di Marco Percoco, assistant professor al Dipartimento di analisi istituzionale e management pubblico alla Bocconi
La World health organization ci ha ricordato, se mai ve ne fosse bisogno, che la qualità dell’ambiente urbano in Italia è scadente. Delle quattro città più inquinate d’Europa, tre sono italiane. La maglia di più inquinata del Vecchio Continente va a Plovdiv in Bulgaria, seguita da Torino, Brescia e Milano. Quest’ultima è nel gruppetto di testa, nonostante decenni di interventi di lotta allo smog più o meno efficaci.
Le città hanno conosciuto e mostrato un interesse nei confronti del problema inquinamento altalenante e non sempre sostenuto da una visione di lungo periodo. Ultimamente, sembra aver prevalso la rassegnazione sia dal lato dei cittadini sia da quello degli amministratori locali, come se la famigerata concentrazione di PM10 e di NOx fosse un inevitabile prodotto dello sviluppo economico. Ma la Who ha stimato in 8.200 i decessi attribuibili all’inquinamento nelle 13 città italiane più grandi; ben 2.000 di queste morti avvengono a Milano. Tutto ciò ha un costo per la collettività, un costo invero significativo in questo caso. Se si considera che la stima del valore sociale di una vita umana è di circa 1,2 milioni di euro, si ottiene che il costo sociale dell’inquinamento è di quasi 10 miliardi di euro, di cui 2,4 per la sola Milano.
Sebbene questa cifra possa sembrare enorme, va detto che essa rappresenta una stima per difetto sia perché lo studio fornisce dati anche sulle malattie indotte dallo smog e non necessariamente mortali (si pensi all’asma), non ricomprese nel costo sociale, sia perché l’analisi della Who considera solo il territorio comunale e non quello metropolitano.
Le città italiane hanno fatto qualcosa negli ultimi anni per far fronte all’inquinamento, ma hanno fatto poco e male. Gli interventi di regolazione del traffico (che contribuisce per oltre il 50% alla produzione di PM10) a mezzo di zone a traffico limitato, targhe alterne, domeniche a piedi, si sono rivelati generalmente inefficaci.
Milano ha adottato, al pari di altre città europee, una tassa per le automobili che entrano nel centro della città, il cosiddetto Ecopass. Tale intervento ha abbassato il livello medio di concentrazione di polveri sottili del 17-18%, con evidenti e significative ricadute per la salute pubblica. Studi recenti dimostrano che l’applicazione dell’Ecopass ha prodotto una variazione positiva del benessere sociale, in alcuni casi addirittura superiore a quella generata dalla tassa sulla congestione londinese.
Ma è necessario fare di più a Milano come nelle altre città italiane. L’introduzione di una tassa sull’inquinamento può apportare significativi guadagni per la collettività purché applicata in maniera estensiva. Inoltre, incentivi all’acquisto di mezzi ecologici (o disincentivi all’acquisto di auto più inquinanti come i suv, così come paventato dal recente decreto sul federalismo fiscale) potrebbero garantire sicuri benefici sociali, sebbene solo nel lungo periodo.
Infine, il consumo di suolo nelle aree periurbane va limitato. La dispersione urbana produce un incremento dei chilometri percorsi dalle persone che si spostano dalle periferie verso il centro, con un conseguente deterioramento dell’ambiente. Una città metropolitana più compatta garantirebbe, invece, una migliore gestione della mobilità e un minor ricorso all’automobile e, di conseguenza, un minore inquinamento.
Questi interventi sono necessari, anche se sembrano estremamente costosi, ma forse un problema da circa 10 miliardi di euro all’anno vale un’attenzione e un attivismo superiori a quelli attuali.
(fonte: SDA Bocconi)
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