Viva la rissa, ma non sull’età
di Stefano cappellini
Renzi&co. Volete cacciare i vecchi leader, ci sta. Vi siete stufati di chiedere il permesso per accomodarvi al tavolo, va bene. Ma chi siete? Cosa pensate delle questioni fondamentali? Non bastano la data di nascita e la mistica del futuro per definire una identità.
Bersani è vecchio. Veltroni è vecchio e brutto. D’Alema è vecchio, brutto e cattivo. Abbiamo capito bene cosa pensano dei leader storici del centrosinistra i cosiddetti “rottamatori” guidati da Matteo Renzi. Ora c’è da sperare che il loro convegno fiorentino, iniziato ieri sera, serva a capire cosa pensano di tutto il resto e cosa li unisce, a parte la data di nascita sulla carta di identità.
L’iniziativa di Renzi&co. non è effimera. Qui non siamo davanti a un caso Serracchiani di gruppo, cioè a un pugno di giovani destinati a essere cooptati nel gruppo dirigente in cambio di qualche incarico e tante promesse di luminoso avvenire. Spira una certa suggestione dalla battaglia a viso aperto intrapresa contro un gruppo dirigente uguale a se stesso da troppo tempo e che, peraltro, è il primo a essere consapevole che la baracca non tiene più.
Si propaga una scossa di vitalità dalla volontà ostinata di cercare il conflitto - che è parte essenziale del fare politica - anziché affogarlo nelle ipocrite coreografie di gruppo con cui i soliti maggiorenti mascherano periodicamente divisioni ormai quasi integralmente frutto di divisioni e rancori personali. Qualche mese fa Nicola Zingaretti, che pure non è in sintonia con Renzi, notò acutamente che il Pd aveva poco da ringalluzzirsi per la plateale rissa Berlusconi-Fini in piena direzione del Pdl, quella scolpita nell’immaginario dell’opinione pubblica dal dito alzato di Fini e dalla sua risposta a Berlusconi: «Che fai, mi cacci?». Certo, quella litigata era foriera di guai per il governo. Ma era anche una contrapposizione chiara, comprensibile a tutti, così vicina ai format popolari dell’intrattenimento televisivo. Chiedete in giro cosa divide il premier e il presidente della Camera. Anche l’elettore più distratto saprà abbozzare almeno una risposta. Chiedete cosa divide Bersani da Veltroni, o Franceschini da Fioroni. Balbetterebbero risposte imbarazzate i diretti interessati, figuriamoci gli altri.
Forse è salutare che giunga anche per la sinistra il tempo della rissa aperta, dopo troppe primarie addomesticate, dopo troppi accordi dietro le quinte, dopo tre lustri di consociativismi tra cordate di potere. Ma la rissa ha bisogno di un oggetto del contendere serio e ben definito. E non può essere solo la rivendicazione anagrafica.
Qui sembra già essersi cristallizzato il limite principale dell’azione dei “rottamatori”. Renzi si compiace del successo mediatico dell’etichetta. Ma dovrebbe anche riflettere sulla gabbia che rappresenta. Indica un obiettivo tutto interno al campo di centrosinistra. Una battaglia che non ha altro da comunicare al paese se non una resa dei conti interna a una coalizione. Volete cacciare i vecchi leader, va bene. Vi siete stufati di chiedere il permesso per accomodarvi al tavolo, ci sta. Ma chi siete? Cosa pensate delle questioni fondamentali? Non bastano i demagogici richiami al futuro («Prossima fermata Italia», è il nome ufficiale del convegno di Firenze), futuro di cui peraltro si riempiono la bocca tutti, anche il cinquantenne Fini e il sessantenne Montezemolo, né i facili elenchetti di parole d’ordine viete e vuote - merito, ricambio, coraggio, chi non si direbbe d’accordo su queste banalità genericamente declinate? - per darsi una identità. State con Marchionne o con gli operai Fiom? Siete liberisti o dirigisti? Siete per i diritti alle coppie di fatto o no? Volete darvi una collocazione geo-politica o pensate che basti la coperta del nuovismo a cavarvi d’impaccio?
Dire che Bersani è vecchio non basta per candidarsi alla guida del paese e vincere, come ambiziosamente si propone di fare Renzi. Né può illudersi, il capo dei rottamatori, che gli basti governare bene Firenze per guadagnarsi i galloni di nuovo leader del centrosinistra, come suggerisce la sua intervista di ieri al Corriere della sera. È condizione necessaria ma non sufficiente. Di sindaci che ritenevano di aver fatto mirabilie sotto il proprio campanile e che hanno raccolto solo disastri fuori dai confini comunali si è già avuta qualche esperienza di recente.
(fonte: Il Riformista)
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