ quel che sta succedendo oggigiorno. Abbiamo scoperto l’internet, ci abbiamo galoppato come i Sioux delle praterie. Ma gli altri lo colonizzano, in compagnie e reggimenti e con l’artiglieria. E noi continuiamo a galoppare, ognuno nella sua valle, allegramente.
* * *
Su che cosa sarà il prossimo referendum (è ovvio che bisogna farlo)? Sul precariato, per caso? Ci saranno elezioni? Quando ci faranno votare? L’accordo Confindustria-Tremonti sostituirà Berlusconi, o ci sarà spazio per una soluzione “milanese”?
La Lega sparerà, o si limiterà alle parole? Noi saremo un “partito”, o solo un’occasionale massa elettorale?
Quante domande, che un mese fa non esistevano… Il mondo va assai di fretta di questi tempi. Non restiamo a guardare.
(fonte: Il Fatto Quotidiano, U Cuntu, Riccardo Orioles)
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lunedì 9 maggio 2011
Il bavaglio Rai al referendum. Democrazia in caduta libera!
Date: 20 aprile 2011 11:23
Ciao a tutti,
confermo la necessità di questo passaparola, aggiungendo che si tratta di informazione per ri-affermare i diritti costituzionalmente garantiti . Il dramma è che sembra la maggior parte della popolazione non sia consapevole di quanto sta avvenendo.
Quello che Vi porto è solo un piccolo esempio. Sono una ricercatrice, mi occupo di diritto ambientale e di risorse idriche. Ieri mattina dovevo intervenire ad un programma RADIO RAI (programmato ormai da due settimane) per parlare del referendum sulla privatizzazione dell'acqua e chiarirne meglio le implicazioni giuridiche.
'E arrivata una circolare interna RAI alle 8 di ieri mattina che ha vietato con effetti immediati a qualunque programma della RAI di toccare l'argomento fino a giugno (12-13 giugno quando si terrà il referendum), quindi il programma è saltato e il mio intervento pure.
Questo è un piccolo esempio delle modalità con cui "il servizio pubblico" viene messo a tacere e di come si boicotti pesantemente la possibilità dei cittadini di essere informati e di intervenire (secondo gli strumenti garantiti dalla Costituzione) nella gestione della res publica. Di fronte a questa ennesima manifestazione di un potere esecutivo assoluto che calpesta non solo quotidianamente le altre istituzioni, ma anche il popolo italiano di cui invece si fregia di esser voce ed espressione, occorre riappropriarci della nostra voce prima di perderla definitivamente.
Il referendum è evidentemente anche questo!
Mariachiara Alberton
RICORDATEVI CHE DOVETE PUBBLICIZZARLO VOI IL REFERENDUM... perchè il Governo non farà passare gli spot ne' in Rai ne' a Mediaset.
Sapete perché ? Perché nel caso in cui riuscissimo a raggiungere il quorum lo scenario sarebbe drammatico per i governanti ma stupendo per tutti i cittadini italiani:
Vi ricordo che il referendum passa se viene raggiunto il quorum. E' necessario che vadano a votare almeno 25 milioni di persone
Il referendum non sarà pubblicizzato in TV e Radio.
I cittadini, non sapranno nemmeno che ci sarà un referendum da votare il 12 giugno. QUINDI : I cittadini, non andranno a votare il referendum.
Vuoi che le cose non vadano a finire cosi? Copia-incolla e pubblicizza il referendum a parenti, amici, conoscenti e non conoscenti.
Passaparola!
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giovedì 21 aprile 2011
Lettera dall' Italianistan
Vivo a Milano 2, in un quartiere costruito dal Presidente del Consiglio. Lavoro a Milano in un’azienda di cui è principale azionista il Presidente del Consiglio. Anche l'assicurazione dell'auto con cui mi reco a lavoro è del Presidente del Consiglio, come del Presidente del Consiglio è l'assicurazione che gestisce la mia previdenza integrativa. Mi fermo tutte le mattine a comprare il giornale di cui è proprietario il Presidente del Consiglio.
Quando devo andare in banca, vado in quella del Presidente del Consiglio.
Al pomeriggio, quando esco dal lavoro, vado a far la spesa in un ipermercato del Presidente del Consiglio, dove compro prodotti realizzati da aziende partecipate dal Presidente del Consiglio.
Alla sera, se decido di andare al cinema, vado in una sala del circuito di proprietà del Presidente del Consiglio, e guardo un film prodotto e distribuito da una società del Presidente del Consiglio: questi film godono anche di finanziamenti pubblici elargiti dal governo presieduto dal Presidente del Consiglio.
se invece la sera rimango a casa, spesso guardo la TV del Presidente del Consiglio, con decoder prodotto da società del Presidente del Consiglio, dove i film realizzati da società del Presidente del Consiglio sono continuamente interrotti da spot realizzati dall'agenzia pubblicitaria del Presidente del Consiglio. Seguo molto il calcio, e faccio il tifo per la squadra di cui il Presidente del Consiglio è proprietario.
Quando non guardo la TV del Presidente del Consiglio guardo la RAI, i cui dirigenti sono stati nominati dai parlamentari che il Presidente del Consiglio ha fatto eleggere. Quando mi stufo navigo un po’ in internet, con provider del Presidente del Consiglio. Se però non ho proprio voglia di TV o di navigare in internet leggo un libro, la cui casa editrice è di proprietà del Presidente del Consiglio. Naturalmente, come in tutti i paesi democratici e liberali, anche in Italianistan è il Presidente del Consiglio che predispone le leggi che vengono approvate da un Parlamento dove molti dei deputati della maggioranza sono dipendenti ed avvocati del Presidente del Consiglio, che governa nel mio esclusivo interesse, per fortuna!
(fonte: Gaetano Amato)
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martedì 12 aprile 2011
La Moratti e Formigoni imparano da Silvio: 30 euro per applaudire il sindaco e il governatore
«Ho ricevuto una mail da questa agenzia per cui ogni tanto lavoro. Una mail in cui mi si chiedeva di partecipare a un convegno che si sarebbe tenuto sabato 9 aprile in via Romagnosi. Compenso netto: 3o euro». Il presunto “figurante” si è autodenunciato davanti alle telecamere dell’Infedele nella puntata andata in onda ieri sera, e la vicenda la riporta il Corriere della Sera nella sua edizione milanese:
La sala da riempire era quella della Fondazione Cariplo, in via Romagnosi appunto, mentre il titolo del convegno in questione suonava così: «Più grande Milano più grande l’Italia». Tra i relatori, oltre a Letizia Moratti, il governatore Roberto Formigoni, il coordinatore regionale del Pdl, Mario Mantovani, e il presidente della Cdo, Massimo Ferlini. Sala gremita. Anche di giovani. «Nella mail — dice il ragazzo intervistato da LA7 — c’era scritto che sarebbero state necessarie un centinaio di persone. Immagino che molti altri ragazzi di cui questa azienda ha il curriculum non si siano fatti molti scrupoli ad andare, perché comunque anche il compenso di 3o euro può fare comodo, per non fare praticamente nulla». A margine del convegno, l’inviata dell’Infedele aveva già chiesto chiarimenti alla Moratti: «Sindaco, le chiedo di commentarmi la presenza in sala di un centinaio di giovani pagati 3o euro per assistere a questo dibattito». Letizia Moratti aveva risposto: «Ma io ho visto una sala piena, soprattutto ho ascoltato relazioni di grande valore per progettare il futuro della città». Poi, di fronte a una seconda domanda sul tema, la Moratti se ne era andata. Un uditorio di figuranti? Secondo la versione di diversi esponenti del Pdl, la platea era in realtà gremita di numerosi giovani di Cl.
E’ più cool un figurante a 30 euro o un simpatizzante di CL?
(fonte: Giornalettismo)
lunedì 11 aprile 2011
Masi contro i talk sgraditi alla destra. A rischio Fazio, Floris e Gabanelli
di LEANDRO PALESTINI
I consiglieri d'opposizione: una precisa strategia politica nei confronti di programmi molto redditizi. Il dg ha respinto la proposta di far proseguire Ballarò fino a tutto luglio. Corsie preferenziali invece per gli ingaggi di Ferrara e Sgarbi
ROMA - La politica strangola la Rai. Pur di penalizzare Rai3, rete poco amata dal premier, viale Mazzini non avvia le trattative per rinnovare i contratti a Fabio Fazio, Giovanni Floris e Milena Gabanelli: in scadenza tra i mesi di giugno e agosto. Mentre il direttore generale Mauro Masi apre corsie preferenziali per Giuliano Ferrara (ingaggio-blitz per "Radio Londra") e Vittorio Sgarbi (da fine aprile con "Al di là del bene e del male": 200 mila euro lorde a puntata a Sgarbi) per alcuni conduttori la Rai è matrigna (Michele Santoro viene "tollerato" per gli ascolti, ma pur sempre osteggiato). A maggio la Sipra, concessionaria della pubblicità Rai, dovrà presentare agli inserzionisti pubblicitari i suoi gioielli tv, i programmi della stagione autunno-inverno: ma ad oggi Masi non prende decisioni, rischia di sfasciare programmi di Rai3 che (piacciano o no a Berlusconi) portano milioni di euro alle casse del servizio pubblico. Poche settimane fa il quotidiano online Lettera 43 riportò voci (mai smentite) di un piano per escludere dal palinsesto autunnale "Report", "Che tempo che fa" (con annesso "Vieni via con me di Saviano") e "Parla con me" della Dandini (la cui conferma dipende dal rinnovo contrattuale tra la Rai e la società Fandango). Per alcuni di loro sarebbero già in corso dei contatti con La 7 e Sky.
Si vuole disperdere un patrimonio aziendale? I consiglieri di minoranza Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten, dicono che i programmi di Rai3 sono convenienti per l'azienda: il costo di produzione di "Ballarò" (33 puntate) è di 3 milioni e 500 mila euro, ma ricava 8 milioni in pubblicità; "Che tempo che fa" costa 10 milioni e 400 mila euro (66 puntate) e incassa 17 milioni e 600 mila euro; "Report" costa 2 milioni e 200 mila euro (20 puntate) e attira spot pubblicitari per 4 milioni e 100 mila euro. Mentre il ministro Brunetta realizza il suo sogno di vedere pubblicati i compensi dei conduttori (in un sito Rai) c'è chi fa notare che c'è un valore aggiunto dei conduttori. Masi ha problemi di budget, la Rai chiude l'anno con un rosso di 120 milioni, è suo compito fare trattative (anche serrate) per i rinnovi contrattuali. Ma poi risparmia sui compensi agli artisti sgraditi, fino al paradosso Vauro: la Rai non lo paga un solo euro per "Annozero" ma le sue vignette fanno ridere pure gli ospiti di Lega e Pdl.
Fazio, Floris e Gabanelli passeranno a tv concorrenti? A un ospite che gli chiedeva se poteva tornare a gennaio. Gli ha risposto "non so se "Che tempo che fa" andrà in onda..." si è lasciato scappare Fabio Fazio, in diretta tv, pochi giorni fa. Eppure Fazio ha una platea in crescita, la media degli spettatori è passata da 3 milioni 208mila (12.65% di share) a 3 milioni 426mila (12.93% di share), il Qualitel gli assegna 69 punti. Giovanni Floris, insieme al direttore di rete, Paolo Ruffini, chiede a Masi di non chiudere "Ballarò" a giugno, ma di proseguire fino a tutto luglio: risposta negativa. Eppure l'abbonato Rai ha gradito "Ballarò": l'anno scorso aveva 3 milioni 961mila spettatori medi (15.54% di share) quest'anno l'audience media è di 4milioni 507mila fan (16.64% di share). Ed è in forte crescita il pubblico domenicale di "Report": dai 2milioni 976mila spettatori dell'anno scorso (12.35% di share), Gabanelli è passata ai 3milioni 602mila (13.89% di share) di questa edizione. (10 aprile 2011)
(fonte: Repubblica)
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martedì 14 dicembre 2010
Popolo Viola sparisce da Facebook
SOCIAL NETWORK.
Popolo Viola sparisce da Facebook. Torna online dopo le proteste.
Oscurata questa mattina, la pagina del movimento è ora di nuovo attiva. I promotori: "Censurati mentre stavamo organizzando la manifestazione"
Dopo aver detto che Facebook aveva chiuso in mattinata la sua pagina, che conta oltre 350mila fan, il Popolo Viola, il movimento di opposizione famoso per aver organizzato il NoBerlusconiDay, ne ha annunciato la riapertura nel pomeriggio.
"Facebook ha riaperto la pagina e riattivato gli account degli amministratori", dice un'email del movimento. "Non ci è ancora stata data la motivazione che ha portato alla chiusura della pagina e alla disattivazione degli account degli amministratori. Per adesso il nostro grazie a tutti coloro che immediatamente si sono attivati mobilitandosi in sostegno del nostro movimento, che fin dalla sua nascita lotta per la libertà d'espressione e d'informazione nel nostro paese".
Nel primo pomeriggio, il gruppo aveva detto che il social network aveva chiuso "arbitrariamente" la pagina Facebook "ritirando gli account ai suoi amministratori e impedendo di postare qualsiasi cosa nella pagina", aveva scritto in una nota Gianfranco Mascia, uno degli animatori del gruppo. "Questo capita proprio quando il Popolo Viola stava organizzando le mobilitazioni di domani, 14 dicembre, in occasione del voto di fiducia al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi", aveva detto Mascia.
"È un atto irresponsabile e di una gravità assoluta", hanno aggiunto gli organizzatori secondo i quali "non è un caso che questo sia capitato proprio quando il Popolo Viola stava lavorando per la grande mobilitazione di domani: le preghiere di Berlusconi, intercettate e pubblicate da Wikileaks nei giorni scorsi, sul controllo della Rete hanno sortito il loro effetto". "Ma non finisce qui. Il popolo della rete - si leggeva sul sito del movimento - non permetterà questo atto censorio e si ribellerà con tutte le sue forze proponendo iniziative anche contro Facebook". Il movimento aveva lanciato anche una petizione per la riapertura della pagina all'indirizzo web www.ilpopoloviola.it/. Nel giro di poche ore il ritorno alla normalità. Sull'accaduto no comment di Facebook.
(fonte:CorriereComunicazioni)
Popolo Viola sparisce da Facebook. Torna online dopo le proteste.
Oscurata questa mattina, la pagina del movimento è ora di nuovo attiva. I promotori: "Censurati mentre stavamo organizzando la manifestazione"
Dopo aver detto che Facebook aveva chiuso in mattinata la sua pagina, che conta oltre 350mila fan, il Popolo Viola, il movimento di opposizione famoso per aver organizzato il NoBerlusconiDay, ne ha annunciato la riapertura nel pomeriggio.
"Facebook ha riaperto la pagina e riattivato gli account degli amministratori", dice un'email del movimento. "Non ci è ancora stata data la motivazione che ha portato alla chiusura della pagina e alla disattivazione degli account degli amministratori. Per adesso il nostro grazie a tutti coloro che immediatamente si sono attivati mobilitandosi in sostegno del nostro movimento, che fin dalla sua nascita lotta per la libertà d'espressione e d'informazione nel nostro paese".
Nel primo pomeriggio, il gruppo aveva detto che il social network aveva chiuso "arbitrariamente" la pagina Facebook "ritirando gli account ai suoi amministratori e impedendo di postare qualsiasi cosa nella pagina", aveva scritto in una nota Gianfranco Mascia, uno degli animatori del gruppo. "Questo capita proprio quando il Popolo Viola stava organizzando le mobilitazioni di domani, 14 dicembre, in occasione del voto di fiducia al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi", aveva detto Mascia.
"È un atto irresponsabile e di una gravità assoluta", hanno aggiunto gli organizzatori secondo i quali "non è un caso che questo sia capitato proprio quando il Popolo Viola stava lavorando per la grande mobilitazione di domani: le preghiere di Berlusconi, intercettate e pubblicate da Wikileaks nei giorni scorsi, sul controllo della Rete hanno sortito il loro effetto". "Ma non finisce qui. Il popolo della rete - si leggeva sul sito del movimento - non permetterà questo atto censorio e si ribellerà con tutte le sue forze proponendo iniziative anche contro Facebook". Il movimento aveva lanciato anche una petizione per la riapertura della pagina all'indirizzo web www.ilpopoloviola.it/. Nel giro di poche ore il ritorno alla normalità. Sull'accaduto no comment di Facebook.
(fonte:CorriereComunicazioni)
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venerdì 10 dicembre 2010
Flop della strategia adv: Tim manda a casa Belen
di Mila Fiordalisi
IL CASO
Effetto boomerang per la campagna che vede protagonista la showgirl sudamericana insieme con De Sica e che sarebbe costata il posto a Fabrizio Bona. Persi molti clienti "storici": convocate sei agenzie di comunicazione per dare il via a un nuovo format
Telecom Italia corre ai "ripari". Gli spot tv che vedono protagonista la showgirl sudamericana Belen Rodriguez e l'attore Cristian De Sica non ha raggiunto i risultati sperati. E secondo quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni le performance deludenti sul fronte delle utenze mobili sarebbero in parte dovuti proprio alla campagna di comunicazione voluta da Fabrizio Bona, l'ex manager di Wind chiamato in azienda in qualità di responsabile consumer e recentemente defenestrato a causa dei mancati obiettivi di business e sostituito da Marco Patuano, direttore domestic market operations che assume ad interim l'incarico ricoperto da Bona.
"Scegliere Belen Rodriguez è stato un errore - dice al Corriere delle Comunicazioni una fonte interna a Telecom Italia che preferisce non comparire -. Molti dei clienti storici di Telecom, in particolare le famiglie, non hanno gradito la scelta della show girl in qualità di testimonial. E ciò si è tradotto in fuoriuscite di clienti verso operatori concorrenti".
Secondo quanto si legge in un articolo pubblicato da Panorama Economy Telecom avrebbe convocato ben sei agenzie di comunicazione per dare il via ad una nuova campagna e le proposte sono attese già entro metà dicembre. Le sei agenzie sono: Leo Burnett, ideatore dell'attuale format, Lowe Pirella Fronzoni, Armando Testa, Kein Russo, Santo e Publicis.
9 dicembre 2010
(fonte: Corriere delle Comunicazioni)
IL CASO
Effetto boomerang per la campagna che vede protagonista la showgirl sudamericana insieme con De Sica e che sarebbe costata il posto a Fabrizio Bona. Persi molti clienti "storici": convocate sei agenzie di comunicazione per dare il via a un nuovo format
Telecom Italia corre ai "ripari". Gli spot tv che vedono protagonista la showgirl sudamericana Belen Rodriguez e l'attore Cristian De Sica non ha raggiunto i risultati sperati. E secondo quanto risulta al Corriere delle Comunicazioni le performance deludenti sul fronte delle utenze mobili sarebbero in parte dovuti proprio alla campagna di comunicazione voluta da Fabrizio Bona, l'ex manager di Wind chiamato in azienda in qualità di responsabile consumer e recentemente defenestrato a causa dei mancati obiettivi di business e sostituito da Marco Patuano, direttore domestic market operations che assume ad interim l'incarico ricoperto da Bona.
"Scegliere Belen Rodriguez è stato un errore - dice al Corriere delle Comunicazioni una fonte interna a Telecom Italia che preferisce non comparire -. Molti dei clienti storici di Telecom, in particolare le famiglie, non hanno gradito la scelta della show girl in qualità di testimonial. E ciò si è tradotto in fuoriuscite di clienti verso operatori concorrenti".
Secondo quanto si legge in un articolo pubblicato da Panorama Economy Telecom avrebbe convocato ben sei agenzie di comunicazione per dare il via ad una nuova campagna e le proposte sono attese già entro metà dicembre. Le sei agenzie sono: Leo Burnett, ideatore dell'attuale format, Lowe Pirella Fronzoni, Armando Testa, Kein Russo, Santo e Publicis.
9 dicembre 2010
(fonte: Corriere delle Comunicazioni)
giovedì 9 dicembre 2010
Perché Berlusconi non va più in tv
Nell’ultima telefonata fatta a Ballarò, due settimane or sono, Silvio Berlusconi si è detto molto più esperto di Floris in materia di televisione…
…e nel chiudere drasticamente la conversazione l’ha dimostrato nella pratica. Magari non è stato un gesto di classe, ma pare che funzioni. Gramsci diceva “la storia insegna, ma non ha scolari”. Berlusconi fa eccezione. Dai suoi errori di solito ha ricavato un insegnamento, che ha poi messo in pratica.
Ad oggi, le sue apparizioni con presenza fisica negli studi televisivi sono molte meno di quante si possa pensare.
La più famosa resta quella dell’8 maggio 2001, poco prima delle elezioni politiche, dove nello studio di Porta a Porta presentò e firmò il suo “contratto con gli italiani” mettendo una seria ipoteca sulla vittoria alle urne del 13 maggio. Il tutto senza "contraddittorio": nel 2001, infatti, Berlusconi evitò per la prima volta (nel '94 si confrontò con Occhetto, nel '96 ebbe un paio di duelli con Prodi) un faccia a faccia televisivo con il leader dell’altra coalizione – nonostante l’insistenza dello stesso Rutelli – poiché era dato in netto vantaggio nei sondaggi.

A Porta a Porta ci è ritornato nel dicembre 2005, nel maggio 2009 e nel settembre dello stesso anno. Nel primo incontro disse di aver rispettato tutti e cinque i punti del contratto nonostante i dati ISTAT confermassero il contrario su almeno due punti: tasse e lavoro (nessuno in studio glielo fece presente, a partire da Vespa). Nel secondo incontro si è difeso dalle accuse dei giornali e di Veronica Lario sugli scandali sessuali che gli venivano imputati. Nell’ultima apparizione ha parlato di persona della consegna delle prime case in Abruzzo. In tutti e tre i casi non c’è mai stata una controparte politica che potesse controbattere alle eventuali inesattezze del premier. Addirittura proprio quest’ultima puntata suscitò polemiche perché la Rai decise di spostare la messa in onda di Ballarò, programmata quella sera stessa e dunque potenzialmente concorrenziale con lo show del premier, rinviandola di due giorni.
Se non si tiene conto degli assurdi duelli elettorali travestiti da dibattito con il cronometro alla mano contro Prodi – in cui Berlusconi seppe comunque districarsi bene, annunciando con un “colpo di tacco” l’abolizione dell’Ici – i veri scontri "leali" di Berlusconi in tv, con controparte politica, sono stati tre: due a Matrix e uno a Ballarò. I primi due dibattiti, rispettivamente con Rutelli e Diliberto, si sono svolti prima delle elezioni politiche del 2006. In entrambi i duelli Berlusconi ha saputo tenere la calma, cercando di invertire la rotta dei sondaggi, stavolta a lui avversi.
A Ballarò, il 5 aprile 2005, subito dopo la vittoria del centrosinistra alle Regionali, le cose andarono diversamente. Complice la fresca sconfitta elettorale e uno studio televisivo non proprio “amico”, il premier non riuscì a farsi valere, e subì diversi attacchi incrociati da D’Alema e Rutelli che lo misero più volte in difficoltà. Fu una puntata che fece talmente scalpore da indurre un impiegato napoletano a registrarla su dvd e venderla sulle bancarelle a 3 euro.
Dopo la sconfitta elettorale del 2006, Berlusconi decise di cambiare strategia: mai più dibattiti in tv, maggiore spazio al telefono.
La tecnica delle telefonate è datata: tra le prime chiamate in diretta tv che si ricordino c’è quella del 15 marzo 2001 alla trasmissione di Michele Santoro “Il raggio verde”, in cui Berlusconi cercò di spiegare l’origine delle sue società non senza aver prima attaccato la faziosità dei programmi Rai, destando l’ira del conduttore. Memorabile resta il successivo “Si contenga!” del Cavaliere.
Seguono anni di silenzio catodico (o almeno telefonico) fino al 2008, anno in cui la nuova tattica comunicativa prende piede, in pratica dall’insediamento del governo attuale:
il 18 novembre 2008 telefona a Ballarò, risponde alle accuse di corruzione mosse da Di Pietro e alle domande di Epifani e Bersani (senza convincere gli interlocutori) e attacca il telefono prima che Floris gli faccia domande;
il 7 ottobre 2008 telefona a Porta a Porta, attacca la Consulta, i giudici, Napolitano, e fa una battuta di dubbio gusto su Rosy Bindi. Anche qui nessuna possibilità di replica in diretta (giusto una risposta orgogliosa della Bindi "sono una donna che non è a sua disposizione");
il 27 ottobre 2009 telefona di nuovo a Ballarò, stavolta restando in linea per circa dieci minuti; risponde alle domande di Bindi, Floris e De Gregorio non senza aver prima ammonito il conduttore (“Lei mi lascia parlare! La tv non è né mia, né sua!”).
Nel 2010 le due ultime telefonate a Ballarò vedono un Berlusconi sempre meno disponibile:
il 1° giugno dà del bugiardo al vicedirettore di Repubblica Massimo Giannini, indica i sondaggi IPSOS come fasulli e riattacca;
il 23 novembre scorso rimprovera di nuovo Floris (“Lei crede che la Rai sia sua!”), definisce i servizi andati in onda “mistificatori” e riattacca ancora il telefono senza possibilità di contraddittorio.
È bene ricordare che un comportamento simile a quello di riattaccare la cornetta Berlusconi lo assunse in tv il 12 marzo 2006, quando se ne andò anzitempo dallo studio di “In ½ h” infastidito dall’atteggiamento di Lucia Annunziata, che non gli consentiva di rispondere alle domande interrompendolo di continuo.
Alla luce di ciò, considerato che Berlusconi si è presentato di persona negli studi televisivi sempre nelle immediate vicinanze di una tornata elettorale, emergono alcuni dati interessanti:
- Nel 2001, dato in vantaggio nei sondaggi, si presenta in tv senza contraddittorio firmando il “contratto con gli italiani” e vince le elezioni.
- Prima del 2006, dato in svantaggio nei sondaggi (-5% circa) rispetto all’Unione, partecipa a diverse trasmissioni tv con risultati alterni. Perde le elezioni, anche se di poco.
- Nel 2008, dato in netto vantaggio nei sondaggi non partecipa a nessuna trasmissione politica, tranne al duello “cronometrato” di Matrix (all’epoca condotto da Mentana) contro Veltroni, dibattito che non mancò di suscitare polemiche. Stravince le elezioni.
Dal 2008 ad oggi partecipa solo a Porta a Porta, senza controparte politica, e telefona più volte a Ballarò, tre volte su quattro riattaccando il telefono anzitempo. Se non sono solo coincidenze, dopo il 14 dicembre (se ci sarà la sfiducia e se si andrà al voto) Berlusconi potrebbe imporsi nuovamente alle urne. Perché l’unidirezionalità sarà pure un solo aspetto della sua comunicazione politica, ma l'attuale premier è l’unico finora che ne ha potuto usufruire. E non è poco, perché come sosteneva il poeta e critico francese André Suarès : ”In politica la saggezza è non rispondere alle domande. L'arte è il non lasciarsele fare”.
(fonte: TermometroPolitico)
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venerdì 3 dicembre 2010
Chi c'è dietro Wikileaks.
di Stefania Maurizi
Un gruppo di giovani hacker, idealisti e libertari. Che conducono vite randagie. Cambiando continuamente città, braccati dai servizi di mezzo mondo, parlando tra loro con sistemi cifrati. E che ora rischiano davvero grosso (03 dicembre 2010)

Il programma della nuova rivoluzione è semplice: "Li fottiamo tutti: renderemo il mondo trasparente, lo cambieremo". Anarchia in chiave cibernetica, proclamata nel 2007 da Julian Assange e dai suoi pirati in una mail interna del gruppo. Allora nessuno poteva immaginare quanta potenza si stesse già accumulando nei suoi computer: "Abbiamo (documenti) su una mezza dozzina di ministeri stranieri, su decine di partiti politici e consolati, sulla Banca Mondiale, sulle sezioni delle Nazioni Unite ... Non siamo riusciti ancora a leggere neppure un decimo dei file che abbiamo. Abbiamo smesso di immagazzinarli quando siamo arrivati a un terabyte (mille miliardi di byte, ndr.)". Per tre anni quel forziere di informazioni si è ingigantito mese dopo mese, affidato a una squadra di sostenitori che ha custodito il tesoro proteggendolo dalle incursioni del governo americano e dei colossi privati: una rete di persone senza nome e senza volto che raccolgono i dati e sono il vero motore di Wikileaks. Il capo è lui, Assange, a cui tutti sono devoti. Anche se come in tutte le storie di pirati, anche in questo equipaggio serpeggiano rancori e invidie. Che fino ad ora non sono riusciti a rendere meno agguerriti gli abbordaggi.
Loro colpiscono e spariscono. Hanno adattato alla Rete i classici della guerriglia, mescolando la lezione di Sun Tsu a quella di Che Guevara. Trasformano la forza del nemico nella loro: sfruttano la potenza delle banche dati centrali che garantiscono il controllo planetario e se ne impadroniscono per mettere in crisi quello stesso sistema di potere. Poi dopo ogni imboscata, con ondate di documenti lanciati in tutto il mondo, la banda si disperde tornando a essere invisibile. Hanno studiato una chat protetta da un sistema di cifratura che li unisce e li raduna, per comunicare senza rischi.
L'unico punto debole sono i contatti con l'esterno, le relazioni con il pool di giornali che garantisce la diffusione mondiale delle notizie. Questa falla viene colmata con metodi tradizionali: telefonate fatte di monosillabi con il divieto di pronunciare nomi; schede dei cellulari che cambiano in continuazione, con prefissi di nazioni esotiche; inseguimenti in stile spy story attraverso l'Europa. L'ultima volta che "L'espresso" li ha incontrati, poche settimane prima che si aprisse la diga di rivelazioni sull'Iraq, ha dovuto accettare una trafila che sembrava uscita dal copione di Jason Bourne, l'agente creato da Robert Ludlum che combatte da solo contro i servizi segreti. Dopo avere atteso invano per ore, ormai convinti che tutto fosse saltato, Assange si è materializzato a notte fonda con una telefonata dalla hall dell'albergo: "Sono Julian, scendi".
Fuori c'è un tempo da lupi e lui sembra un fantasma: la pioggia gli ha impastato i capelli, dandogli un'aria terribilmente stanca. Avrà perso una decina di chili dal giugno scorso, quando nell'aula Anna Politkovskaja del Parlamento europeo difese pubblicamente la scelta di diffondere le immagini dei giornalisti iracheni uccisi da un elicottero americano: il primo scoop che li ha resi famosi. Appare distrutto ma appena si siede davanti a una tazza di tè bollente e attacca a parlare, torna a essere il visionario che punta a cambiare un mondo che non gli piace.
Non crede nei compromessi. La sua idea di libertà di informazione è un concetto totale, senza filtri né condizionamenti: "Ogni giorno gli archivi dei grandi giornali del mondo, come il "Guardian", vengono sventrati", ha raccontato nel suo intervento a Bruxelles, spiegando come gli articoli vengano cancellati anche dagli archivi dei quotidiani anglosassoni sotto varie pressioni. Non aggiunge altro, ma la sua visione è chiarissima: vuole pubblicare l'impubblicabile, sconfiggendo ogni forma di censura, legale e illegale. E lui e la sua banda sono riusciti a farlo, alzando sempre di più il tiro: hanno scardinato il database delle guerre americane in Iraq e Afghanistan, ora stanno mettendo a nudo il Dipartimento di Stato.
Del suo universo si sa pochissimo. Molti gli somigliano: conducono vite randagie, senza preoccuparsi dei soldi, mangiando e vestendo come capita. Qualcuno ha il look antagonista dello squatter, altri la trasandatezza dei nerds smanettoni, tutti condividono la stessa concezione libertaria di Internet. Spesso hanno capacità tecniche di altissimo livello, contese dalle aziende e che loro mettono invece a disposizione della causa, inventando software per proteggere Wikileaks.

Ci sono matematici, crittografi, hackers di grande talento, come lo stesso Assange, che a nemmeno vent'anni sguazzava nelle Reti del complesso militare-industriale statunitense, intrufolandosi nell'Us Air Force, nei sistemi della Lochkeed Martin in Texas, nel laboratorio nucleare Lawrence Livermore, nella Nasa, nel gigante dell'acciaio Alcoa e delle telecomunicazioni Bell. Ma i colpi più clamorosi non sembrano frutto di incursioni telematiche, quanto di donazioni: dvd, cd e chiavette colme di files consegnate a Wikileaks.
Impossibile fermare questo flusso che alimenta il carniere dei pirati: uno dei più grandi esperti di sicurezza informatica del mondo, Bruce Schneier, spiega a "L'espresso": "Ogni giorno sulle reti del Pentagono lavorano milioni di persone, che hanno accesso legittimo alle informazioni riservate e il Pentagono, per andare avanti, si deve per forza fidare di loro. Fino a quando ci saranno segreti e persone che hanno accesso legittimo ad essi, ci saranno fughe che arriveranno a Wikileaks". I numeri confermano il teorema di Schneier: secondo il "New York Times" sono più di 1.200 le agenzie governative americane che lavorano a programmi di intelligence e di sicurezza nazionale, 1.900 quelle private e 854 mila le persone che hanno accesso a notizie top secret.
Ma perché queste talpe corrono rischi altissimi per collaborare con Assange? Kristinn Hraffnson, il portavoce di Wikileaks è chiaro: "Mi piace credere che dentro queste organizzazioni ci siano comunque persone perbene, che sono disilluse e che ritengono che l'unica cosa giusta sia far uscire fuori la verità e farla arrivare all'unica entità che è legittimata a conoscerla: l'opinione pubblica". E loro, prosegue, sono riusciti sempre a proteggere i trafugatori: "A oggi, Wikileaks non ha perso una sola fonte". Il soldato americano arrestato in Kuwait sarebbe stato tradito dalla sua ingenuità, confidando in una chat di avere trafugato files segreti: anche in quel caso, le mura di Wikileaks non hanno avuto crepe.
Kristinn è l'unico altro nome noto dell'organizzazione, il resto della schiera resta top secret. Reporter islandese, fisico vichingo, memoria infallibile, è andato sul campo in Iraq per verificare il video dell'elicottero killer. Da due mesi ha preso il posto di Daniel Schmitt, cognome falso per tutelare la vera identità del tedesco Daniel Domscheit-Berg che aveva affiancato il fondatore per tutta la prima parte del cammino. Poi a settembre il divorzio, il primo in un gruppo monolitico.
Il giovane tedesco ha detto a "Der Spiegel" di essersene andato in contrasto con Assange e di non essere l'unico "scissionista": "Si comporta come un padre-padrone". Assange invece ha spiegato che nel gruppo c'erano riserve su Daniel, soprattutto dopo la pubblicazione su un altro sito pirata, Cryptome, di informazioni anonime e infamanti provenienti dall'interno di Wikileaks. Tra i fedelissimi è stato questo divorzio a creare turbolenze maggiori, mentre l'accusa svedese di stupro è stata accolta con amarezza per il comportamento oscillante delle autorità di Stoccolma.
Assange è stato informato del mandato di arresto proprio durante l'incontro con "L'espresso": il suo avvocato lo ha contattato su uno dei cinque cellulari che attacca, stacca e manipola continuamente. "Vogliono interrogarmi? Sono stato sei settimane in Svezia, potevano sentirmi quando volevano, perché non l'hanno fatto?". Assange vive sapendo di essere un bersaglio, ma vuole battere gli avversari in velocità: più lo criticano, più la sua banda accumula informazioni scottanti. E presto, annuncia, si passerà dai segreti dei governi a quelli delle grandi banche.
(fonte: L'Espresso)
Un gruppo di giovani hacker, idealisti e libertari. Che conducono vite randagie. Cambiando continuamente città, braccati dai servizi di mezzo mondo, parlando tra loro con sistemi cifrati. E che ora rischiano davvero grosso (03 dicembre 2010)
Il programma della nuova rivoluzione è semplice: "Li fottiamo tutti: renderemo il mondo trasparente, lo cambieremo". Anarchia in chiave cibernetica, proclamata nel 2007 da Julian Assange e dai suoi pirati in una mail interna del gruppo. Allora nessuno poteva immaginare quanta potenza si stesse già accumulando nei suoi computer: "Abbiamo (documenti) su una mezza dozzina di ministeri stranieri, su decine di partiti politici e consolati, sulla Banca Mondiale, sulle sezioni delle Nazioni Unite ... Non siamo riusciti ancora a leggere neppure un decimo dei file che abbiamo. Abbiamo smesso di immagazzinarli quando siamo arrivati a un terabyte (mille miliardi di byte, ndr.)". Per tre anni quel forziere di informazioni si è ingigantito mese dopo mese, affidato a una squadra di sostenitori che ha custodito il tesoro proteggendolo dalle incursioni del governo americano e dei colossi privati: una rete di persone senza nome e senza volto che raccolgono i dati e sono il vero motore di Wikileaks. Il capo è lui, Assange, a cui tutti sono devoti. Anche se come in tutte le storie di pirati, anche in questo equipaggio serpeggiano rancori e invidie. Che fino ad ora non sono riusciti a rendere meno agguerriti gli abbordaggi.
Loro colpiscono e spariscono. Hanno adattato alla Rete i classici della guerriglia, mescolando la lezione di Sun Tsu a quella di Che Guevara. Trasformano la forza del nemico nella loro: sfruttano la potenza delle banche dati centrali che garantiscono il controllo planetario e se ne impadroniscono per mettere in crisi quello stesso sistema di potere. Poi dopo ogni imboscata, con ondate di documenti lanciati in tutto il mondo, la banda si disperde tornando a essere invisibile. Hanno studiato una chat protetta da un sistema di cifratura che li unisce e li raduna, per comunicare senza rischi.
L'unico punto debole sono i contatti con l'esterno, le relazioni con il pool di giornali che garantisce la diffusione mondiale delle notizie. Questa falla viene colmata con metodi tradizionali: telefonate fatte di monosillabi con il divieto di pronunciare nomi; schede dei cellulari che cambiano in continuazione, con prefissi di nazioni esotiche; inseguimenti in stile spy story attraverso l'Europa. L'ultima volta che "L'espresso" li ha incontrati, poche settimane prima che si aprisse la diga di rivelazioni sull'Iraq, ha dovuto accettare una trafila che sembrava uscita dal copione di Jason Bourne, l'agente creato da Robert Ludlum che combatte da solo contro i servizi segreti. Dopo avere atteso invano per ore, ormai convinti che tutto fosse saltato, Assange si è materializzato a notte fonda con una telefonata dalla hall dell'albergo: "Sono Julian, scendi".
Fuori c'è un tempo da lupi e lui sembra un fantasma: la pioggia gli ha impastato i capelli, dandogli un'aria terribilmente stanca. Avrà perso una decina di chili dal giugno scorso, quando nell'aula Anna Politkovskaja del Parlamento europeo difese pubblicamente la scelta di diffondere le immagini dei giornalisti iracheni uccisi da un elicottero americano: il primo scoop che li ha resi famosi. Appare distrutto ma appena si siede davanti a una tazza di tè bollente e attacca a parlare, torna a essere il visionario che punta a cambiare un mondo che non gli piace.
Non crede nei compromessi. La sua idea di libertà di informazione è un concetto totale, senza filtri né condizionamenti: "Ogni giorno gli archivi dei grandi giornali del mondo, come il "Guardian", vengono sventrati", ha raccontato nel suo intervento a Bruxelles, spiegando come gli articoli vengano cancellati anche dagli archivi dei quotidiani anglosassoni sotto varie pressioni. Non aggiunge altro, ma la sua visione è chiarissima: vuole pubblicare l'impubblicabile, sconfiggendo ogni forma di censura, legale e illegale. E lui e la sua banda sono riusciti a farlo, alzando sempre di più il tiro: hanno scardinato il database delle guerre americane in Iraq e Afghanistan, ora stanno mettendo a nudo il Dipartimento di Stato.
Del suo universo si sa pochissimo. Molti gli somigliano: conducono vite randagie, senza preoccuparsi dei soldi, mangiando e vestendo come capita. Qualcuno ha il look antagonista dello squatter, altri la trasandatezza dei nerds smanettoni, tutti condividono la stessa concezione libertaria di Internet. Spesso hanno capacità tecniche di altissimo livello, contese dalle aziende e che loro mettono invece a disposizione della causa, inventando software per proteggere Wikileaks.
Ci sono matematici, crittografi, hackers di grande talento, come lo stesso Assange, che a nemmeno vent'anni sguazzava nelle Reti del complesso militare-industriale statunitense, intrufolandosi nell'Us Air Force, nei sistemi della Lochkeed Martin in Texas, nel laboratorio nucleare Lawrence Livermore, nella Nasa, nel gigante dell'acciaio Alcoa e delle telecomunicazioni Bell. Ma i colpi più clamorosi non sembrano frutto di incursioni telematiche, quanto di donazioni: dvd, cd e chiavette colme di files consegnate a Wikileaks.
Impossibile fermare questo flusso che alimenta il carniere dei pirati: uno dei più grandi esperti di sicurezza informatica del mondo, Bruce Schneier, spiega a "L'espresso": "Ogni giorno sulle reti del Pentagono lavorano milioni di persone, che hanno accesso legittimo alle informazioni riservate e il Pentagono, per andare avanti, si deve per forza fidare di loro. Fino a quando ci saranno segreti e persone che hanno accesso legittimo ad essi, ci saranno fughe che arriveranno a Wikileaks". I numeri confermano il teorema di Schneier: secondo il "New York Times" sono più di 1.200 le agenzie governative americane che lavorano a programmi di intelligence e di sicurezza nazionale, 1.900 quelle private e 854 mila le persone che hanno accesso a notizie top secret.
Ma perché queste talpe corrono rischi altissimi per collaborare con Assange? Kristinn Hraffnson, il portavoce di Wikileaks è chiaro: "Mi piace credere che dentro queste organizzazioni ci siano comunque persone perbene, che sono disilluse e che ritengono che l'unica cosa giusta sia far uscire fuori la verità e farla arrivare all'unica entità che è legittimata a conoscerla: l'opinione pubblica". E loro, prosegue, sono riusciti sempre a proteggere i trafugatori: "A oggi, Wikileaks non ha perso una sola fonte". Il soldato americano arrestato in Kuwait sarebbe stato tradito dalla sua ingenuità, confidando in una chat di avere trafugato files segreti: anche in quel caso, le mura di Wikileaks non hanno avuto crepe.
Kristinn è l'unico altro nome noto dell'organizzazione, il resto della schiera resta top secret. Reporter islandese, fisico vichingo, memoria infallibile, è andato sul campo in Iraq per verificare il video dell'elicottero killer. Da due mesi ha preso il posto di Daniel Schmitt, cognome falso per tutelare la vera identità del tedesco Daniel Domscheit-Berg che aveva affiancato il fondatore per tutta la prima parte del cammino. Poi a settembre il divorzio, il primo in un gruppo monolitico.
Il giovane tedesco ha detto a "Der Spiegel" di essersene andato in contrasto con Assange e di non essere l'unico "scissionista": "Si comporta come un padre-padrone". Assange invece ha spiegato che nel gruppo c'erano riserve su Daniel, soprattutto dopo la pubblicazione su un altro sito pirata, Cryptome, di informazioni anonime e infamanti provenienti dall'interno di Wikileaks. Tra i fedelissimi è stato questo divorzio a creare turbolenze maggiori, mentre l'accusa svedese di stupro è stata accolta con amarezza per il comportamento oscillante delle autorità di Stoccolma.
Assange è stato informato del mandato di arresto proprio durante l'incontro con "L'espresso": il suo avvocato lo ha contattato su uno dei cinque cellulari che attacca, stacca e manipola continuamente. "Vogliono interrogarmi? Sono stato sei settimane in Svezia, potevano sentirmi quando volevano, perché non l'hanno fatto?". Assange vive sapendo di essere un bersaglio, ma vuole battere gli avversari in velocità: più lo criticano, più la sua banda accumula informazioni scottanti. E presto, annuncia, si passerà dai segreti dei governi a quelli delle grandi banche.
(fonte: L'Espresso)
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lunedì 29 novembre 2010
Gossip e potere. La leggenda di Umberto Bossi e Luisa Corna
Una leggenda ostinatissima, tenace:la love story di Umberto Bossi e Luisa Corna,di come lui venne "Travolto da irrefrenabile passione" finisce al pronto soccorso!
Siamo al Park Motel di Castellone in provincia di Cremona. Un vero e proprio motel (anche se a quattro stelle), tanto che il suo slogan è "lusso e discrezione", e per occupare una delle venti suites elegantemente arredate si paga ad ore.
Qui, la sera di Mercoledì 10 Marzo 2004 alcuni testimoni oculari segnalano la presenza di Luisa Corna e di alcuni politici. La cosa non è affatto strana, da tempo si sostiene infatti che la soubrette sia molto vicina al carroccio.
Luisa Corna è una bellissima donna di 39 anni che dopo la rottura di un lungo fidanzamento con il calciatore Aldo Serena ha intrapreso la carriera di showgirl e ha da poco raggiunto l'apice del successo, presentandosi in coppia con Fausto Leali al Festival di Sanremo del 2002, venendo classificata quarta.
Alcuni sostengono che tra gli esponenti politici presenti quella sera ci fosse anche Umberto Bossi.
Il sessantatreenne deputato e Ministro delle Riforme occuperà le prime pagine dei quotidiani del giorno seguente per il suo ricovero urgente all'ospedale di Varese a causa di un improvviso un attacco cardiaco manifestatosi a Cittiglio (VA).
Ma torniamo al Park Motel di Castellone.
La sera del 10 Marzo dopo la partecipazione ad un convegno tra il bresciano e il cremonese il Ministro cena con alcuni suoi colleghi e poi si sposta nel vicino motel dove viene visto in compagnia di Luisa Corna.
A questo punto le informazioni si confondono e le supposizioni sfumano in quella che viene chiamata leggenda metropolitana. Umberto Bossi si apparta con la showgirl in una delle camere, prendendo Viagra e sniffando cocaina. A causa dei farmaci e della droga, il Ministro delle Riforme si sente male al punto manifestare un principio di emorragia cerebrale. Il leader della Lega è soggetto a tali disturbi tanto che è già stato colto da questo tipo di malore nel Dicembre del 1991 e nell'Ottobre del 1996. Il Ministro deve essere ricoverato immediatamente.
Tuttavia, per paura che l'imbarazzante vicenda finisca sulla stampa, Luisa Corna non chiama subito un'ambulanza, ma avverte alcuni leghisti molto vicini a Bossi che le suggeriscono di attendere il loro arrivo per gestire la situazione. Solo dopo alcune ore, Bossi, ormai grave, è trasportato all'ospedale. Ma invece di portarlo all'ospedale di Crema (a 10 Km), di Brescia (a 60 km), di Cremona (a 40 Km), il Ministro viene portato a Varese (a 120 Km). Il ritardo nei soccorsi provoca il peggioramento dell'emorragia che si evolve in un vero e proprio ictus.
La riabilitazione costringerà l'ex Ministro e deputato (Bossi rinuncerà a queste cariche nel mese di Luglio) ad una lunga degenza ospedaliera in Svizzera e ad una faticosa convalescenza, e conseguentemente ad una lunga interruzione dell'attività politica. Oggi Bossi ha la parte sinistra del corpo semi-paralizzata.
Alcune fonti (e smentite) della leggenda:
http://italy.indymedia.org/news/2004/06/572089.php
http://smammellosky.leonardo.it/blog/celodurofinchdura.html
http://www.claudiocaprara.it/?id_blogdoc=1144210
http://canali.libero.it/affaritaliani/intervistacorna.html
http://www.repubblica.it/2004/c/sezioni/politica/bossiospedale/bossiospedale/bossiospedale.html
(fonte: 100cosesosi)
Siamo al Park Motel di Castellone in provincia di Cremona. Un vero e proprio motel (anche se a quattro stelle), tanto che il suo slogan è "lusso e discrezione", e per occupare una delle venti suites elegantemente arredate si paga ad ore.
Qui, la sera di Mercoledì 10 Marzo 2004 alcuni testimoni oculari segnalano la presenza di Luisa Corna e di alcuni politici. La cosa non è affatto strana, da tempo si sostiene infatti che la soubrette sia molto vicina al carroccio.
Luisa Corna è una bellissima donna di 39 anni che dopo la rottura di un lungo fidanzamento con il calciatore Aldo Serena ha intrapreso la carriera di showgirl e ha da poco raggiunto l'apice del successo, presentandosi in coppia con Fausto Leali al Festival di Sanremo del 2002, venendo classificata quarta.
Alcuni sostengono che tra gli esponenti politici presenti quella sera ci fosse anche Umberto Bossi.
Il sessantatreenne deputato e Ministro delle Riforme occuperà le prime pagine dei quotidiani del giorno seguente per il suo ricovero urgente all'ospedale di Varese a causa di un improvviso un attacco cardiaco manifestatosi a Cittiglio (VA).
Ma torniamo al Park Motel di Castellone.
La sera del 10 Marzo dopo la partecipazione ad un convegno tra il bresciano e il cremonese il Ministro cena con alcuni suoi colleghi e poi si sposta nel vicino motel dove viene visto in compagnia di Luisa Corna.
A questo punto le informazioni si confondono e le supposizioni sfumano in quella che viene chiamata leggenda metropolitana. Umberto Bossi si apparta con la showgirl in una delle camere, prendendo Viagra e sniffando cocaina. A causa dei farmaci e della droga, il Ministro delle Riforme si sente male al punto manifestare un principio di emorragia cerebrale. Il leader della Lega è soggetto a tali disturbi tanto che è già stato colto da questo tipo di malore nel Dicembre del 1991 e nell'Ottobre del 1996. Il Ministro deve essere ricoverato immediatamente.
Tuttavia, per paura che l'imbarazzante vicenda finisca sulla stampa, Luisa Corna non chiama subito un'ambulanza, ma avverte alcuni leghisti molto vicini a Bossi che le suggeriscono di attendere il loro arrivo per gestire la situazione. Solo dopo alcune ore, Bossi, ormai grave, è trasportato all'ospedale. Ma invece di portarlo all'ospedale di Crema (a 10 Km), di Brescia (a 60 km), di Cremona (a 40 Km), il Ministro viene portato a Varese (a 120 Km). Il ritardo nei soccorsi provoca il peggioramento dell'emorragia che si evolve in un vero e proprio ictus.
La riabilitazione costringerà l'ex Ministro e deputato (Bossi rinuncerà a queste cariche nel mese di Luglio) ad una lunga degenza ospedaliera in Svizzera e ad una faticosa convalescenza, e conseguentemente ad una lunga interruzione dell'attività politica. Oggi Bossi ha la parte sinistra del corpo semi-paralizzata.
Alcune fonti (e smentite) della leggenda:
http://italy.indymedia.org/news/2004/06/572089.php
http://smammellosky.leonardo.it/blog/celodurofinchdura.html
http://www.claudiocaprara.it/?id_blogdoc=1144210
http://canali.libero.it/affaritaliani/intervistacorna.html
http://www.repubblica.it/2004/c/sezioni/politica/bossiospedale/bossiospedale/bossiospedale.html
(fonte: 100cosesosi)
martedì 21 settembre 2010
Il presidente dell'Agcom: il servizio pubblico deve consentire a tutti di vedere le trasmissioni "Potrà stare su tutte le piattaforme commerciali e dovrà stare su tutte quelle tecnologiche"
Calabrò: "Rai anche su Sky se indispensabile"
Mediaset, ricorso contro la chiavetta digitale
Il gruppo del Biscione denuncia all'Antitrust la distribuzione dell'apparecchiatura "contraria alla normativa comunitaria e nazionale in materia di concorrenza"
ROMA - Si riaccende la guerra delle tv. Da una parte Corrado Calabrò, presidente dell'Agcom, chiarisce che la Rai deve stare anche su Sky "se indispensabile", per consentire a tutti gli utenti di vedere i programmi. Dall'altra Mediaset ricorre all'Antitrust contro la chiavetta di Sky per il digitale terrestre. La replica dell'emittente di Murdoch è immediata: "E' solo un modo per garantire a milioni di famiglie la possibilità di fruire dell'offerta digitale in chiaro sul digitale terrestre".
A margine dell'audizione in commissione di Vigilanza, dove ha presentato le linee guida del nuovo Contratto di servizio, Calabrò ha affermato che la Rai "potrà stare su tutte le piattaforme commerciali" e invece "dovrà stare su tutte le piattaforme tecnologiche, quindi anche sul satellite", così da consentire a tutti gli utenti di vedere le trasmissioni...(continua) (fonte: La Repubblica)
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