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martedì 25 gennaio 2011

Cosiddetta … tua figlia

Quando posso, mi rifiuto di guardare filmati del tizio drag queen del consiglio, e mi risparmio di sentirne la voce. Leggo gli estratti sui giornali, non rabbrividisco; lo schifo al pari di un topo di fogna grande come un coniglio. Non c’è bisogno di inquinare ulteriormente il proprio sguardo, o l’udito, dato il bombardamento al quale siamo sottoposti quotidianamente.

Le trasmissioni televisive di approfondimento politico, che non narrano più dei governi che crollano per la povertà dei popoli, del nazismo che si fa sempre più audace in una società evoluta, dello strano concetto di federalismo che sta finendo di devastare una Repubblica tutto sommato giovane come la nostra, in cui appare sempre più chiaro l’intento di spaccarla in due, con il nord affidato ad un manipolo di ladri vestiti di verde, e il sud da donare – come ricompensa o bottino di guerra – alle mafie, che poi provvederanno ad equa spartizione. Narrano solo le vicende del patetico uomo a cui è ancora permesso credersi un sultano, e ci tocca ancora star qua a specificare il banale.

Essere donna è cosa diversa dall’essere la figlia del re, ed è ancora oltremodo diversa dall’essere figlia, moglie, o madre di un tizio che re non lo è mai stato. Essere donna è sempre stata fatica; un tempo perché si doveva chinare il capo e muoversi piano in un mondo che esigeva senza accettare ribellioni, poi quando si iniziò a tirar su il capo, divenne fatica riuscire a non abbassarlo di nuovo. Oggi è triplicemente faticoso, perché si deve combattere perché non passi l’idea che tutte si sia come la cosiddetta figlia del re, che non fatica nemmeno a schifare suo padre, porco o malato che sia.

Non posso e non voglio sentirmi insultata dal fare maniacale di questo vecchio balordo, che conserva il “diritto” di esistere nelle nostre vite, solo perché in grado di pagarselo – probabilmente anche con molti dei nostri soldi – non può offendere la mia dignità di donna. Perché io so d’averla.

Forse è anche questa un’altra delle mie grandi libertà: essere (sentirmi) immune dall’oltraggio di un tizio che merita qualunque mio oltraggio, qualunque mio insulto, e che mai – nemmeno se dovesse costituirsi – meriterebbe il mio rispetto. Guardo alla mia vita e so che qualunque cosa quell’essere immondo possa dire di una donna, non riguarda me. So che non sta parlando di me. So che non è a me che potrebbe mai dire “cosiddetta donna”. Perché io donna lo sono davvero, e non per il mio corpo, o perché a volte mi piastro i capelli per illudermi di aver voglia di prendermi cura di me. Sono una donna perché, per esempio, sono sopravvissuta al mio ultimo anno di vita, senza mai avere la tentazione di chiamare amore il portafogli di un uomo, senza mai avere nemmeno la tentazione di delinquere per mangiare. O la tentazione di millantare di me bellezze da sogno o perfezione da vanto. Sono una donna che ogni volta che è caduta si è rialzata, ha spolverato il fondo dei pantaloni, e si è rimessa in piedi. No, non c’è cosa che quel patetico, ricco maniaco possa dire che possa ledere la mia dignità, perché io ho una dignità, e me l’ha insegnata mio padre col suo esempio.

E per questo, vecchio porco, “cosiddetta donna” può calzar bene solo a tua figlia, una delle tante. Una di quelle che hai scambiato con i denari per la ricerca sulla tua longevità, con i favori alle mafie – che anche Mediobanca lo è – che hai favorito col furto della Mondadori, o derubando la minorenne ereditiera Casati Stampa nel lontano 1973.Ora il tuo esempio è altro, è quello di un uomo che usa le donne, che le compra, che le rivende usate al servo più avido, come un’automobile o una casa che non serve più. E le cosiddette donne che hai generato non hanno abbastanza dignità per disconoscerti come padre o come uomo, perché si vendono a te, in attesa che tu tiri le cuoia ed essere libere di avventarsi sul bottino di una vita.

Nulla di quel che dice quel tizio sarà mai in grado di offendermi, perché forse l’unico bene che ho e che spero di tramandare a mie figlie, è il forte senso di orgoglio e dignità.

Rita Pani (Donna APOLIDE), scritto il 25/01/11 alle 11:39

(fonte: Rita Pani)

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