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lunedì 4 luglio 2011

LA STRUTTURA DELTA IN RAI. Idv: "Una class action contro la Rai". Dalla "squadra" danni per i cittadini


Le telefonate intercettate nel 2005, nell'ambito dell'inchiesta Hdc. Da Deborah Bergamini a Pionati a Del Noce, tanti si attivano per addolcire a Berlusconi il boccono amaro delle Regionali, ma anche per discutere con la supposta "concorrenza" i palinsesti più favorevoli al "Biscione". Fino alla costituzione di una "task force" per controllare e disinformare. Un gruppo che funziona ancora...

La struttura Delta non operava negli interessi dei veri proprietari della Rai, ovvero i cittadini che pagano il canone. L'Italia dei valori annuncia un'azione legale contro i "dirigenti infedeli" che hanno messo in discussione la libertà di informazione. E il partito di Di Pietro chiede al Dg Lorenza Lei di prendere una posizioneROMA - Una class action contro la Struttura delta della Rai. Secondo l'Idv, i dirigenti della televisione pubblica che lavoravano negli interessi di Berlusconi devono pagare i danni. Da quanto emerge dalle intercettazioni del 2005, raccolte nell'ambito dell'inchiesta Hdc, infatti, a Viale Mazzini c'era una squadra che lavorava per non scontentare il Cavaliere. 'La struttura Delta', questo il nome del nucleo operativo composto da manager Rai e Mediaset, lavorava per favorire il Capo, per fare in modo che l'informazione fosse al suo servizio, organizzava i palinsesti perché il Biscione non perdesse share.


Deborah Bergamini, Fabrizio del Noce, Clemente Mimun, Gianfranco Comanducci e Alessio Gorla, però, dice adesso l'Italia dei valori, hanno ingannato i veri proprietari della Rai, ovvero i cittadini che pagano il canone. Il partito di Di Pietro annuncia: "Agiremo per vie legali - si legge in una nota il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando - e promuoveremo una class action per risarcire la Rai da coloro che hanno tradito il ruolo del servizio pubblico e hanno distrutto la libertà d'informazione". I dirigenti infedeli, continua la nota, che hanno lavorato per Mediaset e per Berlusconi devono pagare in prima persona per il danno che hanno procurato ai cittadini.


"Lorenza Lei - prosegue - dica da che parte sta, non ha più alibi, deve dimostrare di non aver nulla a che fare con questa struttura parallela lobbista e piduista, prendendo provvedimenti nei riguardi di coloro che hanno infangato l'azienda pubblica e che ancora sono al loro posto. Dovrebbe disporre un'indagine interna e cacciare chi rema contro".

Secondo l'Idv le notizie che arrivano dalla Rai confermano che la Struttura delta ancora esiste e lavora per favorire il Premier. "L'eliminazione di programmi di successo e di professionisti dell'informazione - prosegue l'esponente dipietrista - come Maria Luisa Busi, Milena Gabanelli, Michele Santoro, il duo Fazio-Saviano, Serena Dandini e tanti altri, dimostra come la struttura Delta sembra ancora operare in Rai. Il Dg batta un colpo ed esca dal suo imbarazzante silenzio o si renderà complice delle epurazioni e dell'implosione dell'azienda. Si capisce ora perché questo governo e questa maggioranza vogliono abolire le intercettazioni perché vogliono nascondere tutte le nefandezze che commettono".

"L'Italia dei Valori, che non si è mai seduta al tavolo della spartizione delle poltrone del Cda Rai - conclude Orlando - chiede nuovamente a tutte le forze politiche di fare un passo indietro e di promuovere una riforma seria del servizio pubblico radio televisivo per restituirlo ai cittadini. Una riforma da fare contestualmente alla risoluzione del conflitto d'interessi, per evitare che in futuro si nomino altri Cda in applicazione della legge Gasparri, norma che abbiamo tutti il dovere civile di abrogare".


(fonte: Repubblica)

lunedì 9 maggio 2011

Il bavaglio Rai al referendum. Democrazia in caduta libera!


Date: 20 aprile 2011 11:23

Ciao a tutti,

confermo la necessità di questo passaparola, aggiungendo che si tratta di informazione per ri-affermare i diritti costituzionalmente garantiti . Il dramma è che sembra la maggior parte della popolazione non sia consapevole di quanto sta avvenendo.

Quello che Vi porto è solo un piccolo esempio. Sono una ricercatrice, mi occupo di diritto ambientale e di risorse idriche. Ieri mattina dovevo intervenire ad un programma RADIO RAI (programmato ormai da due settimane) per parlare del referendum sulla privatizzazione dell'acqua e chiarirne meglio le implicazioni giuridiche.

'E arrivata una circolare interna RAI alle 8 di ieri mattina che ha vietato con effetti immediati a qualunque programma della RAI di toccare l'argomento fino a giugno (12-13 giugno quando si terrà il referendum), quindi il programma è saltato e il mio intervento pure.

Questo è un piccolo esempio delle modalità con cui "il servizio pubblico" viene messo a tacere e di come si boicotti pesantemente la possibilità dei cittadini di essere informati e di intervenire (secondo gli strumenti garantiti dalla Costituzione) nella gestione della res publica. Di fronte a questa ennesima manifestazione di un potere esecutivo assoluto che calpesta non solo quotidianamente le altre istituzioni, ma anche il popolo italiano di cui invece si fregia di esser voce ed espressione, occorre riappropriarci della nostra voce prima di perderla definitivamente.

Il referendum è evidentemente anche questo!

Mariachiara Alberton



RICORDATEVI CHE DOVETE PUBBLICIZZARLO VOI IL REFERENDUM... perchè il Governo non farà passare gli spot ne' in Rai ne' a Mediaset.
Sapete perché ? Perché nel caso in cui riuscissimo a raggiungere il quorum lo scenario sarebbe drammatico per i governanti ma stupendo per tutti i cittadini italiani:
Vi ricordo che il referendum passa se viene raggiunto il quorum. E' necessario che vadano a votare almeno 25 milioni di persone

Il referendum non sarà pubblicizzato in TV e Radio.

I cittadini, non sapranno nemmeno che ci sarà un referendum da votare il 12 giugno. QUINDI : I cittadini, non andranno a votare il referendum.

Vuoi che le cose non vadano a finire cosi? Copia-incolla e pubblicizza il referendum a parenti, amici, conoscenti e non conoscenti.

Passaparola!

giovedì 5 maggio 2011

Il disastro ambientale del Cavaliere


di Giovanna Ricoveri.

Meno nota e non sempre sotto i riflettori, la (non) politica ambientale dei vari governi Berlusconi ha provocato effetti disastrosi da molti punti di vista: la salute, la fertilità dei suoli, la sicurezza alimentare, il riscaldamento climatico, le frane e le alluvioni. Oltre a distruggere il nostro ecosistema, ha un costo economico e sociale enorme che ricade soprattutto sui soggetti più deboli.


Il problema

Il filo rosso che attraversa e orienta la politica ambientale dei governi Berlusconi dal 1994 ad oggi è efficacemente espresso dallo slogan «Padroni a casa propria», con cui Forza Italia vinse le elezioni politiche del 1994. Questo slogan, usato ripetutamente a sostegno delle scelte liberiste della politica ambientale, ne esprime bene anche le ambiguità: dichiara di voler sostenere la libertà individuale di tutti i cittadini, mentre nella sostanza serve a costruire e foraggiare l’alleanza con le forze della rendita, della speculazione, degli affari e spesso della malavita organizzata. L’ambientalismo berlusconiano si fonda sull’ideologia del «mercato senza regole», della privatizzazione di tutto quello che è «comune» o statale, dell’equiparazione tra il pubblico e il privato, della cancellazione dello Stato ridotto a impresa.

Tra il berlusconismo e l’ambiente esiste una contrapposizione insanabile e a priori: il primo si basa sul privato e sull’arricchimento individuale, sull’appropriazione individuale delle risorse naturali, sociali e culturali, sul governo della cosa pubblica da parte di un comitato d’affari; il secondo, sul pubblico e sulle regole, sui beni comuni, sul rispetto della natura e dei suoi cicli vitali, sulla giustizia ambientale oltre che su quella sociale, sulla democrazia intesa come partecipazione dei cittadini alle scelte che regolano la loro vita.

Negli anni Ottanta, e in particolare con la caduta del Muro di Berlino, l’ideologia del libero mercato ha fatto breccia anche nelle forze politiche di sinistra – in tutta la gamma delle sue articolazioni – e questo ha aperto un varco importante per il diffondersi in Italia di una destra populista, che si autodefinisce «liberale». Il rispetto delle regole e il controllo sulla loro applicazione non fanno parte del resto della tradizione italiana, come avviene in altri paesi europei; la cultura ecologista è nata in Italia molto più tardi che nel resto d’Europa e «il mattone» è un male antico, che trovava giustificazione in passato quando il paese era povero e la casa di proprietà era un fattore di sicurezza, e ne trova una anche oggi perché il costo delle abitazioni e il livello degli affitti è proibitivo per la stragrande maggioranza della popolazione rispetto al livello dei salari, molto di più di quanto non avvenga negli altri paesi europei. L’edilizia continua inoltre a essere considerata il motore o volano dello sviluppo da parte delle forze produttive – imprenditoriali e del lavoro – senza alcun serio ripensamento sui limiti intrinseci e sulla pochezza di un tale modello di sviluppo.

Nel secondo dopoguerra, anche in Italia c’è stata una stagione positiva di pianificazione territoriale e una «primavera» ambientale, che hanno prodotto strumenti e leggi di regolazione, ora nel mirino della destra al potere. Il berlusconismo, coadiuvato dalla Lega, ha cavalcato la situazione dando dignità di progetto politico a un disegno reazionario, senza trovare un’opposizione convinta da parte delle forze politiche di sinistra. Nella politica ambientale di questo governo c’è molta arroganza ma anche ignoranza sul ruolo insostituibile delle regole nella convivenza umana e dei servizi ecosistemici che la natura offre gratuitamente a tutti noi.

Gli effetti sono disastrosi da molti punti di vista: la salute, la fertilità dei suoli, la sicurezza alimentare, il riscaldamento climatico, le frane e le alluvioni, e hanno anche un notevole costo economico che pesa sulle casse dello Stato e che potrebbe essere evitato con politiche di prevenzione. Questa politica ambientale è inoltre iniqua e ingiusta, perché il suo costo ricade soprattutto sui soggetti più deboli – bambini, anziani e meno abbienti – e appare tanto più grave in un paese come l’Italia geologicamente giovane, fragile e instabile dal punto di vista idrogeologico sia nella pianura padana che lungo l’Appennino.

Uno sguardo d’insieme

La politica ambientale dei governi Berlusconi – che resta tale anche quando è una non politica, perché l’assenza di norme è in questo caso funzionale al progetto – ha spaziato fin dall’inizio in tutte le direzioni, usando tattiche diverse a seconda delle opportunità, sempre allo scopo di ottenere il consenso del popolo, che di quelle scelte e non scelte è comunque chiamato a pagare il prezzo maggiore.

Ha tagliato fin dagli inizi il bilancio del ministero dell’Ambiente fino al 60 per cento di quest’anno e ne ha ridimensionato il ruolo modificandone la legge istitutiva; non ha finanziato nessuno dei piani di riforestazione, la cui realizzazione spetta alle regioni; nel gennaio 2010 ha concesso a quest’ultime libertà di deroga sui calendari della caccia stabiliti dalla legge 157 dell’11 febbraio 1992 per gli uccelli migratori e alcuni mammiferi come cervi, caprioli e cinghiali, con conseguenze negative sulla biodiversità; ha negato l’esistenza del cambiamento climatico in molte dichiarazioni ufficiali e paga all’Unione Europea 42 euro al secondo per violazione degli accordi climatici; usa il milleproroghe – il decreto del Consiglio dei ministri per «prorogare o risolvere disposizioni urgenti entro la fine dell’anno in corso» – per cancellare, reintegrare o istituire norme e finanziamenti come nel caso della detrazione fiscale del 55 per cento sulla spesa di riqualificazione energetica degli edifici già esistenti; o, peggio ancora, per smembrare il Parco dello Stelvio tra le province di Trento e Bolzano e la regione Lombardia e «ringraziare» in questo modo i deputati della Svp che si sono astenuti sulla mozione di sfiducia il 14 dicembre 2010; inserisce norme ambientali in coda a leggi che si occupano d’altro o gioca sulle parole per dire e non dire, come nel caso della legge sulla prima sanatoria edilizia del 1994 dove un articolo esclude dal condono le volumetrie superiori a 750 mc per edificio mentre un altro articolo precisa che l’esclusione non riguarda la volumetria dell’intero edificio ma la singola domanda di condono: basta dunque presentare due domande, per aggirare l’ostacolo. Last but not least, il federalismo demaniale approvato dal Consiglio dei ministri il 20 maggio 2010, che trasferisce agli enti locali i beni del demanio patrimoniale dello Stato, al fine della loro «valorizzazione ambientale»: ma che cosa ci può essere di ambientale nella messa sul mercato dei beni pubblici? L’idea è quella che i «gioielli di famiglia» possano restare pubblici anche se dati in gestione al privato, che ne trae un profitto con cui compensare il taglio dei trasferimenti da parte dello Stato. L’esperienza dell’acqua, in Italia e nel mondo, dimostra che la gestione privata di un bene comune serve solo a privatizzare quel bene e, con esso, lo Stato e il pubblico in generale.

Condoni edilizi e morte dell’urbanistica

Urbanistica e assetto idrogeologico del suolo sono i due terreni privilegiati della controriforma ambientale berlusconiana. Per sostenere l’edilizia, e quindi con il consenso trasversale di cittadini, costruttori, speculazione edilizia, lobby del cemento e sempre più spesso della mafia e della camorra, il governo Berlusconi ha realizzato due condoni edilizi (rispettivamente nel 1994 e nel 2003), mentre un terzo è nell’aria; ha abolito l’Ici (2008) sulla prima casa per tutti indipendentemente dalla tipologia dell’abitazione e dal livello di reddito del proprietario; ha approvato un piano di edilizia abitativa (2009) da realizzare con l’ampliamento delle abitazioni esistenti senza alcuna considerazione dei servizi pubblici che tale piano richiede e che graveranno sulla spesa pubblica. Il piano stenta a decollare per vincoli burocratici, affermano governo e Confindustria. Era già stato realizzato abusivamente, fa capire l’Istat quando informa che nei dieci anni precedenti 24 mila alloggi (e 87 mila stanze) in media ogni anno erano già stati ampliati, abusivamente e illegalmente.

Il primo condono, subito dopo l’ingresso di Berlusconi a Palazzo Chigi, era una promessa fatta in campagna elettorale, con lo slogan: «Padroni a casa propria». Il condono riguardava tutte le costruzioni abusive anche quelle realizzate nelle zone ecologicamente fragili e soggette a rischio frana, nelle aree a elevato livello di biodiversità e in quelle soggette a vincolo paesaggistico, e quindi con divieto di edificazione in base alla legge Galasso (n. 431 del 1985), perché vicine a fiumi o sulla riva dal mare; la disposizione mirava a consentire ai fiumi di avere lo spazio di espansione nei periodi di piena. Quel condono rispondeva del resto a una domanda popolare diffusa anche perché le costruzioni abusive non erano più opera della vecchia borghesia parassitaria e dei grossi speculatori sulle aree del secondo dopoguerra ma di gruppi medi di proprietari e di esponenti della nuova borghesia commerciale. La legge di condono 724 del 23 dicembre 1994 si intitolava «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica», evidenziando un altro punto fermo della politica berlusconiana, far credere ai cittadini che il nuovo governo alimenta le casse dello Stato con le entrate della sanatoria «senza mettere le mani nelle tasche degli italiani». Era una grandissima bugia, perché i costi di urbanizzazione a carico dello Stato sono stati, in questo caso, almeno 5 volte superiori alle entrate.

Il secondo condono (decreto legge 269 del 2003) è servito soprattutto a sanare il cambiamento della destinazione d’uso di magazzini e capannoni in piccole attività artigianali, palestre, supermercati e centri commerciali, discoteche e altre attività terziarie necessarie al modello di sviluppo del Nord-Est ora in crisi e alla trasformazione della pianura padana in un continuo urbano senza forma né identità. Anche in questo caso, la legge aveva un titolo ambiguo: «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici». L’esiguità delle somme stanziate per lo sviluppo – 50 milioni di euro per la riqualificazione urbanistica e 100 per la sicurezza idrogeologica – rivelarono subito l’imbroglio del titolo, che dice una cosa diversa da quella che si sta facendo.

L’abusivismo dell’era berlusconiana è un piaga storica, che la legislazione urbanistica del secondo dopoguerra non è riuscita a debellare perché l’abusivismo porta voti e perché lo Stato italiano non ha né la forza né l’autorità per far rispettare le sue leggi, specie in materia di edilizia; non per una predisposizione alla trasgressione del popolo italiano, come ha recentemente precisato Paolo Berdini (Breve storia dell’abuso edilizio in Italia, Donzelli 2010). Con i governi Berlusconi questa piaga non è più un costo da pagare ma un’opportunità da utilizzare: l’illegalità nelle costruzioni è pertanto diventata permanente. L’abusivismo edilizio tollerato, e anzi «atteso», esprime anche il tentativo di chiudere definitivamente la stagione delle leggi di regolazione urbanistica e territoriale, che avevano dato agli enti locali gli strumenti per il controllo della rendita fondiaria: l’esproprio a prezzi agricoli della aree da edificare e l’abbattimento degli edifici costruiti illegalmente. Il poker delle leggi importanti, per il periodo preso in esame, era costituito dalle seguenti leggi (tra altre): la 167 del 1962 per l’edilizia economica e popolare, la 765 del 1967 contro l’abusivismo nei centri storici, la 10 del 1978 sull’edificabilità dei suoli, la 457 del 1978 sull’edilizia residenziale.

I costi ambientali dei condoni edilizi sono molto elevati da molti punti di vista, primo tra tutti la devastazione del territorio che è in larga misura irreversibile, e quindi non quantificabile. Può essere in parte reversibile, ma a un costo elevato e nei tempi lunghi. I suoi effetti negativi dipendono da un consumo di suolo superiore a quello ecologicamente e socialmente sostenibile; dalla scomparsa di aree verdi e agricole essenziali per respirare e per un’agricoltura sana; dalla deturpazione del paesaggio; da un sistema di trasporti caotico che insegue gli insediamenti senza mai raggiungerli; dall’inquinamento idrico per la mancanza di fognature; dal degrado sociale e umano di chi è costretto a vivere lontano dai servizi e dalle scuole, senza negozi, parchi, librerie, teatri e spazi pubblici. Costi elevati si calcolano anche nell’industria edile – da quelli legati al ciclo del cemento scavato nell’alveo dei fiumi agli incidenti sul lavoro nei cantieri privi di controlli.

Già verso la fine degli anni Ottanta la pianificazione urbanistica e territoriale cedeva il passo all’urbanistica contrattata e alla privatizzazione dell’urbanistica, che consegnava le trasformazioni del territorio alla proprietà immobiliare, con il consenso e anche il concorso della sinistra entrata nell’ottica del mercato, in particolare di alcune amministrazioni come il comune di Roma delle giunte Rutelli e Veltroni. Al cuore delle politiche di privatizzazione delle nostre città c’è la proposta presentata dall’onorevole Maurizio Lupi di riforma della legge urbanistica del 1942, che da anni il governo di destra cerca di far passare in parlamento. L’obiettivo della proposta è liquidare i piani regolatori e «convincere» le amministrazioni pubbliche a scendere a patti con la proprietà fondiaria, i cui esponenti sono equiparati allo Stato.

(fonte: Micromega, Cometa)

giovedì 21 aprile 2011

Lettera dall' Italianistan


Vivo a Milano 2, in un quartiere costruito dal Presidente del Consiglio. Lavoro a Milano in un’azienda di cui è principale azionista il Presidente del Consiglio. Anche l'assicurazione dell'auto con cui mi reco a lavoro è del Presidente del Consiglio, come del Presidente del Consiglio è l'assicurazione che gestisce la mia previdenza integrativa. Mi fermo tutte le mattine a comprare il giornale di cui è proprietario il Presidente del Consiglio.
Quando devo andare in banca, vado in quella del Presidente del Consiglio.
Al pomeriggio, quando esco dal lavoro, vado a far la spesa in un ipermercato del Presidente del Consiglio, dove compro prodotti realizzati da aziende partecipate dal Presidente del Consiglio. 


Alla sera, se decido di andare al cinema, vado in una sala del circuito di proprietà del Presidente del Consiglio, e guardo un film prodotto e distribuito da una società del Presidente del Consiglio: questi film godono anche di finanziamenti pubblici elargiti dal governo presieduto dal Presidente del Consiglio.




se invece la sera rimango a casa, spesso guardo la TV del Presidente del Consiglio, con decoder prodotto da società del Presidente del Consiglio, dove i film realizzati da società del Presidente del Consiglio sono continuamente interrotti da spot realizzati dall'agenzia pubblicitaria del Presidente del Consiglio. Seguo molto il calcio, e faccio il tifo per la squadra di cui il Presidente del Consiglio è proprietario.
Quando non guardo la TV del Presidente del Consiglio guardo la RAI, i cui dirigenti sono stati nominati dai parlamentari che il Presidente del Consiglio ha fatto eleggere. Quando mi stufo navigo un po’ in internet, con provider del Presidente del Consiglio. Se però non ho proprio voglia di TV o di navigare in internet leggo un libro, la cui casa editrice è di proprietà del Presidente del Consiglio. Naturalmente, come in tutti i paesi democratici e liberali, anche in Italianistan è il Presidente del Consiglio che predispone le leggi che vengono approvate da un Parlamento dove molti dei deputati della maggioranza sono dipendenti ed avvocati del Presidente del Consiglio, che governa nel mio esclusivo interesse, per fortuna!

(fonte: Gaetano Amato)

lunedì 11 aprile 2011

Masi contro i talk sgraditi alla destra. A rischio Fazio, Floris e Gabanelli


di LEANDRO PALESTINI

I consiglieri d'opposizione: una precisa strategia politica nei confronti di programmi molto redditizi. Il dg ha respinto la proposta di far proseguire Ballarò fino a tutto luglio. Corsie preferenziali invece per gli ingaggi di Ferrara e Sgarbi

ROMA - La politica strangola la Rai. Pur di penalizzare Rai3, rete poco amata dal premier, viale Mazzini non avvia le trattative per rinnovare i contratti a Fabio Fazio, Giovanni Floris e Milena Gabanelli: in scadenza tra i mesi di giugno e agosto. Mentre il direttore generale Mauro Masi apre corsie preferenziali per Giuliano Ferrara (ingaggio-blitz per "Radio Londra") e Vittorio Sgarbi (da fine aprile con "Al di là del bene e del male": 200 mila euro lorde a puntata a Sgarbi) per alcuni conduttori la Rai è matrigna (Michele Santoro viene "tollerato" per gli ascolti, ma pur sempre osteggiato). A maggio la Sipra, concessionaria della pubblicità Rai, dovrà presentare agli inserzionisti pubblicitari i suoi gioielli tv, i programmi della stagione autunno-inverno: ma ad oggi Masi non prende decisioni, rischia di sfasciare programmi di Rai3 che (piacciano o no a Berlusconi) portano milioni di euro alle casse del servizio pubblico. Poche settimane fa il quotidiano online Lettera 43 riportò voci (mai smentite) di un piano per escludere dal palinsesto autunnale "Report", "Che tempo che fa" (con annesso "Vieni via con me di Saviano") e "Parla con me" della Dandini (la cui conferma dipende dal rinnovo contrattuale tra la Rai e la società Fandango). Per alcuni di loro sarebbero già in corso dei contatti con La 7 e Sky.

Si vuole disperdere un patrimonio aziendale? I consiglieri di minoranza Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten, dicono che i programmi di Rai3 sono convenienti per l'azienda: il costo di produzione di "Ballarò" (33 puntate) è di 3 milioni e 500 mila euro, ma ricava 8 milioni in pubblicità; "Che tempo che fa" costa 10 milioni e 400 mila euro (66 puntate) e incassa 17 milioni e 600 mila euro; "Report" costa 2 milioni e 200 mila euro (20 puntate) e attira spot pubblicitari per 4 milioni e 100 mila euro. Mentre il ministro Brunetta realizza il suo sogno di vedere pubblicati i compensi dei conduttori (in un sito Rai) c'è chi fa notare che c'è un valore aggiunto dei conduttori. Masi ha problemi di budget, la Rai chiude l'anno con un rosso di 120 milioni, è suo compito fare trattative (anche serrate) per i rinnovi contrattuali. Ma poi risparmia sui compensi agli artisti sgraditi, fino al paradosso Vauro: la Rai non lo paga un solo euro per "Annozero" ma le sue vignette fanno ridere pure gli ospiti di Lega e Pdl.

Fazio, Floris e Gabanelli passeranno a tv concorrenti? A un ospite che gli chiedeva se poteva tornare a gennaio. Gli ha risposto "non so se "Che tempo che fa" andrà in onda..." si è lasciato scappare Fabio Fazio, in diretta tv, pochi giorni fa. Eppure Fazio ha una platea in crescita, la media degli spettatori è passata da 3 milioni 208mila (12.65% di share) a 3 milioni 426mila (12.93% di share), il Qualitel gli assegna 69 punti. Giovanni Floris, insieme al direttore di rete, Paolo Ruffini, chiede a Masi di non chiudere "Ballarò" a giugno, ma di proseguire fino a tutto luglio: risposta negativa. Eppure l'abbonato Rai ha gradito "Ballarò": l'anno scorso aveva 3 milioni 961mila spettatori medi (15.54% di share) quest'anno l'audience media è di 4milioni 507mila fan (16.64% di share). Ed è in forte crescita il pubblico domenicale di "Report": dai 2milioni 976mila spettatori dell'anno scorso (12.35% di share), Gabanelli è passata ai 3milioni 602mila (13.89% di share) di questa edizione. (10 aprile 2011)

(fonte: Repubblica)

martedì 5 aprile 2011

Ruby, tre telefonate di Berlusconi negli atti della Procura di Milano

DOCUMENTI


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Colloquio con la Minetti sul caso della ragazzina marocchina. LE CARTE I TESTI CONTENUTI TRA LE 20 MILA PAGINE DEPOSITATE IN TRIBUNALE

MILANO - Sono tre le telefonate in cui è rimasta registrata la voce del presidente del Consiglio e che, tra le 20mila pagine depositate agli atti da settimane sul caso Ruby, sono sopravvissute nei brogliacci agli omissis apposti dai pm a tutela dello status parlamentare del premier. Nelle conversazioni Berlusconi, per legge non intercettabile senza previa autorizzazione delle Camere, è interlocutore di ragazze (Nicole Minetti, Marysthelle Polanco e Raissa Skorkina) che invece in quel momento avevano i telefoni posti legittimamente sotto controllo dal gip.


AGOSTO, «INDAGANO SU RUBY», «MA I NOSTRI TESTI DIRANNO...»
Berlusconi: «Come sta la mia consigliera bravissima? Mi parlano tutti così bene di te, amore. Tutti, quelli della Lega, i nostri (...) Così poi quando ci sono le elezioni vieni in Parlamento».
Nicole Minetti è il consigliere regionale pdl che Berlusconi - avvertito il 27 maggio 2010 a Parigi sul suo cellulare dalla prostituta brasiliana Michelle della presenza in Questura a Milano della 17enne marocchina Karima «Ruby» el Mahroug 


per una denuncia di furto di tremila euro - aveva immediatamente fatto catapultare di notte in Questura. Preannunciando per telefono al capo di gabinetto che si trattava di una sua delegata, alla quale affidare la minorenne che il premier asseriva gli fosse stata segnalata come nipote del presidente egiziano Mubarak. L'1 agosto 2010, cioè 10 giorni dopo il terzo verbale di Ruby, due giorni prima dell'ultimo ai pm, e quasi tre mesi prima dell'emersione dell'inchiesta, è al telefono con Berlusconi. E dai complimenti passa presto ad altro.
Minetti: «Ma lo sai che l'altro giorno è venuto da me in Consiglio regionale Giuliante a parlarmi della storia della Ruby?».
Berlusconi: «E Giuliante chi è?».
Minetti: «Giuliante è l'avvocato del Pdl nonché di Lele (Mora, ndr), è venuto in Consiglio e praticamente m'ha raccontato tutta la storia, che c'è questo pm di nome Forno che sta seguendo il caso (...) e che secondo lui, non adesso, ma a settembre (il pm Forno, ndr) mi chiamerà perché comunque sia la Ruby che l'altra str... della Michelle hanno fatto il mio nome. Hanno aperto un'indagine su questa Michelle, perché in effetti è vero che la Ruby l'ha denunciata».
Berlusconi: «Cioè, la Ruby ha denunciato Michelle?».
Minetti: «Sì, per induzione alla prostituzione».
Berlusconi: «Una si dà la patente di puttana?».
Minetti: «Te lo giuro» (ride).
Berlusconi: «Ma roba da matti».
Fin qui il premier sembra stupito o disinteressato. Ma quando anticipa a Minetti quella che sarà poi la linea difensiva, mostra di sapere già bene di che tratti l'indagine, altrimenti non si comprenderebbe il senso del preciso richiamo all'età minorenne o meno della ragazza.
Berlusconi: «Vabbeh, quello che è importante è che ci siano diverse persone che testimonino come a noi (Ruby, ndr) aveva detto che aveva l'età diversa da quella che aveva insomma. Una volta che succede quello, non succede più niente. L'abbiamo soltanto aiutata perché ci faceva pena».
Minetti però riferisce un dato che disorienta Berlusconi.
Minetti: «Si, perché (Giuliante, ndr) m'ha detto che 'sto Forno c'ha anche delle foto in mano, che gli ha dato la Michelle».
Non è vero. Si è ora capito che era la bugia che Ruby raccontava a Giuliante quasi per giustificarsi del fatto di non aver potuto negare nei verbali le proprie presenze alle notti di Arcore. Ma già la sola prospettiva di foto, benché non vera, incrina la sicurezza del premier. Il brogliaccio lo segnala ammutolito: «5 secondi di silenzio».
Berlusconi: «Ho capito. Mmh, vabbeh, speriamo che non venga fuori un casino. Sai, basta poco perché quando si tratta di me, eh, tutti i giornali son contenti...va beh, comunque noi non abbiamo fatto niente di male, eh...».
Alla luce di questa inedita telefonata dell'1 agosto acquista interesse anche quella che il 22 ottobre 2010, quattro giorni prima che Il Fatto sveli l'esistenza di Ruby, parte da Palazzo Grazioli (residenza romana del premier) per Barbara Faggioli, una delle ragazze delle feste di Arcore.

LA SEGERETRIA DEL PREMIER: C'È DA COSTRUIRE UN VERBALE»
«C'è da costruire un verbale»
A chiamarla è la segretaria di Berlusconi per convocarla alle indagini difensive dell'avvocato Ghedini. Ma l'argomento le è posto in modo tutt'altro che neutro, più simile a una anticipazione di quanto la ragazza dovrebbe dire.
Segretaria: «Buongiorno, è la segreteria del presidente Berlusconi, noi la volevamo convocare perché è veramente indispensabile la sua presenza per cercare di costruire e verbalizzare le normalità delle serate del presidente Berlusconi... Lunedì 25 a Milano presso lo studio Vassalli alle 17».
Faggioli: «Vengo da sola?».
Segretaria: «Si presenta da sola e deve chiedere dell'avvocato Niccolò Ghedini».
Faggioli: «Ah, Ghedini».
Segretaria: «Sì, sì, sempre lui».


RAISSA: «HO FINITO LA BENZINA». SILVIO: «OK VAI DA SPINELLI»
La seconda telefonata del premier sopravvissuta agli omissis è del 26 settembre 2010. Raissa Skorkina, ospite russa delle notti di Arcore, chiama Villa San Martino e in 31 secondi le viene passato il presidente, dal quale cerca l'ok a ottenere «benzina» dal tesoriere personale di Berlusconi, il ragionier Spinelli.
Raissa: «Amore ciao ciao, tutto bene, e tu?».
Berlusconi: «Abbastanza, sono pieno delle cose politiche che è una cosa pazzesca».
Raissa: «Eh, immaginato. Però ho tanta voglia di parlarti, ti prego! (...) E poi volevo chiederti... mi stanno finendo la benzina».
Berlusconi: «Come?».
Raissa: «Mi sta finendo la benzina».
Berlusconi: «Ah, ho capito. Va bene, lo dico a Spinelli. Va bene?».

IL CASTING TV DI MARYSTHELLE: «TE L'HO PROCURATO IO»
La terza telefonata rimasta negli atti è con la dominicana Marysthelle Polanco ed è del 4 ottobre 2010, tre mesi dopo che il premier ha sicuramente saputo dell'arresto del suo convivente per traffico di 12 chili di cocaina. Anche qui è una donna da Palazzo Grazioli che le passa il premier. La conversazione ha ampi tratti privati, e inserimenti di un'altra ragazza (Aris) accanto a Marysthelle, a base di scherzosi e reciproci «cattivona tu»/«no, cattivissimo tu». Qui si darà conto solo del segno di un intervento di Berlusconi a favore di Marysthelle nel mondo della tv.
Marysthelle: «Sono a Roma, oddio sono venuta a fare il casting con Pingitore. Ti ricordi?».
Berlusconi: «Sì, quella che ti ho procurato io, no?».
Marysthelle: «Sì, amore» (ride).
Berlusconi: «Adesso mi hanno chiesto se possono fare qualche numero per le nostre reti. Sto tentando di convincere mio figlio».


E UNO DEI BUNGA BUNGA VA IN VIVAVOCE PER CASO
Agli atti c'è anche una sorta di casuale viva voce di un bunga-bunga di Berlusconi. Capita infatti che uno spasimante di Aris Espinoza, indispettito per le presenze ad Arcore di Aris e dell'amica Iris, la notte del 25 settembre le chiede via sms un favore particolare: «Rispondimi per ascoltare... quando sei con lui». «Ok», gli promette la ragazza. E mantiene, annotano i brogliacci: «Come richiesto nel sms, l'interlocutore chiama e l'utente (la ragazza, ndr) risponde senza parlare. In sottofondo si sente Iris che dice "sono già ubriaca", Aris le chiede "hai bevuto?", poi si sente la voce in sottofondo di un uomo, presumibilmente Silvio Berlusconi».

martedì 1 febbraio 2011

Fallisce Dahlia Tv. Ennesimo caso di conflitto di interessi?


Centocinquanta lavoratori sono da oggi disoccupati. Ma questa volta non è colpa della crisi. Si tratta dei dipendenti di Dahlia tv, la televisione a pagamento sul digitale terrestre, ora in liquidazione, che dal 2009 ha trasmesso le partite di una fetta consistente di squadre di calcio della Serie A. Cause del fallimento? Troppi pochi abbonamenti ed il sospetto che dietro ci sia un curioso caso di conflitto di interessi.
La diffusione delle partite di Serie A è assegnato per il satellite a Sky, mentre sul digitale terrestre a Mediaset (attraverso i canali Premium) e a Dahlia, televisione di un gruppo svedese. A partire da marzo 2009 la pay per view Cartapiù (di proprietà della Telecom) fu sostituita dalla nuova piattaforma Dahlia TV, che ne proseguì l’attività in abbonamento, trasmettendo le partite di Serie A delle 9 squadre che avevano un contratto con Cartapiù, mentre Mediaset Premium mantenne le altre 11 squadre. Poi nella stagione seguente (2009-10) Mediaset e Dahlia si spartirono equamente le squadre del campionato: ogni tv offriva le partite di 10 squadre.


“Concorrenza perfetta” avrà pensato qualcuno che però non aveva fatto i conti con un enorme conflitto di interessi. Infatti, dalla stagione attuale la Lega Calcio ha modificato in extremis il regolamento per i diritti tv. Niente più trattative tra le tv e le singole società ma tutto torna ad essere gestito centralmente dalla Lega di Serie A. Nulla di strano se non fosse che un certo Adriano Galliani, uomo di fiducia del premier Berlusconi e vicepresidente del Milan siede nel Consiglio di Lega. E che centra Berlusconi con la vicenda di Dahlia? Il premier, come tutti sanno, è proprietario del Milan e di Mediaset. E quest’ultima azienda è la diretta concorrente della tv svedese nel mercato del digitale terrestre in Italia. Così, non è un caso che da un anno all’altro Mediaset si ritrova assegnate 12 squadre, mentre Dahlia solo 8. Queste sono la Sampdoria, il Cagliari, il Chievo, il Cesena, l’Udinese, il Lecce, il Catania e il Parma. Insomma, tutte piccole società che hanno un bacino di tifosi piuttosto limitato. Rispetto alla passata stagione Dahlia ha perso Palermo e Fiorentina, due squadre dalle tifoserie piuttosto corpose. Così Dahlia si è ritrovata con 50mila abbonati in meno rispetto alla soglia che gli avrebbe consentito il pareggio di bilancio.


Mentre Mediaset respinge al mittente qualsiasi accusa di aver favorito il fallimento della tv concorrente, il Pd e Fli attaccano. “Ancora una volta il conflitto di interessi che ruota attorno alla persona del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi coinvolgerà, come sempre con conseguenze negative, migliaia di italiani. Il caso della liquidazione di Dahlia tv, che era l’unica concorrente di Mediaset Premium è solo un ulteriore esempio del rischio che interessi personali prevalgano su quelli collettivi e, al contrario, della poca attenzione del Governo Berlusconi nei confronti di chi rischia di perdere il posto di lavoro”, afferma Giuseppe Berretta del Pd. Per Fli il danno arrecato a Dahlia è un danno arrecato all’immagine dell’Italia all’estero: “È passato il messaggio che investire in Italia vuol dire infilarsi in un ginepraio di interessi non chiari. Ormai questo sistema mediatico è uno strumento nelle mani del premier, usato contro gli avversari”, spiega Benedetto Dalla Vedova, scudiero di Gianfranco Fini.
Ora la Lega Calcio deve decidere a chi assegnare le partite che Dahlia non trasmetterà più e come tutelare i 270mila abbonati. Tramontata l’ipotesi di una tv della Lega, lo sguardo è rivolto a Mediaset. “Questa è una vicenda che per ora non ci vede protagonisti”, spiega Gina Nieri, consigliere di amministrazione di Mediaset. Come a dire: “Per il momento non siamo interessati, magari più avanti…”. In ogni modo il rischio concreto che Mediaset possa conquistare il 100% del mercato del calcio in tv sul digitale terrestre è piuttosto concreto. E lo potrebbe fare acquistando i diritti a prezzi irrisori.

Un nuovo pericolo per Mediaset potrebbe arrivare nei prossimi mesi con l’ingresso di Sky nel digitale terrestre, anche se il governo sta tentando in ogni modo di ostacolare la tv di Murdoch. “La Ue e l’Autority per le telecomunicazioni hanno autorizzato Sky ad entrare nel digitale”, spiega Dalla Vedova, intervistato da Vanity Fair. “Il governo dovrebbe fare una gara per le frequenze ma continua a rinviarla con scuse assurde”.

(fonte: DirittodiCritica)