DEBITO PUBBLICO

RAPPORTO DEBITO/PIL

domenica 23 gennaio 2011

L’amore finisce, ma la coppia si può salvare. Ecco come…



Qui sopra Lois Braverman, direttrice dell’Ackerman Institute for the Family di New York, spiega (in inglese) il boom delle terapie di coppia. Perché, da un punto di vista neurobiologico, l’amore dura due-tre anni. Ma, se si smette di cercare di cambiare il partner e si valorizzano gli aspetti positivi, la relazione può continuare comunque. Felicemente. Sotto, il reportage dagli Stati Uniti. Sul Venerdì, invece, anche l’inchiesta sulle terapie di coppia in Italia e la testimonianza di una coppia che ci è passata.

NEW YORK. Il matrimonio è morto, lunga vita ai terapeuti di coppia. L’articolo, sebbene non economicissimo, non risente della crisi. Anzi. L’ultimo rapporto del National Marriage Project parla di «uomocessione». Ovvero la recessione che colpisce soprattutto i maschi. I quali, perso il lavoro, stanno a casa come fossero agli arresti domiciliari. Non abituati, frustrati, infine aggressivi. Le liti con le mogli aumentano, i lasciamenti no. Perché se fai fatica in due ad arrivare alla quarta settimana, figurarsi da soli. Doppia casa, doppio tutto. Più le parcelle degli avvocati. Divorziare è un lusso. Anche gli aggiusta-famiglie lo sono, però meno. E quando la cinghia è stretta si tenta in ogni modo di riparare invece che buttare via. Da qui i nuovi record di iscritti alla American Association for Marriage and Family Therapy: 24 mila terapeuti che assistono milioni di coppie. Come racconta un articolo del New Yorker e vari libri che ci spiegano quel che succede sul lettino a due piazze.

Gli americani stravedono per il matrimonio. Si sposano più di tutti, più di tutti divorziano. Una coppia su due, il doppio della media europea. Ma siccome sono un popolo pratico, trattano le affezioni della coppia con lo stesso approccio scientifico che adotterebbero per qualsiasi altra patologia. Soprattutto partoriscono una serie di regole per evitare che le cose si mettano al peggio. Da poco hanno rivisto anche il Marital Dyadic Adjustment Scale, la scala di aggiustamento maritale, che basandosi su un test con 14 variabili (tipo «Quanto spesso abbandonate casa dopo una lite?»; «sempre» e prendete zero, «mai» invece sono cinque punti) vi dice come state procedendo. Oppure c’è l’approccio più qualitativo del dottor John Gottman, diventato una star grazie a una generosa comparsata nel bestseller planetario Blink, di Malcom Gladwell. Lui è quello dei love lab, i laboratori dell’amore. Gli basta osservare per 15 minuti una coppia per predire, con un’accuratezza dell’83 per cento – sebbene ci sia chi lo contesta –, se staranno ancora insieme da lì a 4-6 anni. Gli indizi rivelatori sono le «microespressioni». Ne ha individuate alcune mortali («i quattro cavalieri dell’apocalisse»), tra cui la peggiore è il disprezzo. Quando lui/lei la/lo sente parlare e piega all’ingiù le labbra implorando che smetta di blaterare. Quella cosa lì. Se la vedete, inutile fare progetti per le vacanze. Siete già morti ma ancora non lo sapete. Gottman però, come racconta anche Tara Parker-Pope in For Better: the Science of a Good Marriage, non si limita a constatare i decessi. Aiuta anche a prevenirli, incitando i suoi pazienti a neutralizzare un momento cattivo con cinque momenti buoni. Solo mantenendo questa proporzione, dice, la coppia metabolizza le inevitabili incomprensioni. E prospera.

Lois Braverman, direttrice del newyorchese Ackerman Institute for the Family, riconosce i meriti dell’approccio: «Al di là del rapporto matematico, ciò che segnala è l’importanza di evitare escalation. Di spegnere subito l’incendio. L’acqua di una sola carezza non basta». Perché le coppie in crisi soffrono di peculiari amnesie selettive per cui, raccontando le loro storie, ricordano benissimo i momenti brutti e perdono per strada circa metà di quelli belli. A disinnescare gli ordigni sentimentali tra moglie e marito una volta ci pensava la famiglia allargata, ricorda Braverman, «ora la coppia è più isolata. Gli amici possono aiutare a far scendere la temperatura del dissenso». Nathan Ackerman, il fondatore, una volta dichiarò che «due nevrotici possono essere felicemente sposati». Ossia, non sono le qualità dei singoli ma l’incastro a decidere l’esito. La sua epigona constata che sulla coppia si sono concentrate troppe pressioni: «Il compagno deve essere il miglior amico, l’amante focoso, il partner egualitario, l’educatore dei figli: troppi ruoli in commedia per una persona sola». L’immagine più bella, variazione del medesimo concetto, è di Alfredo Canevaro, psichiatra argentino trapiantato in Italia. Dice che «la coppia è diventata un grande attaccapanni su cui ognuno appende ogni proprio desiderio, sinché si spacca». Perché «il partner chiede all’altro anche ciò che gli è mancato dai genitori. Se ha avuto una madre anaffettiva cerca un amore romantico e però gli rinfaccia di non dargli abbastanza attenzioni, come se avesse ancora davanti il vecchio fantasma invece che la nuova realtà». «Ti fottono per bene mamma e papà, scrive il poeta americano Philip Larkin, «Magari non lo fanno apposta, ma lo fanno. Ti riempiono di tutte le colpe che hanno e aggiungono qualche extra, giusto per te».

La citazione è presa da The Husband and Wives Club, in cui l’autrice Laurie Abraham racconta di un anno passato ad osservare cinque coppie in terapia di gruppo. Dieci weekend in cui perfetti sconosciuti rovesciano i cassetti della loro psiche. In un caso la moglie non perdona al marito, con cui ha già due figli, di essersi fatto praticare una vasectomia senza averla interpellata. In un altro Michael sembra litigare con Rachael perché non vuole che si compri una moto. Sul finire della terapia, facendolo scivolare come fosse dettaglio irrilevante, lui racconta che l’incomprensione deriva dal fatto che «lei non è un uomo». Come quelli con cui aveva dormito tanti anni prima. Foto di gruppo con outing. Il sesso orale, praticarlo o riceverlo, è uno dei temi più indagati. Una sera li fanno ispirare con la visione di Full Monthy e della Marcia dei pinguini. Un’altra volta si chiede ai partecipanti di mimare – il family sculpting, rappresentare i problemi anziché verbalizzarli, è un gran classico – una scena emblematica della relazione sentimentale dei genitori. Perché l’imprinting, sia per mimesi che per differenziazione, ha un ruolo fondamentale anche tra noi mammiferi superiori. Non necessariamente cerchiamo una compagna che assomigli alla mamma, ma a volte la creiamo a sua immagine e somiglianza secondo un processo che la terapeuta britannica Melanie Klein chiamava di «identificazione proiettiva».

Da una parte quindi, ad appesantire la chiglia della coppia, la zavorra familiare. Dall’altra l’assetto moderno del matrimonio come mezzo di auto-espressione e di appagamento di sé su cui riflette More Perfect Unions: the American Search for Marital Bliss di Rebecca L. Davis. Le sue aspettative moltiplicate hanno moltiplicato anche i fallimenti. E il ricorso agli strizzacervelli. Braverman è d’accordissimo: «Aggiungete la mediatizzazione del fenomeno, la foltissima pubblicistica a riguardo. E l’ossessione, tutta americana, della costante migliorabilità di ogni cosa». La soluzione, per lei, sta altrove. Cita Helen Fisher, l’antropo-biologa che ha studiato la chimica del cervello innamorato: l’inondazione iniziale delle endorfine si prosciuga nei primi due-tre anni. Dopo, per continuare a navigare con meno acqua, bisogna inventarsi dei trucchi. Ovvero «sviluppare un amore maturo che, invece di cercare di cambiare l’altro (quasi sempre nelle parti immodificabili) riesca ad accettare le differenze». Facile a dirsi. Ma se la barca va a fondo comunque magari la scialuppa del terapeuta vi eviterà di affogare.

Nessun commento:

Posta un commento