DEBITO PUBBLICO

RAPPORTO DEBITO/PIL

mercoledì 25 maggio 2011

Giornalisti schiena dritta: Elisa Anzaldo


La giornalista ha chiesto di essere sollevata dalla conduzione dell'edizione della notte. "Non intendo mettere la mia faccia in un giornale che fa campagna politica"

ROMA – Il nuovo caso nel Tg1 scoppia in serata. Manca poco all´ora di cena quando sulla bacheca del tiggì condotto da Augusto Minzolini compare una lettera. È firmata da Elisa Anzaldo, storico volto della cronaca e attuale conduttrice dell´edizione della notte. Chiede al direttore di essere sollevata dalla conduzione perché non può più «mettere la faccia» in un giornale che nasconde le notizie in favore di una parte politica. Quella del premier Silvio Berlusconi. E giù con l´elenco delle news censurate per far piacere al Cavaliere. Non solo l´oscuramento del Rubygate, ma anche l´aver ignorato lo scandalo dei manifesti sui pm brigatisti, la proposta di un deputato del Pdl di cambiare l´articolo primo della Costituzione o il nuovo caos rifiuti a Napoli (trattato solo quando l´esecutivo ha mandato l´esercito). Tutte notizie scomode per il governo che – denuncia la giornalista – non sono state raccontate, o sono state raccontate solo in parte, al pubblico del telegiornale dell´ammiraglia Rai.

La richiesta della Anzaldo, noto mezzobusto dell´uno, era già arrivata a Minzolini lo scorso 19 aprile. Allora il direttore non aveva accontentato la conduttrice. L´aveva ricevuta e le aveva spiegato perché un lungo elenco di notizie delle quali aveva denunciato l´oscuramento lui non le considerasse tali, ovvero notizie. Ma dopo tre settimane, l´11 maggio, la conduttrice ha ripreso carta e penna e ha ribadito il concetto già espresso in precedenza: «Non posso più rappresentare un telegiornale che ogni giorno rischia di violare i più elementari doveri dell´informazione pubblica come equilibrio, correttezza, imparzialità e completezza dell´informazione». E ancora, «per motivi professionali e deontologici non ritengo più possibile mettere la faccia in un tg che fa una campagna di informazione contro». Ovvero contro una parte politica, l´opposizione, e a favore di un´altra, la maggioranza. Quindi ringrazia il direttore «per avermi spiegato il perché non consideri notizia quelle che io invece ritengo tali e come me molti mezzi di informazione». Clamoroso il caso-Lassini, che per giorni ha dominato le prime pagine dei quotidiani e lo spazio di molti altri tg. O la polemiche sulle spiagge in concessione per 90 anni, provvedimento sul quale il governo ha dovuto fare retromarcia. Tutti motivi per cui la Anzaldo chiede di non andare più in video a condurre, compito che per un telegiornalista equivale a firmare l´intero prodotto.

La Anzaldo ha deciso di rendere pubblica la richiesta di lasciare l´incarico dopo l´intervista monologo rilasciata al Tg1 venerdì scorso da Berlusconi e costata più 250mila euro di multa alla rete. Proprio dopo questo episodio sulla bacheca del telegiornale erano comparsi numerosi post-it di giornalisti scontenti per l´operato del direttore ma poi il Comitato di redazione si è spaccato: Attilio Romita non ha firmato la richiesta di concedere pari tempo a tutte le forze politiche e di garantire il pluralismo. Insomma il rispetto delle regole imposte dalla par condicio in campagna elettorale. Ad ogni modo oggi il Comitato di redazione oggi riceverà la Anzaldo e poi discuterà il suo caso con il “direttorissimo” Minzolini.

(fonte: Kataweb)

Maurizio Crozza. Copertina Ballarò del 24 maggio 2011

Senza parole...

giovedì 19 maggio 2011

Secondo tempo, l'ora delle rimonte impossibili


Da Alemanno su Rutelli a Guazzaloca nella "rossa" Bologna

FABIO MARTINI

ROMA
Quella notte, nella sua villa dell’Eur, Francesco Rutelli si addormentò con un filo d’ansia nel cuore. Era lunedì 13 aprile del 2008 e al primo turno il candidato sindaco del centrosinistra a Roma aveva ottenuto il 45,8% dei voti, contro il 40,7% di Gianni Alemanno, un vantaggio sostanzioso in vista del secondo turno. Ma Rutelli confidò la sua inquietudine: «Guai sedersi sugli allori, ripartiamo ventre a terra». Pubblicamente, per rassicurare i suoi elettori, l’ex sindaco ri-candidato disse: «Abbiamo 84.000 voti in più, una città di vantaggio o, se volete, lo stadio Olimpico, quando i posti non erano numerati...». Due settimane più tardi, lo stadio si svuotò e ad Alemanno riuscì un sorpasso da primato: eletto al secondo turno con 106.000 voti in più dello sfidante. Non è l’unica “rimonta impossibile” nella storia dei doppi turni, un francesismo in vigore in Italia dal 1993 nei Comuni e dal 1995 nelle Province. Certo, quasi sempre chi vince al primo turno, bissa il primato anche al secondo, ma quando si determinano condizioni particolari si possono produrre spettacolari sorpassi.

Difficile prevedere se anche Letizia Moratti possa replicare questi exploit, ma certo esistono precedenti con divari ancora più cospicui di quello che dovrebbe colmare il sindaco di Milano. Il 23 aprile del 1995 a Roma si vota per eleggere il nuovo presidente della Provincia e il candidato della destra, il rautiano Silvano Moffa (oggi uno dei capi dei Responsabili) incassa un corposo 48%, con un vantaggio di ben 11 punti sul rivale, il ds Giorgio Fregosi, fermo al 37,6%. Vittoria in tasca e invece, due settimane più tardi, il cinquantasettenne Fregosi (un cursus honorum da assessore provinciale, quasi sconosciuto al “grande pubblico”), riesce a sorpassare Moffa, uno dei più noti dirigenti missini romani, con uno scarto di 43.000 voti. Che era successo? Come tutti i miracoli umani, anche quello di Fregosi, aveva una spiegazione razionale: «Oltre alla convergenza di Rifondazione, lo scatto che portò alla clamorosa rimonta ricorda Roberto Morassut, oggi deputato pd, allora tra i leader del Pds romano - si determinò nelle stesse ore della prima sconfitta: quello stesso giorno, Piero Badaloni era stato eletto presidente della Regione e quella vittoria inattesa galvanizzò l’elettorato e trascinò il sorpasso di Fregosi. Paradossalmente uno stato d’animo di segno opposto, soltanto tre anni più tardi ribaltò tutto». Per una sorta di nemesi, nel 1998 fu un sentimento opposto - la depressione dell’elettorato progressista - ad aiutare la rivincita di Moffa. Al primo turno la pidiessina Pasqualina Napoletano era andata in testa col 48,6%, ma al secondo lo scombussolamento dell’elettorato per la caduta del governo Prodi, vittima della famosa “congiura”, tenne lontani molti elettori di sinistra e Moffa prevalse 50,9% contro il 49,1%. Ma tra tutte le rimonte, una portò ad un evento storico ed è quella firmata da Giorgio Guazzaloca a Bologna. Il 13 giugno, nella roccaforte rossa, per 50 anni la vetrina del comunismo democratico, al primo turno l’ex macellaio arrivò secondo, con un sorprendente 41,5% ma pur sempre con cinque punti in meno di Silvia Bartolini, la “rossa”, che sembrava destinata a diventare l’ennesimo sindaco di sinistra in una città che in tutto il dopoguerra, da Dozza in poi, aveva avuto soltanto leadership comuniste. Personaggio di forte personalità, capace di gesti coraggiosi (senza farlo sapere in giro, Guazzaloca fece nascondere in uno scantinato i manifesti di sostegno fatti stampare da Berlusconi), al secondo turno l’ex macellaio guadagnò nove punti percentuali e vinse col 50,7%.

Sono diventati proverbiali invece i due sorpassi a Torino di Valentino Castellani, il professore del Politecnico che nel 1993 affrontò in un singolare ballottaggio, tutto di sinistra, un personaggio carismatico della sinistra torinese, Diego Novelli. E se in quel duello a Castellani giovò essere il più moderato, quattro anni più tardi, il sorpasso su Raffaele Costa gli valse il soprannome dell’Avvocato Agnelli: «Il cavallo che rimonta». E quanto al più recente dei sorpassi, quello di Alemanno su Rutelli - oltre agli handicap legati al ritorno in campo di un ex sindaco che nel frattempo aveva cambiato identità politica - anche in quella occasione fu un evento emotivo a rimescolare le carte del primo turno: la violenta aggressione di una studentessa africana, uno stupro che seguiva quello di alcuni mesi prima (e finito con la morte della vittima) ai danni di Giovanna Reggiani. Un clima che aiutò il rush finale del candidato della destra romana.

(fonte: La Stampa)

NON ESISTONO RIMONTE IMPOSSIBILI


Non esistono rimonte impossibili di GIAN ANTONIO STELLA 

Prudenza: ricordate Yatabaré...», «p dovrebbe essere il monito di Giuliano Pisapia ai suoi elettori. «Forza! Ricordate Yatabaré!», dovrebbe essere l`incitamento di Letizia Moratti ai suoi.
Perché quel nome, da solo, dovrebbe ricordare che una partita, fino all`ultimo istante, non è mai vinta e non è mai, persa. 
Era il gennaio dell`anno scorso e a ii minuti dalla fine l`Angola stava stracciando il Mali nella partita inaugurale della coppa d`Africa 4-0. Poi, convinti d`avere la partita in cassaforte, gli angolani cominciarono a far festa. E la festa gliela fecero gli avversari: quattro gol in un quarto d`ora, recupero compreso.
Col cesello finale, appunto, di Sambou Yatabaré. La storia dello sport è piena di vittorie buttate via per eccesso di sicurezza, baldanza, euforia.
Basti pensare a quanto accadde il 18 luglio 1930 a Parigi, alla finale Interzone di Davis, tra Stati Uniti e Italia. Giorgio De Stefani liquidò liscio liscio l`americano Wilmer Allison nei primi due set e pensò che fosse fatta. Un rilassamento fatale.
Arrivò a sprecare, uno dopo l`altro fino a farsi prendere dall`angoscia, 17 match-points: diciassette! Non è mai finita, se davanti hai qualcuno che non vuole perdere. Lo scoprirono i cestisti della nazionale jugoslava che persero ai mondiali di Madrid nel 1986 dopo essersi trovati avanti di 9 punti sullo squadrone sovietico a 45 secondi dalla fine. Lo accertò il francese Jacques Marinelli che al Tour de France del `49 si ritrovò a Saint-Malo con 36 minuti e 55 secondi di vantaggio su Fausto Coppi in crisi nera e alla fine lo vide trionfare, dopo una impressionante rimonta nelle tappe di montagna, con quasi 11 minuti su Gino Bartali. Il quale, l`anno prima, aveva compiuto la stessa impresa: staccato di 21 minuti e mezzo da Louison Bobet a 9 tappe dalla fine, Ginettaccio aveva ribaltato la classifica demolendo il rivale con tre attacchi micidiali che lo avevano portato a trionfare sugli Champs Elisées mandando in delirio l`Italia sconvolta dall`attentato a Palmiro Togliatti.
Ma soprattutto lo sanno i tifosi di calcio italiani. Che hanno visto scudetti già vinti buttati via dall`Inter in quel famoso 5 maggio della batosta all`Olimpico con la Lazio.
Dalla Juventus, impantanatasi nell`ultima partita sotto un diluvio a Perugia dopo avere sprecato nove punti di vantaggio (e allora le vittorie di punti ne valevano due e non tre) a otto giornate dalla fine. Dal Milan, scavalcato all`ultimo istante dalla Juventus (indimenticabile Sandro Ciotti dalle radioline: «Cuccureddu! Cuccureddu! Ed è.goal!!») nella «fatal Verona».
E come dimenticare la finale di Champions League buttata dal Milan contro il Liverpool, seppellito sotto tre gol nel primo tempo ma capace di risvegliarsi nella ripresa approfittando proprio del senso di appagamento da pratica archiviata dei rossoneri? Mai vinta, mai persa. Vale anche in politica. Fino all`ultimo voto. Vogliamo rileggere quello che disse Francesco Rutelli dopo avere conquistato la posizione di testa per il ballottaggio alle comunali di Roma nel 2008? Letti i risultati definitivi, che davano lui al45,8%o con 5 punti abbondanti e quasi centomila voti di vantaggio su Gianni Alemanno, già pregustava la possibilità di regalare al Partito democratico e alla sinistra, travolti dall`onda pidiellina e leghista alle politiche, una rivincita:
«Andiamo a queste elezioni con un vantaggio importante, determinante.
E io ho fiducia che questo ci permetta di vincere le elezioni».
Quindici giorni più tardi, doccia gelata.
Il vantaggio non era «determinante» proprio per niente. Rutelli andò avanti di mezzo punto salendo al 46,3 e Alemanno rovesciò i risultati del «primo tempo» andando avanti di 13 e vincendo col 53,7.
Il giorno dopo l`Unità titolava: «Roma alla destra, una grave sconfitta.
Alemanno batte nettamente Rutelli, festa in Campidoglio a base di saluti e slogan fascisti». Dieci anni prima, a Roma, era successa la stessa cosa. Questa volta alle provinciali:
Pasqualina Napoletano aveva contro Silvano Moffa, allora fedelissimo di Gianfranco Fini, al cui fianco sarebbe poi rimasto fino allo strappo sulla sfiducia a Berlusconi del 14 dicembre scorso. Vantaggio netto della candidata ulivista al primo turno,-rovesciamento al secondo.
Sono tanti i precedenti di declini dovuti a un eccesso di euforia indotta da sondaggi esagerati e travolti da spettacolari rimonte. Si pensi alle politiche del 20o6 quando, reduce da cinque anni di governo, di polemiche intestine alla Casa delle Libertà e da sconfitte a catena, il Cavaliere pareva spacciato. Al punto che chi suggerì all`Unione di presentare anche delle liste civiche per rafforzare la coalizione in senso moderato, come l`allora governatore del Friuli Venezia Giulia Riccardo Illy, venne trattato dai proconsoli della sinistra, certi di avere già la vittoria in tasca, con toni di sufficienza:
«E che ce ne facciamo?». Come finì, si sa Con una travolgente rimonta berlusconiana conclusa con una notte di interminabili dirette televisive e conteggi sezione per sezione: «Pare in vantaggio la sinistra...
Pare in vantaggio la de-stra...».
Fino al sostanziale pareggio al Senato e alla conseguente apertura, per l`obeso governo Prodi, di due anni di caos e polemiche paralizzanti.
Morale? Mai cantar vittoria troppo presto: l`euforia può fare danni devastanti. E mai dare per persa una battaglia: i conti, dice la cronaca, si fanno solo alla fine. Non solo in Italia. Valgano per tutti due casi un po` più grossi delle nostre faccende ambrosiane. Il primo è quello di Winston Churchill. Vinta la guerra contro Hitler e il nazismo, pareva il padrone assoluto della politica inglese tanto che nessuno avrebbe scommesso un penny sul suo avversario, Clement Attlee: vinse Attlee. Il secondo, leggendario, è quello di Thomas E. Dewey. Come scrive nel libro «I signori della Casa Bianca» Mauro della Porta Raffo, «i sondaggi lo indicavano come il netto favorito, ma Harry Truman per nulla intenzionato a lasciare White House - non si arrese e gli contese ogni singolo voto fino all`ultimo.
La notte dello scrutinio fu una delle più drammatiche della storia politica americana. Tutti (democratici compresi) si aspettavano una vera e propria valanga di suffragi a favore di Dewey e i primi risultati sembrarono largamente confermare le previsioni tanto che i giornali di New York, ignari degli esiti del voto negli Stati dell`Ovest e dovendo comunque «chiudere», nelle prime edizioni del giorno successivo uscirono con il titolo a nove colonne «Dewey batte Truman». A mezzanotte Dewey era il presidente, due ore dopo uno sconfitto.
La lezione di Alemanno (e Bartali):
non esistono rimonte impossibili In politica, come nello sport, prevale chi sa (orrore fino all`ultimo L'elezione scorsa e Francesco Rutelli (sopra), candidato sindaco di centrosinistra a Roma, vince il primo turno con il 45,8% e circa 100 mila voti più di Gianni Alemanno (a fianco), che poi rimonta e lo batte 0:
x i- 2 Louison Bobet (sopra), a 9 tappe dalla fine del Tour, ha oltre 21 minuti di vantaggio su Gino Bartali, che ribalta la classifica con tre attacchi e trionfa sugli Champs Elisées (a fianco) L a..., èper In ___ .. é a 3 Thomas E. Dewey (sopra, a destra), nel `48, è il favorito nella corsa alla Casa Bianca contro Harry Truman (a fianco), che cerca il secondo mandato, lotta fino all`ultimo voto e vince.

(fonte: Corriere della Sera e Rassegna Governo)

martedì 17 maggio 2011

Miope trionfalismo. Qualcuno gli dica che non abbiamo vinto e che stiamo tutti perdendo da troppi anni


I democratici sono un po’ miopi. Non guardano molto lontano. Ieri hanno cantato vittoria non pensando o non volendo pensare che: punto primo, le amministrative sono sempre un terreno politico molto ostico per chi governa, perché sono le cosiddette elezioni di medio termine; punto secondo, liste di Grillo e completo scollamento del centro sinistra nelle coalizioni di centro sinistra, hanno determinato non tanto la tanto sbandierata (ma di fatto non vera) sconfitta di Berlusconi, bensì la sconfitta della strategia politica dell’opposizione stessa.
In ogni altro contesto di un altro paese, le opposizioni avrebbero potuto vincere, senza ballottaggio, a mani basse, forti della relativa fragilità del governo centrale di fronte alle lezioni di medio termine, che sono smepre (o quasi) la spada di Damocle sul collo di chi siede nei posti di comando.
Ma non è così in Italia, perché le opposizioni non hanno saputo creare la sintesi di troppe anime politiche che la compongono. “I dati significano inequivocabilmente una cosa: vinciamo noi e perdono loro”, ha detto ieri, a spoglio iniziato, il segretario del Pd Pierluigi Bersani, aggiungendo: “Il centrosinistra può aprire una nuova fase nei prossimi anni, c’è un segnale di inversione di tendenza”.
Parole un po’ forti, soprattutto se unite alle seguenti dichiarazioni dello stesso Bersani: “A Milano possiamo vincere”. E poi si è rivolto ai grillini con toni un po’ troppo da ’preside di scuola’: “Al movimento di Grillo voglio rivolgere un messaggio: non si può stare sempre nell’infanzia e se si diventa un soggetto politico bisogna tirare le somme e decidere.
Ci rivolgiamo ai grillini”, ha sottolineato il numero uno dei democratici, “per dire che noi possiamo migliorare ma non siamo uguali agli altri e a questo movimento ci rivolgiamo in modo amichevole ma rigoroso”. Per quanto riguarda Napoli, l’altra sfida importante di questa tornata elettorale, Bersani ha detto che: “Si può vincere”.
Viene spontaneo di ricordare una cosa non poco importante a Bersani. In primis riguardo a Milano, il candidato d’apparato del Pd, Stefano Boeri, non fu scelto alle primarie, a vantaggio dell’attuale competitor Pisapia, proveniente dalla società civile e non dalle stanze di Via Sant’Andrea delle Fratte.
A Napoli Luigi de Magistris ha tolto parecchi voti al partito democratico, determinando una non facile azione di aggregazione fra le forse di opposizione contro il candidato del Pdl Gianni Lettieri. E poi Torino, dove Piero Fassino ha vinto al primo turno. Bel risultato, nulla da dire, anche grazie al terreno preparato dal sindaco uscente Chiamparino, che ha saputo, soprattutto, creare il giusto clima di coesione sociale nel momento di enorme difficoltà della Fiat.
Ma, per quanto riguarda il rapporto con Bersani, il risultato di Fassino è un altro macigno che cade sulle divisioni già esistenti nei caminetti del Pd.

(fonte: Opinione)

lunedì 16 maggio 2011

“L’Amaca”, di Michele Serra del 15 maggio 2011


Michele Serra da La Repubblica del 15 maggio 2011

“Se i figli delle vittime difendono i carnefici: Tobagi Alessandrini e Rossa stanno con Pisapia amico dei terroristi che uccisero i loro genitori”. Vi prego di annotarvi questo titolo (prima pagina del “Giornale” di ieri) che è riuscito, dopo una vita che leggo i giornali, a farmi venire le lacrime agli occhi dal dolore. Avrei preferito scrivere: dall´ira, o dal disgusto. Ma era proprio dolore, dolore per la morte profanata, per gli affetti sconciati, per la verità brutalizzata, per quei tre padri e quei tre figli. Tre padri di sinistra (il socialista Tobagi, il comunista Rossa, il magistrato progressista Alessandrini) ammazzati dal terrorismo rosso che odiava la sinistra democratica quasi quanto la odiano, oggi, quelli del “Giornale”. Tre figli rimasti di sinistra anche in memoria di quella lotta per difendere lo Stato e la democrazia, anche per onorare i loro padri. Che oggi si sentono rinfacciare di “difendere i carnefici dei loro genitori” – non so se riuscite a cogliere la leggerezza dell´accusa, ad apprezzare lo stile raffinato – perché votano a sinistra e non a destra, come farà mezza Milano, mezza Milano dunque “amica dei terroristi”. Perché comunisti, sinistra, terroristi, brigatisti, per questi avvelenatori della memoria, della storia, della politica, del giornalismo, sono la stessa cosa, lo stesso infame branco da spazzare via, come ripete del resto da vent´anni il loro capo.
Mi chiedo quanto irrisarcibile, incolmabile odio possa partorire un titolo così.

mercoledì 11 maggio 2011

Questi qua...Il 12 e 13 giugno difendete la vostra libertà

Questi qua......



  • Questi qua il 13 aprile hanno votato l'impunità per il loro capo facendoci credere di averlo fatto per il bene di noi cittadini.
  • Noi ci becchiamo un'ipoteca sulla casa per una multa non pagata.
  • Questi qua hanno la pensione garantita di 3.100 euro al mese lavorando 5 anni.
  • Noi lavoreremo fino ai 65 anni per avere una pensione forse pari a metà dello stipendio.
  • Questi qua beneficiano gratis di aereo, treno, autostrada, cinema, ristoranti, ecc.
  • Noi paghiamo anche la carta igienica dei figli a scuola.
  • Questi qua hanno la casa in affitto in centro a Roma a 500 € al mese.
  • Noi abbiamo un mutuo fino alla terza età.
  • Questi qua vorrebbero che non andassimo a votare il referendum, il 12 e 13 giugno, perchè tutti i provvedimenti in gioco riguardano l'impunità e gli interessi economici loro e di loro amici

Fate come volete, cittadini, siete liberi (ancora), e vi voglio bene anche per questo...

(fonte: prospettico)

lunedì 9 maggio 2011

Il bavaglio Rai al referendum. Democrazia in caduta libera!


Date: 20 aprile 2011 11:23

Ciao a tutti,

confermo la necessità di questo passaparola, aggiungendo che si tratta di informazione per ri-affermare i diritti costituzionalmente garantiti . Il dramma è che sembra la maggior parte della popolazione non sia consapevole di quanto sta avvenendo.

Quello che Vi porto è solo un piccolo esempio. Sono una ricercatrice, mi occupo di diritto ambientale e di risorse idriche. Ieri mattina dovevo intervenire ad un programma RADIO RAI (programmato ormai da due settimane) per parlare del referendum sulla privatizzazione dell'acqua e chiarirne meglio le implicazioni giuridiche.

'E arrivata una circolare interna RAI alle 8 di ieri mattina che ha vietato con effetti immediati a qualunque programma della RAI di toccare l'argomento fino a giugno (12-13 giugno quando si terrà il referendum), quindi il programma è saltato e il mio intervento pure.

Questo è un piccolo esempio delle modalità con cui "il servizio pubblico" viene messo a tacere e di come si boicotti pesantemente la possibilità dei cittadini di essere informati e di intervenire (secondo gli strumenti garantiti dalla Costituzione) nella gestione della res publica. Di fronte a questa ennesima manifestazione di un potere esecutivo assoluto che calpesta non solo quotidianamente le altre istituzioni, ma anche il popolo italiano di cui invece si fregia di esser voce ed espressione, occorre riappropriarci della nostra voce prima di perderla definitivamente.

Il referendum è evidentemente anche questo!

Mariachiara Alberton



RICORDATEVI CHE DOVETE PUBBLICIZZARLO VOI IL REFERENDUM... perchè il Governo non farà passare gli spot ne' in Rai ne' a Mediaset.
Sapete perché ? Perché nel caso in cui riuscissimo a raggiungere il quorum lo scenario sarebbe drammatico per i governanti ma stupendo per tutti i cittadini italiani:
Vi ricordo che il referendum passa se viene raggiunto il quorum. E' necessario che vadano a votare almeno 25 milioni di persone

Il referendum non sarà pubblicizzato in TV e Radio.

I cittadini, non sapranno nemmeno che ci sarà un referendum da votare il 12 giugno. QUINDI : I cittadini, non andranno a votare il referendum.

Vuoi che le cose non vadano a finire cosi? Copia-incolla e pubblicizza il referendum a parenti, amici, conoscenti e non conoscenti.

Passaparola!

sabato 7 maggio 2011

Berlusconi con la bava alla bocca: "Napolitano? E' un comunista! Dopo il voto vedremo chi comanda"


Una volta, tanti anni fa, per chiudere la bocca a chi non la pensava come te, si usava il marchio infamante: “Sta’ zitto, sei un fascista”. Oggi, si fa la stessa cosa, ma il fascista è stato sostituito con il comunista.

“E’ un comunista”, è l’accusa fatta ieri in privato da … Silvio Berlusconi nei confronti di Giorgio Napolitano. Il capo dello Stato, di fatto, aveva respinto l’infornata dei nuovi sottosegretari, non tanto perché frutto di un ignobile mercato delle vacche, ma perché così si palesava una maggioranza diversa da quella espressa dal voto del 2008.

Da lì, l’invito a “una verifica parlamentare” del Governo. Da lì, poi, la rabbiosa reazione del Premier: “Si attacca a tutto pur di mettersi di traverso alla vigilia delle amministrative. È un comunista, so bene da che parte sta. Altro che stabilità, vuole destabilizzare il governo”.

Ecco perché l’ordine di rispondere a muso duro, a costo di mettere in conto una crisi istituzionale. La frase finale di Berlusconi ai suoi: “Adesso vinciamo le elezioni, poi vediamo chi comanda” appare come una vera e propria prova di forza, se non proprio come una minaccia destabilizzante.

Le opposizioni fanno quadrato, a difesa del capo dello Stato. L’impressione è che, ancora una volta, Bersani, Casini, Fini e compagnia cantante, abbiano sempre bisogno di un “aiutino” per farsi forza e tentare la spallata contro il Governo. “Fusse che fusse la vorta bbona”, diceva il grande Nino Manfredi.

(fonte: polisblog)

spettacolo indecoroso,basta politici in tv,Delirio del BerluscaScilipoti a ''Mi Manda Rai Tre''. Ecco chi c'è al Governo!


Delirio del Berlusconiano Scilipoti a ''Mi Manda Rai Tre''. Ecco chi c'è al Governo! spettacolo indecoroso.

Solo alcuni dei commenti sul popolare parlamentare...

QUESTO PARLAMENTARE ARROGANTE SACCENTE E CORROTTO HA LA SCORTA PAGATA DA NOI, MAGISTRATI CHE RISCHIANO LA VITA NO....NON AGGIUNGO ALTRO!
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non sono riuscito a vederlo fino all'ultimo..troppo irritante!
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Una mezza calzetta,anzi no un mezzo pedalino bucato, ma Di Pietro dove l'aveva pescato? E soprattutto come si è laureato?
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E' vergognoso che una persona del genere ci rappresenti nel nostro Parlamento e ancora più vergognoso che siamo noi, con le nostre tasse a passargli lo stipendio
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ABBI?????????????????
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che bello che è....
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Tipico parlamentare italiano
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l'italia è in mano a questo demente, rendetevene conto !!
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Non c'è speranza con questa gente. Questo ora gli danno un sottosegretariato, e fra un paio d'anni il ministero della salute. L'Italia è finita.
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che gentaccia...
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grandissimo questo imitatore... è un imitatore vero? ditemi che è un imitatore.... ç_ç
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Senza parole.....è un pazzo da rinchiudere.
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Ma perche' le merde sono tutte nel nostro cazzo di paese?
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ora è veramente comico fare arrivare l'agopuntura negli ospedali italiani. si avrà i suoi effetti placebo, ma l'agopuntura non dovrebbe avere finanziamenti pubblici, al pari della vera medicina. E' come dire a un paziente con il mal di testa che è stressato, tieni questa potente medicina che ti fa passare il mal di testa.Alla fine è una pastiglia di zucchero,e può darsi che il mal di testa passi,perchè il cervello si convince che non c'è più dolore
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Scilipoti a Cettolaqualunque gli fa un baffo!
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non faceva una bella figura scilipoti a fare parlare le persone in studio,lui ha fatto una proposta di legge per la regolamentazione dell'agopuntura, il che vuol dire apertura di corsi di facoltà e ambulatori per agopuntura. Quindi si destinano soldi pubblici per una medicina che non è medicina, nel mentre che per la sanità tagliano i servizi essenziale ed è un dato di fatto.
...

(fonte: myblog e youtube)

giovedì 5 maggio 2011

Statisti

glistatisti

Qui oggi si saluta con gioia l’ingresso nella compagine di governo di diverse figure di alto profilo istituzionale.

Prendete Aurelio Misiti, il nuovo sottosegretario alle infrastrutture, a sinistra nella foto sopra: prima è stato sindaco del Pci nella sua Calabria, facendo carriera nella Cgil fino a diventarne dirigente nazionale. Di qui ha puntato verso i giochi grossi della politica arrivando a una bella poltrona di sottogoverno con Lamberto Dini (alle opere pubbliche), poi è stato assessore regionale in Calabria con il centrodestra, quindi è passato all’Idv ed è riuscito a farsi eleggere parlamentare con Di Pietro, però presto l’ha mollato ed è passato con il Movimento per le Autonomie di Lombardo, poi ha mollato pure Lombardo ed è passato alla famosa terza gamba del governo, adesso sta direttamente nel governo, e vai, il sogno di una vita.

Se preferite, invece, potete pensare al nuovo sottosegretario all’economia, Bruno Cesario, quello in mezzo nella foto sopra: faceva l’avvocato a San Giorgio al Cremano ma gli piaceva la politica quindi ha iniziato nella Dc napoletana, poi è passato nella Margherita con Ciriaco De Mita e nel 2006 è stato eletto nell’Ulivo, riconfermato a Montecitorio con il Pd nel 2008, nel novembre del 2009 però è passato all’Api di Rutelli e nel dicembre 2010 è entrato nella maggioranza, di quelli che hanno salvato il premier il 14 dicembre, oggi è passato alla cassa.

Se ancora non vi siete saziati, ecco chi si occuperà di ambiente, perbacco, sempre da sottosegretario: si chiama Giampiero Catone (ultimo a destra), è un commercialista napoletano, già consulente finanziario di diversi enti pubblici, poi entrato nei Ccd di Buttiglione, divenuto commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno e Cavaliere del Santo Sepolcro, candidato per l’Udc alle europee del 2004, poi passato alla Dc di Rotondi e nel 2006 eletto nelle liste di Forza Italia; rieletto nel 2008 nel Pdl, è passato con Futuro e Libertà ma solo qualche settimana, poi via nei Responsabili di Scilipoti.

Ah, non so se vi siete accorti ma due su tre dei citati li abbiamo eletti noi, dico noi del centrosinistra. Senza dire di Villari e Calearo, il primo da oggi con una poltrona alla Cultura e il secondo nominato “consigliere personale del presidente del Consiglio” per il commercio estero.

Buona giornata.

Il disastro ambientale del Cavaliere


di Giovanna Ricoveri.

Meno nota e non sempre sotto i riflettori, la (non) politica ambientale dei vari governi Berlusconi ha provocato effetti disastrosi da molti punti di vista: la salute, la fertilità dei suoli, la sicurezza alimentare, il riscaldamento climatico, le frane e le alluvioni. Oltre a distruggere il nostro ecosistema, ha un costo economico e sociale enorme che ricade soprattutto sui soggetti più deboli.


Il problema

Il filo rosso che attraversa e orienta la politica ambientale dei governi Berlusconi dal 1994 ad oggi è efficacemente espresso dallo slogan «Padroni a casa propria», con cui Forza Italia vinse le elezioni politiche del 1994. Questo slogan, usato ripetutamente a sostegno delle scelte liberiste della politica ambientale, ne esprime bene anche le ambiguità: dichiara di voler sostenere la libertà individuale di tutti i cittadini, mentre nella sostanza serve a costruire e foraggiare l’alleanza con le forze della rendita, della speculazione, degli affari e spesso della malavita organizzata. L’ambientalismo berlusconiano si fonda sull’ideologia del «mercato senza regole», della privatizzazione di tutto quello che è «comune» o statale, dell’equiparazione tra il pubblico e il privato, della cancellazione dello Stato ridotto a impresa.

Tra il berlusconismo e l’ambiente esiste una contrapposizione insanabile e a priori: il primo si basa sul privato e sull’arricchimento individuale, sull’appropriazione individuale delle risorse naturali, sociali e culturali, sul governo della cosa pubblica da parte di un comitato d’affari; il secondo, sul pubblico e sulle regole, sui beni comuni, sul rispetto della natura e dei suoi cicli vitali, sulla giustizia ambientale oltre che su quella sociale, sulla democrazia intesa come partecipazione dei cittadini alle scelte che regolano la loro vita.

Negli anni Ottanta, e in particolare con la caduta del Muro di Berlino, l’ideologia del libero mercato ha fatto breccia anche nelle forze politiche di sinistra – in tutta la gamma delle sue articolazioni – e questo ha aperto un varco importante per il diffondersi in Italia di una destra populista, che si autodefinisce «liberale». Il rispetto delle regole e il controllo sulla loro applicazione non fanno parte del resto della tradizione italiana, come avviene in altri paesi europei; la cultura ecologista è nata in Italia molto più tardi che nel resto d’Europa e «il mattone» è un male antico, che trovava giustificazione in passato quando il paese era povero e la casa di proprietà era un fattore di sicurezza, e ne trova una anche oggi perché il costo delle abitazioni e il livello degli affitti è proibitivo per la stragrande maggioranza della popolazione rispetto al livello dei salari, molto di più di quanto non avvenga negli altri paesi europei. L’edilizia continua inoltre a essere considerata il motore o volano dello sviluppo da parte delle forze produttive – imprenditoriali e del lavoro – senza alcun serio ripensamento sui limiti intrinseci e sulla pochezza di un tale modello di sviluppo.

Nel secondo dopoguerra, anche in Italia c’è stata una stagione positiva di pianificazione territoriale e una «primavera» ambientale, che hanno prodotto strumenti e leggi di regolazione, ora nel mirino della destra al potere. Il berlusconismo, coadiuvato dalla Lega, ha cavalcato la situazione dando dignità di progetto politico a un disegno reazionario, senza trovare un’opposizione convinta da parte delle forze politiche di sinistra. Nella politica ambientale di questo governo c’è molta arroganza ma anche ignoranza sul ruolo insostituibile delle regole nella convivenza umana e dei servizi ecosistemici che la natura offre gratuitamente a tutti noi.

Gli effetti sono disastrosi da molti punti di vista: la salute, la fertilità dei suoli, la sicurezza alimentare, il riscaldamento climatico, le frane e le alluvioni, e hanno anche un notevole costo economico che pesa sulle casse dello Stato e che potrebbe essere evitato con politiche di prevenzione. Questa politica ambientale è inoltre iniqua e ingiusta, perché il suo costo ricade soprattutto sui soggetti più deboli – bambini, anziani e meno abbienti – e appare tanto più grave in un paese come l’Italia geologicamente giovane, fragile e instabile dal punto di vista idrogeologico sia nella pianura padana che lungo l’Appennino.

Uno sguardo d’insieme

La politica ambientale dei governi Berlusconi – che resta tale anche quando è una non politica, perché l’assenza di norme è in questo caso funzionale al progetto – ha spaziato fin dall’inizio in tutte le direzioni, usando tattiche diverse a seconda delle opportunità, sempre allo scopo di ottenere il consenso del popolo, che di quelle scelte e non scelte è comunque chiamato a pagare il prezzo maggiore.

Ha tagliato fin dagli inizi il bilancio del ministero dell’Ambiente fino al 60 per cento di quest’anno e ne ha ridimensionato il ruolo modificandone la legge istitutiva; non ha finanziato nessuno dei piani di riforestazione, la cui realizzazione spetta alle regioni; nel gennaio 2010 ha concesso a quest’ultime libertà di deroga sui calendari della caccia stabiliti dalla legge 157 dell’11 febbraio 1992 per gli uccelli migratori e alcuni mammiferi come cervi, caprioli e cinghiali, con conseguenze negative sulla biodiversità; ha negato l’esistenza del cambiamento climatico in molte dichiarazioni ufficiali e paga all’Unione Europea 42 euro al secondo per violazione degli accordi climatici; usa il milleproroghe – il decreto del Consiglio dei ministri per «prorogare o risolvere disposizioni urgenti entro la fine dell’anno in corso» – per cancellare, reintegrare o istituire norme e finanziamenti come nel caso della detrazione fiscale del 55 per cento sulla spesa di riqualificazione energetica degli edifici già esistenti; o, peggio ancora, per smembrare il Parco dello Stelvio tra le province di Trento e Bolzano e la regione Lombardia e «ringraziare» in questo modo i deputati della Svp che si sono astenuti sulla mozione di sfiducia il 14 dicembre 2010; inserisce norme ambientali in coda a leggi che si occupano d’altro o gioca sulle parole per dire e non dire, come nel caso della legge sulla prima sanatoria edilizia del 1994 dove un articolo esclude dal condono le volumetrie superiori a 750 mc per edificio mentre un altro articolo precisa che l’esclusione non riguarda la volumetria dell’intero edificio ma la singola domanda di condono: basta dunque presentare due domande, per aggirare l’ostacolo. Last but not least, il federalismo demaniale approvato dal Consiglio dei ministri il 20 maggio 2010, che trasferisce agli enti locali i beni del demanio patrimoniale dello Stato, al fine della loro «valorizzazione ambientale»: ma che cosa ci può essere di ambientale nella messa sul mercato dei beni pubblici? L’idea è quella che i «gioielli di famiglia» possano restare pubblici anche se dati in gestione al privato, che ne trae un profitto con cui compensare il taglio dei trasferimenti da parte dello Stato. L’esperienza dell’acqua, in Italia e nel mondo, dimostra che la gestione privata di un bene comune serve solo a privatizzare quel bene e, con esso, lo Stato e il pubblico in generale.

Condoni edilizi e morte dell’urbanistica

Urbanistica e assetto idrogeologico del suolo sono i due terreni privilegiati della controriforma ambientale berlusconiana. Per sostenere l’edilizia, e quindi con il consenso trasversale di cittadini, costruttori, speculazione edilizia, lobby del cemento e sempre più spesso della mafia e della camorra, il governo Berlusconi ha realizzato due condoni edilizi (rispettivamente nel 1994 e nel 2003), mentre un terzo è nell’aria; ha abolito l’Ici (2008) sulla prima casa per tutti indipendentemente dalla tipologia dell’abitazione e dal livello di reddito del proprietario; ha approvato un piano di edilizia abitativa (2009) da realizzare con l’ampliamento delle abitazioni esistenti senza alcuna considerazione dei servizi pubblici che tale piano richiede e che graveranno sulla spesa pubblica. Il piano stenta a decollare per vincoli burocratici, affermano governo e Confindustria. Era già stato realizzato abusivamente, fa capire l’Istat quando informa che nei dieci anni precedenti 24 mila alloggi (e 87 mila stanze) in media ogni anno erano già stati ampliati, abusivamente e illegalmente.

Il primo condono, subito dopo l’ingresso di Berlusconi a Palazzo Chigi, era una promessa fatta in campagna elettorale, con lo slogan: «Padroni a casa propria». Il condono riguardava tutte le costruzioni abusive anche quelle realizzate nelle zone ecologicamente fragili e soggette a rischio frana, nelle aree a elevato livello di biodiversità e in quelle soggette a vincolo paesaggistico, e quindi con divieto di edificazione in base alla legge Galasso (n. 431 del 1985), perché vicine a fiumi o sulla riva dal mare; la disposizione mirava a consentire ai fiumi di avere lo spazio di espansione nei periodi di piena. Quel condono rispondeva del resto a una domanda popolare diffusa anche perché le costruzioni abusive non erano più opera della vecchia borghesia parassitaria e dei grossi speculatori sulle aree del secondo dopoguerra ma di gruppi medi di proprietari e di esponenti della nuova borghesia commerciale. La legge di condono 724 del 23 dicembre 1994 si intitolava «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica», evidenziando un altro punto fermo della politica berlusconiana, far credere ai cittadini che il nuovo governo alimenta le casse dello Stato con le entrate della sanatoria «senza mettere le mani nelle tasche degli italiani». Era una grandissima bugia, perché i costi di urbanizzazione a carico dello Stato sono stati, in questo caso, almeno 5 volte superiori alle entrate.

Il secondo condono (decreto legge 269 del 2003) è servito soprattutto a sanare il cambiamento della destinazione d’uso di magazzini e capannoni in piccole attività artigianali, palestre, supermercati e centri commerciali, discoteche e altre attività terziarie necessarie al modello di sviluppo del Nord-Est ora in crisi e alla trasformazione della pianura padana in un continuo urbano senza forma né identità. Anche in questo caso, la legge aveva un titolo ambiguo: «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici». L’esiguità delle somme stanziate per lo sviluppo – 50 milioni di euro per la riqualificazione urbanistica e 100 per la sicurezza idrogeologica – rivelarono subito l’imbroglio del titolo, che dice una cosa diversa da quella che si sta facendo.

L’abusivismo dell’era berlusconiana è un piaga storica, che la legislazione urbanistica del secondo dopoguerra non è riuscita a debellare perché l’abusivismo porta voti e perché lo Stato italiano non ha né la forza né l’autorità per far rispettare le sue leggi, specie in materia di edilizia; non per una predisposizione alla trasgressione del popolo italiano, come ha recentemente precisato Paolo Berdini (Breve storia dell’abuso edilizio in Italia, Donzelli 2010). Con i governi Berlusconi questa piaga non è più un costo da pagare ma un’opportunità da utilizzare: l’illegalità nelle costruzioni è pertanto diventata permanente. L’abusivismo edilizio tollerato, e anzi «atteso», esprime anche il tentativo di chiudere definitivamente la stagione delle leggi di regolazione urbanistica e territoriale, che avevano dato agli enti locali gli strumenti per il controllo della rendita fondiaria: l’esproprio a prezzi agricoli della aree da edificare e l’abbattimento degli edifici costruiti illegalmente. Il poker delle leggi importanti, per il periodo preso in esame, era costituito dalle seguenti leggi (tra altre): la 167 del 1962 per l’edilizia economica e popolare, la 765 del 1967 contro l’abusivismo nei centri storici, la 10 del 1978 sull’edificabilità dei suoli, la 457 del 1978 sull’edilizia residenziale.

I costi ambientali dei condoni edilizi sono molto elevati da molti punti di vista, primo tra tutti la devastazione del territorio che è in larga misura irreversibile, e quindi non quantificabile. Può essere in parte reversibile, ma a un costo elevato e nei tempi lunghi. I suoi effetti negativi dipendono da un consumo di suolo superiore a quello ecologicamente e socialmente sostenibile; dalla scomparsa di aree verdi e agricole essenziali per respirare e per un’agricoltura sana; dalla deturpazione del paesaggio; da un sistema di trasporti caotico che insegue gli insediamenti senza mai raggiungerli; dall’inquinamento idrico per la mancanza di fognature; dal degrado sociale e umano di chi è costretto a vivere lontano dai servizi e dalle scuole, senza negozi, parchi, librerie, teatri e spazi pubblici. Costi elevati si calcolano anche nell’industria edile – da quelli legati al ciclo del cemento scavato nell’alveo dei fiumi agli incidenti sul lavoro nei cantieri privi di controlli.

Già verso la fine degli anni Ottanta la pianificazione urbanistica e territoriale cedeva il passo all’urbanistica contrattata e alla privatizzazione dell’urbanistica, che consegnava le trasformazioni del territorio alla proprietà immobiliare, con il consenso e anche il concorso della sinistra entrata nell’ottica del mercato, in particolare di alcune amministrazioni come il comune di Roma delle giunte Rutelli e Veltroni. Al cuore delle politiche di privatizzazione delle nostre città c’è la proposta presentata dall’onorevole Maurizio Lupi di riforma della legge urbanistica del 1942, che da anni il governo di destra cerca di far passare in parlamento. L’obiettivo della proposta è liquidare i piani regolatori e «convincere» le amministrazioni pubbliche a scendere a patti con la proprietà fondiaria, i cui esponenti sono equiparati allo Stato.

(fonte: Micromega, Cometa)

martedì 3 maggio 2011

Chi vuole far soldi con l'acqua

acquadollari

di Maurizio Maggi e Stefano Vergine - L'Espresso

Una torta da 64 miliardi. Da spartire tra il gruppo Caltagirone, la famiglia Benetton, gli eredi Gavio, i Pesenti e l'immancabile Ligresti. Senza gare d'appalto. Ecco perché il referendum del 12 giugno fa tanta paura.


Bicchiere ricco, mi ci ficco. Solo per gli acquedotti, dicono gli esperti, bisognerà investire qualcosa come 16 miliardi di euro nei prossimi 30 anni. E altri 19 miliardi per fognature e depuratori. Tra manutenzione del sistema idrico e opere nuove di zecca, il conto della spesa prevista supera i 64 miliardi di euro. Svanito il sogno di lavorare sul nucleare, molte imprese, italiane ed estere, incrociano le dita e sperano che non svanisca il grande affare dell'acqua. Che è prima di tutto un bel business per i costruttori, tra cemento, tubi, scavi e via dicendo. Uno dei pochi settori in cui possono arrivare denari dalle casse dello Stato. Giuseppe Roma del Censis stima che almeno l'11 per cento di quegli agognati 64 miliardi arriveranno da fondi pubblici. Ma Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti, suona l'allarme, sostenendo che la vittoria del "sì" al referendum anti-privatizzazione, inchiodando le società che gestiscono i servizi nell'area pubblica, collocherebbe i loro prestiti nell'alveo del debito dello Stato: col rischio che gli investimenti vengano bloccati per non sforare il patto di stabilità.

Fino a qualche settimana fa un massiccio afflusso di investimenti privati pareva ineluttabile, grazie alla prospettiva di vendere l'acqua a prezzi remunerativi, cioè crescenti. Ora però, sia i gestori che gli operatori guardano preoccupati al referendum del 12 e 13 giugno. "Se vince il sì all'abrogazione dei due articoli sull'affidamento ai privati e sulla remunerazione del capitale, ci vorranno anni per riattivare il flusso di denari per modernizzare la rete", dice Roberto Bazzano, presidente dell'Iren, società nata dalla fusione di ex aziende municipalizzate (tra cui quelle di Genova, Torino e Reggio Emilia), e numero uno di Federutility, la federazione delle utilities che aderisce a Confindustria.

Secondo Bazzano, anche i finanziamenti già decisi dagli Ato (gli ambiti territoriali ottimali) arrivano a rilento, nella misura del 50 per cento dei 2 miliardi di euro di cui ci sarebbe bisogno ogni anno per tappare le falle di una rete-colabrodo che perde un terzo dell'acqua prima che arrivi al cliente: "Chi ha voglia di investire soldi freschi, oggi, sapendo che tra qualche mese il capitale potrebbe non essere più remunerato per legge?", si chiede retoricamente il capo di Federutility. Un'analisi che, ovviamente, non è affatto condivisa dai referendari, che la pensano esattamente all'opposto: l'acqua è meglio pubblica.

La battaglia si fa effervescente dal punto di vista politico. Al governo piacerebbe far saltare anche questo referendum, dopo quello sul nucleare, per far mancare il quorum al quesito sul legittimo impedimento, temuto da Silvio Berlusconi. Si aggiunge lo scontro ideologico che verte sul quesito: "E' giusto fare i soldi con l'acqua?". Il fronte del no, mosso da sinistra, conquista adepti anche nelle fila degli amministratori locali espressi dal centro destra.

Dietro l'aspetto politico e ideologico si nasconde in realtà una questione legata agli affari possibili. I players, italiani ma anche stranieri, sono più che agguerriti. A partire dal gruppo di Francesco Gaetano Caltagirone, azionista privato sempre più "pesante" dell'Acea, e dai francesi di Gdf-Suez (che sono soci della stessa Acea ma giocano anche in proprio) o degli altri francesi di Veolia. In teoria, la torta potenziale è talmente grossa che non ci sarà bisogno di sventolare l'italianità contro i colonizzatori d'Oltralpe. I due colossi Gdf-Suez e Veolia sono già ben radicati sull'italico suolo, e anche se la stessa Acea, la Iren con l'appoggio strategico del Fondo per le Infrastrutture (F21) guidato da Vito Gamberale o la bolognese Hera aspirassero davvero a divenire dei "campioni nazionali", ci sarebbe spazio per tutti.

"Entrare nel business dell'acqua è proficuo soprattutto per chi realizza infrastrutture. Prendiamo come esempio l'Acea: se la società decidesse di realizzare un grosso lavoro di ristrutturazione della rete idrica, probabilmente lo farà fare a Vianini Lavori, impresa controllata dallo stesso Caltagirone", sottolinea Marco Bersani, uno dei fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua. Ma non ci sono le gare d'appalto? "Nessun problema. Anche se dal primo gennaio 2010, l'Unione europea ha abbassato la soglia minima per le gare pubbliche da 5,1 milioni di euro a 4,8, chi vuole affidare i lavori senza essere costretto a indire una gara può sempre spezzettare le opere in più parti", afferma ancora Bersani. Tra le aziende interessate ai molti business legati all'acqua sul fronte delle opere spiccano nomi celebri di società quotate in Borsa: come Impregilo (azionisti Benetton, Gavio e Ligresti) e Trevi Group, che nel realizzare pozzi per l'estrazione d'acqua può affiancare alle macchine perforatrici le pompe e le vasche per il trattamento del fango. Amministratore delegato del Trevi Group è Cesare Trevisani, vicepresidente di Confindustria. Senza dimenticare grandi cementieri come i Pesenti, patron di Italcementi, certo attenti agli sviluppi dei futuri progetti su acquedotti, depuratori e fognature.

I bocconi potenzialmente più attraenti sono quelli che nella mappa sono evidenziati in blu. "Si tratta di città e zone dove la gestione del servizio idrico è "in house", cioè affidata a società interamente controllate dall'ente pubblico, come Milano, Torino, Napoli, parte del Piemonte, le province di Bergamo e Verona", spiega Luca Martinelli, giornalista di Altreconomia e autore del pamphlet anti-privatizzazione "L'acqua (non) è una merce", appena uscito in libreria. Martinelli critica la Legge Ronchi, quella che obbliga le società che gestiscono il servizio a scendere sotto il 40 per cento di partecipazione pubblica già entro la fine del 2011 e attacca il meccanismo della gara obbligatoria per ottenere la concessione: "Negli ultimi 15 anni, alla maggior parte dei bandi ha partecipato un solo soggetto: dov'era la concorrenza tanto strombazzata?". Martinelli sottolinea anche come due dei big nazionali della gestione come Iren ed Hera siano cresciuti non vincendo appalti "ma rilevando altre società pubbliche che avevano in pancia affidamenti ottenuti senza gara. Alla faccia della competizione". Nonostante il 47 per cento di rincari delle tariffe tra il 1998 e il 2008, il costo dell'acqua resta mediamente inferiore, in Italia, rispetto a molti altri paesi. Secondo il Blue Book di Utilitatis, nel 2009 una famiglia di tre persone ha sborsato, a Roma, 204 euro per un consumo di 200 metri cubi, contro i 224 di Singapore, i 275 di Stoccolma, i 317 di Lisbona. Maurizio Del Re, amministratore delegato di Sorical (53,5 per cento Regione Calabria, 46,5 per cento Veolia), fa due conti: "Attualmente una famiglia italiana di tre persone spende per l'acqua 20 euro al mese, circa 7 euro a persona. Se venisse realizzato veramente il piano di investimenti da 60 miliardi, gli incrementi di tariffa sarebbero di 5 euro a persona all'anno per trent'anni". Il che vorrebbe dire passare da 84 euro all'anno a persona a 234 alla fine del trentennio.

A dispetto dei rincari già subiti, tuttavia, almeno finora la salute della rete idrica nazionale è restata più che cagionevole, anche se non mancano situazioni ad alto tasso d'efficienza, tipo Milano (perdite inferiori al 10 per cento), dove l'acqua è peraltro saldissimamente in mano pubblica e nessuno si sogna, per adesso, di privatizzarla. Di quattrini per rattoppare e migliorare ce n'è un gran bisogno: che li caccino lo Stato o gli enti locali, finanziandosi con le tasse (come vorrebbero i referendari), o i privati per ottenere rendimenti futuri, a chi costruisce o posa condotte, acquedotti e depuratori, interessa relativamente. Si lamenta Alessandro Gariazzo, il cui gruppo lavora nell'acqua da un secolo ma da un po' ha dovuto diversificare per carenza d'affari: "Da dieci anni con l'acqua si combina poco, per noi ormai vale il 30 per cento del fatturato. Per fortuna ha piovuto molto, sennò saremmo stati spesso in emergenza. La realtà e tragica, specie se confrontata con quello che fanno in città come Chicago, dove ogni dieci anni il comune emette un bond per finanziare la sostituzione delle tubature. Un sogno, visto da qui".

(fonte: L'Espresso e Cometa)

Il bavaglio Rai al concertone del Primo Maggio

Cantanti e artisti obbligati a firmare una liberatoria: vietato parlare di politicaIl classico concertone del Primo maggio è piaciuto a chi l’ha visto sul divano e a chi era in piazza San Giovanni. Ma nessuno dei cantanti e dei comici ha potuto informare i cittadini-spettatori (2,5 milioni da casa) che il prossimo 12 e 13 giugno ci sarà un referendum sul legittimo impedimento, sulla privatizzazione dell’acqua e sull’energia nucleare. Nessuno ha potuto sfiorare l’argomento perché la Rai, che ha trasmesso l’evento comprandone i diritti per 700 mila euro, ha obbligato i partecipanti a firmare una liberatoria che vietava di esprimere valutazioni sul prossimo voto amministrativo o di parlare anche genericamente dei referendum. Una decisione imposta a Raitredalla direzione generale di viale Mazzini, proprio nei giorni del cambio di guardia tra il dimissionarioMauro Masi e il probabile successore, il vicedirettore Lorenza Lei.

(video di Luigina D’Emilio e Paolo Dimalio)

La manifestazione di piazza San Giovanni rientra nel periodo di par condicio sia dei referendum e sia del voto nei comuni e nelle province italiane, ma la legge non vieta a cantanti, comici e artisti di discutere del rischio nucleare o della complessa questione dell’acqua, proprio perché non sono politici. Vince la strategia del governo che vuole insabbiare il triplo referendum: da una parte impedisce alla commissione parlamentare di Vigilanza Rai di approvare il regolamento per indicare come e quando istituire programmi di informazione sul tema, d’altra con le liberatorie vieta a chiunque vada in televisione di far nemmeno un cenno all’esistenza della consultazione del 12 e 13 giugno.

E così sul concertone, fatto di musica, emozioni, ricordi e Unità d’Italia, è calata una campagna di vetro per aiutare il governo a boicottare il referendum. Tutti coloro che hanno intrattenuto la piazza e il pubblico da casa per dieci ore – dal presentatore Neri Marcorè ad Ascanio Celestini - sono stati costretti a peripezie retoriche per toccare l’attualità che il governo cerca di nascondere. Paolo Ruffini, direttore di Raitre, precisa che si trattava di “normale prassi”. Ma Antonio Di Pietro (Idv) la pensa diversamente: “La liberatoria è una illegalità. E’ curioso che si applichi solo la parte proibitiva del regolamento, peraltro non ancora approvato”. E oggi si riunisce la commissione di Vigilanza che proverà, nonostante l’ostruzionismo della maggioranza di Pdl e Lega, a far approvare il regolamento per dare spazio e dignità al referendum nel servizio pubblico. Il presidente Sergio Zavoli rassicura: “Di fronte a un problema che è anche di urgenza se necessario provvederemo a riunirci ad oltranza”. Dietro le quinte era un continuo vociare sopra i decibel del palco. Ascoltavi i cantanti, gli artisti presenti parlare tra loro, confrontarsi, cercare di capire il perchè di questa liberatoria, di questa forma di bavaglio imposta dalla Rai.

Così ecco Enrico “Erriquez” Greppi, frontman franco-lussemburghese-fiorentino dei Bandabardò raggiungere le telecamere del Fatto per rassicurare: “Noi comunque il nostro messaggio lo lanceremo alla piazza”. O Ascanio Celestini espiremere tutto il suo sconcerto: “È una vergogna, non possiamo parlare di referendum. Ma che democrazia è questa?”. E ancora Gherardo Colombo, Eugenio Finardi e Luca Barbarossa, pronti a unirsi al coro. Nel frattempo gli organizzatori del concerto si muovevano tra le quinte per spiegare, rassicurare, scaricare ogni responsabilità. Insomma, per dire a tutti: “Non è colpa nostra, non c’entriamo niente”. All’interno dell’area privata, erano bandite anche le bandiere con la scritta “sì”, le uniche visibili, eccole lì tra il pubblico, appese a qualche lampione, mai inquadrate dalle telecamere. Sempre par condicio. In mezzo Antonio Di Pietro, presente già alle prime ore del concerto: è lui a portare la politica dentro, a confermare l’appoggio totale ai tre quesiti, a denunciare il silenzio. Un silenzio obbligato.

articolo di Alessandro Ferrucci e Carlo Tecce

lunedì 2 maggio 2011

Confronto tra previsione e versione censurata del fallout nucleare radiativo di Fukushima



(fonte: Alex Higgins)

Fukushima: 900MILA microsieverts all'ora - immagini termiche ed effluenti

Ma cosa abbiamo lasciato succedere???  Come abbiamo potuto??? A seguire, Fukushima immagini termiche e Fukushima 6 settimane dopo
Barbara

Il cemento radioattivo della centrale nucleare di Fukushima emette 900.000 microsieverts l’ora 

Il gestore dell’impianto nucleare danneggiato di Fukushima Daiichi (TEPCO) afferma che sono stati trovati dei detriti di cemento che emettono un elevato livello di radiazioni nei pressi del reattore numero 3.
La Tokyo Electric Power Company, o TEPCO, afferma che gli addetti ai lavori hanno rilevato una radioattività di 900 millisievert all’ora emessa da un blocco di calcestruzzo di 30×30 centimetri e 5 centimetri di spessore.
Gli operai stavano usando attrezzature pesanti per rimuovere le macerie nei pressi del commutatore elettrico.
La TEPCO afferma che i lavoratori sono stati esposti a 3,17 millisievert di radiazioni durante la pulizia e il blocco di cemento è stato smantellato in modo sicuro in un contenitore con altri detriti.
L’unita di esperti ritiene che il frammento contaminato potrebbe essere parte dei detriti scagliati dal reattore a seguito di una esplosione di idrogeno presso il reattore numero 3.

Ipotesi provvisoria e conservativa sugli effluenti di Fukushima

Le istanze internazionali rimanendo pressoché mute sulla composizione isotopica degli effluenti fuoriusciti fino ad ora (non è finita) dai cuori atomici di Fukushima, l’AIPRI ha deciso di fornire una sua proiezione preliminare basandosi sia sui dati di escursione del Cs137, che non crediamo veritieri, avanzati per il Giappone dalla NISA  che sui rapporti isotopici riscontrati nel 1986 “in escursione” a Chernobyl secondo l’UNSCEAR  (tabelle p.49). Detta proiezione ha carattere puramente teorico e non è in tutta probabilità che una pura e semplice vergognosa sottostima dei rilasci effettivi. Essa  riguarda in effetti soltanto 3,56 miseri kg di materia radioattiva (è fuggito davvero molto poco delle più di 200 tonnellate di combustibile di cui almeno  la metà , o più, in fusione … e dalla seconda esplosione di cui è difficile immaginare che non abbia sparpagliato almeno 20 tonnellate di scorie radioattive…). Questi miseri 3,56 kg hanno un potenziale letale ufficiale per inalazione di soltanto 53 milioni di dosi. Evitiamo i catastrofismi !

PS. La colonna iniziale della seconda esplosione misurava circa 160 metri di alto per almeno 10 metri di raggio e aveva dunque un volume di 50265 m3 (3,1415 * 10^2 * 160 = 50265). Supponendo conservativamente che la materia espulsa avesse lì una densità minima pari a quella dell’aria  (1,2 kg/m3)  allora questa colonna di polveri “pesava” 60318 kg (50265 m3 * 1,2 kg = 60318 kg). Di queste 60 tonnellate, visto il suo bel color nero uranio, ci risulta difficile non considerare che potesse contenere almeno 20 tonnellate di scorie. Ossia che con queste 20 tonnellate  si siano diffusi 19,1 tonnellate di U238, 61 kg di U236, 150 kg di U235, 5,5 kg di Stronzio 90, 12,7 kg di Cesio 137, 1,1 kg di Prometio 126, 80 kg di Pu239, 1,7 kg di Americio 241, ecc. Aspettiamo con ansia ed auspichiamo con tutto il nostro cuore una secca e definitiva smentita assortita di rilievi spettrometrici.
Sr  = Stronzio
Cs = Cesio
Pu = Plutonio
Am = Americio
 
 


Fukushima: immagini termiche!

Da queste immagini, sembra che a partire dal 20 marzo 2011 il combustile contenuto in una delle vasche di raffreddamento fosse in pieno meltdown. Per quanto riguarda il reattore 2 possiamo dire che è molto probabile che stesse avvenendo una reazione di fissione all’interno del reattore stesso. Il reattore 3 fù vittima di un’esplosione – molto simile a quella di Chernobyl, ma per alcuni motivi diversa.
Nel reattore 4 ci fù un’esplosione di idrogeno. Il reattore potrebbe essere ancora vittima di fissione.
Il 23-3-11, Hanno cambiato le attrezzature (perché non potevano toccare il drone appena utilizzato) ma non se ne capì un granchè.

Il 24-3-11, Hanno cambiato di nuovo attrezzature (poiché non potevano intervenire sul SECONDO drone mandato). La situazione sembra peggiorata, ma ciò è dovuto probabilmente alla maggior sensibilità della fotocamera. Il confronto tra gli eventi di Chernobyl e quello che sta accadendo ora è letterale.


Ora come ora a Fukushima Daiichi ci sono più di 70.000 tonnellate di acqua altamente radioattiva e ‘stagnante’ sopra le turbine dei reattori 1, 2 e 3, pronta per essere riversata in mare.

I reattori 2,3 e 4 emettono ancora fumo bianco.

Le temperature nei reattori 1, 2 e 3, rimangono molto al di sopra della norma, impossibili quindi da spegnere raffreddandoli perché tutte le barre di combustibile si sono fuse!
L’azoto viene ancora iniettato nel reattore 1 più velocemente di quanto possa uscire sul fondo. Il contenimento è rotto.

Credo che un’altra esplosione sia imminente nel reattore 1.

Le vasche di contenimento dei reattori 2 e 3 sono ancora a pressione atmosferica perché sono state danneggiate!


Fukushima: 6 settimane dopo
Dall’impianto di Fukushima stanno uscendo un ricettacolo di materiali radioattivi, ma solo una esigua parte di essi vengono misurati. Sentiamo parlare di iodio e cesio radioattivi, ma nulla sulle particelle di trizio, uranio e plutonio, che sono particolarmente pericolose perché emettitrici di radioisotopi alfa. E ‘un po’ come se i servizi meteorologici ufficiali portassero servizi sulla grandine, ma mai sulle precipitazioni piovose, sulla neve o sul nevischio.
In realtà le cose in Giappone stanno andando così male che devi andare a caccia di informazioni. I media ufficiali montano operazioni di cover up, in modo da non causare il panico. Saperne qualcosa risulta estremamente sbagliato (al sistema) quando i mass media smettono di dare spazio ad un evento (in corso) di tale gravità riempiendo invece i notiziari di cazzate. Sembra che oggi scoprire quale sia la carta di credito più vantaggiosa sia più importante di riportare news sull’Armageddon nucleare che sta investendo il nostro bel pianeta.
Cosa sono le radiazioni, se non un vento che soffia via le nostre vite verso una morte dolorosa? A questo punto si può accorciare la propria vita ad una sola giornata semplicemente facendo un passo dentro una di quelle porte negli edifici dei reattori in Giappone. A duecento chilometri di distanza livelli di radiazioni nella città di Tokyo, sono aumentati ad un fattore di 2.5. Ciò significa che le persone che vivono lì ora otterranno, in dieci anni, le stesse radiazioni che avrebbero ottenuto in 25 (e la situazione continua a peggiorare).
Il rilevatore di radiazioni in alto segnala 0,6 micro-Sievert, superando i livelli normali vicino alla stazione ferroviaria di Shibuya a Tokyo.
Il sole è salutare e necessario per noi. Alcune forme di radiazioni fanno fiorire. Troppe, però, in un tempo limitato ci brucerebbero. Non ci vuole molta intelligenza scientifica per sottolineare il fatto che ricevere la quantità di sole di un anno in un ora friggerebbe la persona all’istante. La “dose” di radiazione è importante in quanto rappresenta la “densità della dose.”
Le radiazioni non causano la morte solo attraverso il cancro, ma anche 
attraverso le malattie cardiache, il diabete e altre condizioni croniche.
Quanto sono alti i livelli di radiazione presso l’impianto nucleare? Secondo i dati ottenuti dai robot telecomandati che hanno esplorato l’interno dei reattori dal n ° 1 a n ° 4 il 18 aprile, le letture all’interno di questi edifici sono stati tra i 4 e i 57 millisievert all’ora. “Ad essere onesti, ero sorpreso nel vedere le cifre. I risultati mi rendono davvero difficile chiedere agli operai di andare dentro e fare il loro lavoro “, ha detto Haruki Madarame, presidente della Commissione sicurezza nucleare del Giappone, durante una conferenza stampa.
Il gestore dell’impianto della Tokyo Electric Power Co. (TEPCO) ha detto Giovedi 21 aprile che circa 520 tonnellate di materiale radioattivo hanno raggiunto il mare dal 1 aprile al 6 aprile attraverso una fessura in una fossa di stoccaggio che toccò circa i 4.700 terabecquerels, 20.000 volte al di sopra del limite legale annuale della centrale.Ciò significa che in sei giorni il pianeta ha vomitato in mare ciò che normalmente in 20000 anni accumulerebbe. Naturalmente si dice che non vi è nessun problema, il nucleare è bello e sicuro, ma vediamo cosa dice in proposito Greenpeace che con la loro nave ammiraglia Rainbow Warrior ha testato l’acqua di mare e la vita marina nei pressi della centrale colpita dallo tsunami.


Non solo dobbiamo preoccuparci dei venti nucleari, ma anche delle correnti nucleari marittime e di quello che causeranno all’umanità nel corso dei prossimi mesi, anni e decenni. Già le radiazioni sono presenti nel latte materno delle madri Giapponesi, ma i bambini e le loro madri possono riposare in pace perché il governo non è allarmato.
Le masse “non allarmate” andranno avanti a consumare acqua “leggermente” contaminata, mangiare cibo “leggermente” contaminato e respirare aria “leggermente” contaminata e, nel caso di bambini giapponesi comincieranno a bere latte materno “leggermente” contaminato. Il problema, è che in sei mesi la caratterizzazione “leggermente” salirà a”mediamente”  e successivamente diventerà pericolosa.
Perché accade tutto questo e perché dovremo preoccuparcene così tanto? Il combustibile nucleare si è fuso in tre dei reattori della centrale giapponese di Fukushima Daiichi cadendo nelle parti inferiori delle loro vasche di contenimento, sollevando lo spettro del materiale surriscaldato, compromettendo un contenitore e causando un massiccio rilascio di radiazioni, come riportato da un rapporto dell’Atomic Energy Society of Japan pubblicato solo nove giorni fa. Ciò che fa cadere i coglioni, è che i media continuano a ignorare ciò che succede perché le informazioni vengono plagiate proprio dai loro capi.
La Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni [ICRP] esiste in pratica per minimizzare gli effetti delle radiazioni sulla salute umana e per proteggere l’industria nucleare dalle richieste di risarcimento da parte del pubblico.
Dei tre reattori danneggiati a Fukushima, solo il N ° 3 contiene plutonio fresco all’interno del suo combustibile, il brutto è che tutti i reattori contengono plutonio. Tutte le barre di combustibile esaurite conservate nelle piscine di stoccaggio di ogni reattore contengono plutonio. Nei reattori di Fukushima, il plutonio-239 è un sottoprodotto della fissione nucleare che si verifica quando l’uranio-238 nel carburante assorbe neutroni. Fukushima ha plutonio a sufficienza per uccidere ogni uomo, donna e bambino sul nostro pianeta se fuoriesce. Ce ne è abbastanza lì che anche una piccola parte potrebbe ucciderci. Sta uscendo, questo è certo, ma nessuno parla di quantità.
TUTTO VA BENE
Il governo giapponese sta lavorando a stretto contatto con la Electric Tokyo Power Company (TEPCO) e con i principali media nazionali per mantenere la bella facciata, dicendo tranquillamente che la situazione sta tornando sotto controllo, il che è ridicolo visto che abbiamo crolli in vari reattori. Da quando “tutto va bene” se ci sono crolli, esplosioni ed incendi?
Certamente né i media né i governi stanno facendo i calcoli su l’estrema vulnerabilità dei neonati, dei bambini piccoli o di quelli ancora in gestazione nel grembo materno…non sono elettori e allora perché preoccuparsi per i nostri figli che si ammaleranno di cancro entro pochi anni o pochi decenni? Sì, ci sono persone le cui ipotesi fanno tremare il futuro dei nostri figli. Sono psicopatici segreti, quelli che la psicologia moderna tende a nascondere, perchè fanno parte dell’elite. E ‘triste saper di aver tanto marciume ai livelli più alti della società umana.
I bambini nati da madri che avevano subito una serie di radiografie nella regione pelvica durante la gravidanza hanno il doppio delle possibilità di ammalarsi di leucemia o di un’altrà forma di cancro rispetto a quelli nati da madri che non erano state sottoposte ai raggi x.
Il Dr. Ernest J. Sternglass, ex professore di fisica delle radiazioni presso l’Università di Pittsburgh, nel suo libro “Secret Fallout – Low-Level Radiation from Hiroshima to Three-Mile Island, indicò che il rischio aumenta con ogni esposizione aggiuntiva. Questo chiaramente fa capire che non vi fù alcun significativo miglioramento dal danno e che gli effetti provocati dalle radiazioni sono cumulativi.
NON ESISTONO VENTI RADIOATTIVI SICURI
Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha dichiarato che non esiste un livello di radiazione talmente basso dall’escludere i rischi per la salute. Questa è la politica ufficiale degli Stati Uniti. La National Academy of Sciences (NAS) ha pubblicato un rapporto nel 2006, intitolato “effetti biologici delle radiazioni ionizzanti (BEIR)” affermando: “Il Comitato conclude che la preponderanza di informazioni indica che ci sarà qualche rischio, anche a basse dosi.” La conclusione del rapporto recita: “La commissione conclude che le prove scientifiche attuali sono coerenti con l’ipotesi che vi sia una costante correlazione tra radiazioni e cancro nell’uomo, anche a dosi basse .” Ciò significa che la somma di diverse esposizioni a radiazioni molto basse ha lo stesso effetto di una vasta esposizione, poiché gli effetti delle radiazioni sono cumulative. Questo significa che milioni e, infine, miliardi di persone saranno colpite da questa catastrofe.
Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha le letture più complete ed aggiornate sulle radiazioni nel nord del Giappone. Si dice che la mappa dell’NNSA dimostri che, se qualcuno dovesse rimanere in qualsiasi posizione tra la centrale e un punto qualsiasi a 50 chilometri, nordovest della centrale per un anno, sarebbe esposto ad almeno 20 millisievert di radiazioni . Il governo giapponese indica le aree in cui la dose di esposizione annuale di radiazioni raggiunge i 20 millisievert come una “zona di evacuazione”, in cui i cittadini sono invitati  da parte delle autorità a lasciare le loro case.