DEBITO PUBBLICO

RAPPORTO DEBITO/PIL

mercoledì 31 agosto 2011

Finta di niente...


Dico ma, davvero davvero questi sapiens della politica non si rendono conto che hanno fallito in massa? È mai possibile che non si siano accorti e non si stiano accorgendo che il popolo li sta accerchiando e con sempre maggiore convinzione di fargliela pagare?

Un qualsiasi essere umano sano di mente, già, sano di mente, avrebbe caricato le valige nel bagagliaio insieme al bottino di una vita, una valanga inimmaginabile di denari sottratti al paese e via andare in una qualche paradisiaca località a godersi gli ultimi grassi rantoli di una vita da infami.

Macchè! Sembrano quei rapinatori incalliti che dopo avere passato decenni a saccheggiare in qua e in la i beni migliori ed avere profanato ogni locale dove c’era qualcosa di valore anche presunto, mai sazi, si riuniscono tutta la banda insieme e dicono per l’ennesima volta: “facciamo questo ultimo colpo e poi ci ritiriamo”.

Ad onore del vero il paese sperava che “l’ultimo colpo” l’avessero fatto ai tempi di mani pulite, e nessuno mai si sarebbe immaginato che dopo la tristissima epoca “Craxiana” che ha tappezzato la nazione di fazzoletti e pannolini, ci sarebbe stato un susseguirsi di operazioni catastrofiche tali da dovere aprire centinaia di inchieste, “piedi puliti, viso pulito, pancia pulita e colon pulito”.

Ma la parte più incredibile è che i “malfattori” i quali hanno svaligiato tutto, sono gli stessi che stanno raccontando alla nazione che “qualcuno” si è impossessato dei gioielli di famiglia e che non ci sono più gli ori, gli argenti, i soprammobili, i tappeti e la carta igienica. Non solo, ma ogni maledetto giorno ci dicono che tocca “al popolo” riparare i portoni scassinati e riacquistare i materiali preziosi, altrimenti siamo rovinati. Praticamente ci troviamo davanti ad un manipolo di farabutti che hanno seminato per decenni centinaia di migliaia di bombe senza catalogare il luogo del deposito, e adesso ci vengono a dire che LORO sono in grado di evitare l’immensa esplosione a catena che sta per partire. Siamo all’apice dell’assurdo. L’Italia è un paese dove non c’è nessun limite all’indecenza, dove se sei un politico e ti beccano nudo a un droga party con il pistolino in mano, potrai serenamente dimostrare che partecipavi a un “meeting” cattolico dove insegnano a NON fare la pipì negli angoli delle strade e a rimuovere “la polvere” senza sporcarsi. L’importante è il pelo sullo stomaco, la faccia tosta e … finta di niente!

Sono certo e non sono l’unico a pensare che le piazze si riempiranno ogni settimana, poi ogni giorno, e infine ogni ora del giorno senza sosta fin quando l’Italia potrà in qualche modo assomigliare all’Islanda. Dico “in qualche modo” perché in Islanda molti appartenenti politici e i banchieri individuati quali responsabili del default sono stati arrestati (notizie che nei nostri TG non passano) mentre qui da noi tutto ciò ce lo possiamo scordare o quanto meno è assai difficile, poiché in un sistema corrotto e marcio da una vita porta dentro di se tutta la malattia di una società inebetita e per certi versi connivente. Mi basterebbe che dall’Islanda prendessimo anche solo l’esempio di come si può riformare una classe dirigente attingendo “uomini comuni” di fra il popolo, e che il nostro debito pubblico così come quello Islandese fosse azzerato, che se lo paghino gli speculatori e i banchieri se ci riescono!!!

L’importante è che le formiche possano ricominciare a lavorare per se e non per quelle scassa palle di cicale che prima smettono di “frignare” e meglio è. Ma soprattutto quel fastidioso incessante ipocrita rumore di cicale ci ha veramente frantumato la sacca scrotale, e prima se ne vanno a ronzare in altre isole e penisole e prima potremo sperare di recuperare quel che rimane. Il bisogno primario di questo paese è “rimuovere a tutti i costi questa classe politica”. Se non lo capiranno peccato, se saranno convinti di essere più forti loro peccato, se credono che il popolo è formato da tanti disgraziati senza forze peccato. I libri di storia sono pieni di gente che credeva di vivere in eterno.


(fonte: Reset-Italia)

lunedì 29 agosto 2011

I Prestigiacomo fanno affari col petrolio. E sulle trivelle offshore il ministro tace


La titolare del dicastero dell'Ambiente deve decidere su 40 concessioni per scavare vicino a Egadi e Pantelleria. Mentre aziende amministrate dai suoi parenti lavorano con le compagnie dell'oro nero. Tasse bassissime, poche restrizioni sui profitti: ecco perché ai petrolieri conviene investire in Italia.

"Ci chiediamo se questo ministro dell’Ambiente possa valutare obiettivamente le concessioni petrolifere in Sicilia quando le società amministrate da suoi parenti hanno rapporti d’affari con chi affonda i pozzi nel nostro mare". L'obiezione dei nemici delle trivellazioni trova riscontro nei fatti. Sì, perché le attività nel campo petrolifero sull'isola sono attivissime e vedono tra i protagonisti il consorzio Cem, di cui fa parte la società Coemi, il cui amministratore delegato è Maria Prestigiacomo, sorella maggiore del ministro. Di più: la Coemi è oggi proprietà della società Fincoe, di cui Stefania Prestigiacomo deteneva il 21,5 per cento fino al novembre 2009, quando l’ha donato alla madre, oggi azionista di maggioranza. Coemi, si legge sul sito, ha nel suo portafoglio clienti anche Eni, Erg ed Esso. Niente di illegale. Ma chi si oppone alla caccia al petrolio nei mari dell’isola non si sente certo rassicurato.

Decine di pozzi di petrolio nel blu del Mediterraneo, per fermare le trivelle si sono mobilitati cittadini e comitati. Ma intorno alla Sicilia pendono 40 richieste di concessioni. Le trivelle sono pronte a entrare in azione a pochi chilometri da gioielli come Pantelleria e le Egadi.

Per arrestare la febbre da oro nero si è schierato anche Montalbano, alias Luca Zingaretti. In molti, però, da queste parti oltre che sul commissario più famoso d’Italia, puntavano anche su un altro alleato: il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Chi meglio di lei? È siciliana e vicina a Berlusconi.

Da qualche settimana, però, la gente di Pantelleria, delle Egadi, di Trapani comincia ad avere qualche dubbio. Già, perché in Sicilia c’è chi punta il dito sui legami che Prestigiacomo e la sua famiglia hanno con le società che affondano i loro pozzi nel mare dell’isola. Niente di illegale, per carità, ma una questione di opportunità, questo sì. Racconta Alberto Zaccagni, nemico accanito delle trivellazioni: “Ci chiediamo se questo ministro dell’Ambiente possa valutare obiettivamente le concessioni petrolifere in Sicilia quando le società amministrate da suoi parenti hanno rapporti d’affari con chi affonda i pozzi nel nostro mare”. Una leggenda metropolitana? Articoli di cronaca (per esempio su Terra) e visure camerali del ministro e dei suoi familiari confermano i nodi sollevati da cittadini e comitati. I giornali di Siracusa hanno raccontato che sono riprese le attività del campo petrolifero Vega (Edison ed Eni) nello Stretto di Sicilia. Una notizia accolta con entusiasmo dagli industriali locali, anche perché alle operazioni hanno collaborato con massicci investimenti imprese di Siracusa. Ecco allora il consorzio Cem che ha acquistato e trasformato la petroliera Leonis, un colosso da 110mila tonnellate, che deve essere ormeggiata alla piattaforma per raccogliere il greggio estratto.

Una commessa da 30 milioni che ha portato una boccata di ossigeno alle imprese. Niente di male, ma i maligni ricordano che del consorzio Cem fanno parte diversi soggetti tra cui la Coemi. Ecco il punto: la Coemi, come dice lo stesso sito della società, è nata come impresa di famiglia dei Prestigiacomo. L’amministratore delegato è Maria Prestigiacomo, sorella maggiore del ministro dell’Ambiente. Di più: la Coemi è oggi proprietà della società Fincoe, di cui Stefania Prestigiacomo deteneva il 21,5 per cento fino al novembre 2009 quando l’ha donato alla madre Sebastiana Lombardo, oggi azionista di maggioranza. Emergerebbe quindi che una società di cui fanno parte familiari stretti del ministro dell’Ambiente è impegnata nell’attività di estrazione di petrolio intorno alla Sicilia. Ancora niente di illegale, ma certo una questione che non rassicura chi si oppone alla caccia al petrolio nei mari dell’isola. Di più: sul sito della Coemi si legge che tra i clienti della società (oltre al ministero della Difesa, ma questa è un’altra storia) ci sono anche Eni, Erg, Esso.

Insomma, alcuni tra i principali operatori nel settore petrolifero in Italia. E in Sicilia. Proprio a Priolo, denunciano le associazioni e i comitati siciliani, “la Erg e l’Eni sono interessate agli accordi transattivi previsti dal ministero dell’Ambiente per chiudere la vertenza sui danni ambientali provocati dalle raffinerie”. Pierfrancesco Rizza, presidente Wwf Sicilia commenta: “Le cifre finora spuntate dai privati (nell’ordine di decine di milioni) sono modeste rispetto a un danno enorme. Ma bisogna dire che molte delle società coinvolte non esistono più oppure sono passate di mano”. Un’altra storia, certo, ma sempre una questione di opportunità per Prestigiacomo. Perché qualcuno in Sicilia si chiede se sia giusto che un ministro dell’Ambiente (pur avendo alienato le proprie quote sociali) possa vigilare sull’operato di colossi petroliferi che sono clienti di imprese legate alla sua famiglia.

Ecco, però, allora che le questioni da chiarire per il ministro non riguardano più solo i pozzi di petrolio. Certo non è un anno fortunato per la Prestigiacomo, già ampiamente citata negli atti dell’inchiesta P4 per i suoi rapporti con Luigi Bisignani. Un colloquio tra il faccendiere e il ministro dell’Ambiente del 2 dicembre 2010 è diventato famoso. Prestigiacomo sbotta: “Mamma mia, ma come si può vivere così! Se escono le intercettazioni con me, mi rovini”. Il punto adesso è un altro: il nome Prestigiacomo ricorda soprattutto una delle ministre in lizza come miss governo, ma a Siracusa tutti lo collegano a una delle dinastie industriali più note dell’isola.

La Coemi (che controlla tra l’altro la Nuovenergie), ha ricordato il Corriere della Sera, è anche impegnata nel business del fotovoltaico che dipende da scelte politiche del ministero dell’Ambiente. Un’altra questione di opportunità. Non basta: della galassia Fincoe fa parte la Ved (Vetroresina Engineering Development) di cui è amministratore Maria Prestigiacomo (il ministro non ha cariche, né quote sociali). Una società in passato finita due volte nel mirino della magistratura di Siracusa anche per questioni ambientali (nel 2008 i manager di allora non furono processati anche per intervenuta prescrizione). Nessun reato, fino a prova contraria. Ma le domande restano: Prestigiacomo è il ministro giusto per occuparsi di Ambiente? È lei la persona che può decidere delle trivellazioni in Sicilia? Dal ministero dell’Ambiente respingono i dubbi: “Da quando è arrivata Stefania Prestigiacomo la legge in materia di trivellazioni è diventata più severa. Abbiamo messo il limite di 5 miglia dalla costa e di 12 miglia da qualsiasi zona protetta. Nessun altro Stato fa altrettanto”.

venerdì 26 agosto 2011

A Brancher 160 milioni di euro

A Brancher 160 milioni di euro

Paolo Biondani

Avete presente l'ex ministro di Berlusconi appena condannato in via definitiva a due anni? Bene: il governo lo ha nominato presidente con pieni poteri di un nuovo ricchissimo ente. Così l'esecutivo italiano ha un nuovo record: è l'unico al mondo che in tempi di sacrifici e di tagli affida una valanga di denaro a un pregiudicato

Per distribuire preziosi pacchi di soldi pubblici mentre l'Italia rischia la bancarotta, cosa c'è di meglio di un bel comitato politico, presieduto da un onorevole marchiato dalla giustizia come ladrone? Spesso in Italia, come insegnava Ennio Flaiano, la situazione è grave, ma non seria: a riconfermarlo è un atto del governo che affida un tesoretto di 160 milioni di euro a un nuovo ente presieduto e diretto da Aldo Brancher. Sì, proprio lui, il deputato berlusconiano fresco di condanna definitiva per i reati di ricettazione e appropriazione indebita.

Il neonato ente parastatale si chiama "Odi" ("Organismo di indirizzo") ed è stato istituito il 14 gennaio 2011 con un apposito decreto firmato nientemeno che da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Richiamandosi a un codicillo semi-nascosto nella legge finanziaria 2010 ("articolo 2, comma 107, lettera h"), il presidente del Consiglio e il ministro dell'Economia autorizzano la spartizione di 160 milioni tondi entro la fine di quest'anno. I soldi sono destinati ai soli comuni veneti e lombardi delle fasce di confine con Trento e Bolzano. L'idea era stata lanciata già nel 2008 per frenare la mini-secessione dei centri di montagna, che progettavano di abbandonare le regioni padane per entrare nelle ricche province a statuto speciale. Allora però era previsto uno stanziamento di soli 20 milioni. Adesso il fondo è quadruplicato: 80 milioni all'anno. E la prima spartizione riguarda il biennio 2010-2011, per cui la cifra in gioco raddoppia. Il nuovo ente ha pieni poteri sulla distribuzione dei soldi. Mentre i costi sono a carico delle due province autonome, che non sono amministrate dal centrodestra. Oltre a nominare gli otto componenti dell'Odi (quattro per il governo, quattro per gli enti locali), è lo stesso decreto Berlusconi-Tremonti a regalare a Brancher la poltronissima di "presidente, in rappresentanza del ministero dell'Economia, per i prossimi cinque anni".

L'atto governativo, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 22 marzo, è entrato in vigore d'urgenza la mattina successiva. Appena tre settimane prima, l'onorevole ex dirigente Fininvest si era visto confermare dalla Corte d'appello la condanna a due anni di reclusione, graziati dall'indulto, con l'accusa di aver intascato fondi neri per 827 mila euro. In parte attraverso contratti di comodo intestati a sua moglie Luana; in parte ritirati di persona, in contanti, in luoghi indimenticabili come il parcheggio dell'autogrill di San Giuliano Milanese. Soldi sporchi, perché sottratti alle casse di una banca, la Popolare di Lodi, tra il 2001 e il 2005, quando a guidarla era Gianpiero Fiorani, che dopo l'arresto confessò anche quelle mazzette versate "in cambio dell'appoggio del politico". In luglio la Cassazione ha riconfermato la colpevolezza del deputato, denunciando pure un suo tentativo di far saltare l'udienza finale, inventandosi un domicilio fittizio, nella speranza di salvarsi con la prescrizione, come era riuscito a fare già due volte, ai tempi di Tangentopoli. Tra un processo e l'altro, nel 2001 Brancher è diventato parlamentare, sottosegretario del premier Berlusconi e nel 2010 ministro per 17 giorni, giusto il tempo di avvalersi della legge sul legittimo impedimento, poi dichiarata incostituzionale. Ora è un onorevole pregiudicato. Per reati che dovrebbero sconsigliare di affidargli denaro pubblico: tecnicamente l'appropriazione indebita equivale a un furto aggravato, mentre l'accusa di ricettazione colpisce chi incassa un bottino rubato da altri ladri.

CORSA ALL'ORO
Nonostante questi precedenti penali e nuove accuse recentissime (caso Di Lernia), il decreto Berlusconi-Tremonti ha nominato Brancher presidente non solo dell'Odi, cioè dell'organismo che "fissa gli indirizzi" per distribuire i soldi ai Comuni, ma anche della "Commissione di approvazione dei progetti" (in sigla "Cap"), che valuta concretamente quali giunte beneficiare e con quanto denaro. La "Cap" ha solo quattro membri, per metà scelti a rotazione, ma in modo che il centrodestra abbia sempre una maggioranza di tre a uno. Della cabina di regia fanno parte almeno altri due amici di Brancher. L'immedesimazione tra il nuovo ente e l'onorevole condannato è tanto forte che decine di sindaci veneti e lombardi parlano direttamente di "fondo Brancher", come se i 160 milioni da distribuire fossero suoi. E in tempi di crisi sempre più nera e tagli rovinosi per i Comuni, il tesoretto dell'Odi sta scatenando scene da assalto alla diligenza. Il termine per presentare i progetti di "sviluppo dei territori" scadeva il 30 giugno. Con buona pace delle promesse di evitare una pioggia clientelare di micro-finanziamenti, nella sede dell'Odi risultano "pervenute" almeno 179 buste chiuse, ognuna delle quali può contenere più progetti: 68 da Belluno, 60 da Brescia, 33 da Vicenza, altre 18 da Verona e Sondrio. I dati sono ufficiosi, perché l'Odi per ora non pubblicizza neanche i progetti in gara. Le domande, secondo le prime indiscrezioni, sono le più disparate: centraline energetiche, piste ciclabili, sistemazioni dei sentieri, funivie, strutture turistiche, incentivi all'agricoltura, opere idrauliche... Nel timore di perdere il treno targato Brancher, decine di piccoli comuni, anziché spedire le richieste per raccomandata o per e-mail certificata, hanno preferito la consegna a mano: camion e furgoni stipati di documenti che scendono dalle montagne strombazzando il clacson per arrivare in tempo a Verona, in Lungadige Capuleti 11, negli uffici che ospitano l'Odi e i suoi 15 dipendenti in prestito dal ministero dell'Economia.

(fonte: Espresso)

giovedì 25 agosto 2011

Steve Jobs. Comunque.


[08.24.2011] CUPERTINO, Calif.–To the Apple Board of Directors and the Apple Community:

I have always said if there ever came a day when I could no longer meet my duties and expectations as Apple’s CEO, I would be the first to let you know. Unfortunately, that day has come.
I hereby resign as CEO of Apple. I would like to serve, if the Board sees fit, as Chairman of the Board, director and Apple employee.
As far as my successor goes, I strongly recommend that we execute our succession plan and name Tim Cook as CEO of Apple.
I believe Apple’s brightest and most innovative days are ahead of it. And I look forward to watching and contributing to its success in a new role.
I have made some of the best friends of my life at Apple, and I thank you all for the many years of being able to work alongside you.

Steve

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Al consiglio di Amministrazione di Apple e alla comunità di Apple.

Ho sempre affermato che se fosse venuto il momento in cui non riuscissi più a far fronte ai miei doveri e aspettative, come CEO di Apple, sarei stato il primo a dirlo. Purtroppo questo giorno è arrivato.
Con la presente mi dimetto da CEO di Apple. Vorrei continuare a servire, se il consiglio lo riterrà opportuno in qualità di presidente, amministratore e dipendente di Apple.
Per quanto riguarda il mio successore vi raccomando di eseguire il nostro piano e il suo nome è Tim Cook.
Credo che i giorni più brillanti e innovativi di Apple debbano ancora a venire. Non vedo l’ora di contribuire al suo successo con un nuovo ruolo.
In Apple ho incontrato alcuni dei miei migliori amici, e ringrazio tutti sperando di poter lavorare al vostro fianco ancora per molti anni.

Steve.

mercoledì 24 agosto 2011

...da quale pulpito!


La Manovra economica di luglio e la Manovra- bis di Ferragosto hanno assestato alla famiglia una serie di colpi micidiali. Un serial killer non avrebbe potuto fare meglio. Anziché tassare i patrimoni dei ricchi, coloro ai quali anche un forte prelievo fiscale non cambierebbe la vita, s’è preferito colpire quell’ammortizzatore sociale italiano per eccellenza che è la famiglia. Unico vero patrimonio del Paese. È una politica miope, da “statisti” improvvisati, che non hanno un’idea sul futuro del Paese. Tanto meno pensano al bene comune. Unica loro preoccupazione soddisfare il proprio elettorato. Unico orizzonte le prossime elezioni. Nel frattempo, il Paese va alla deriva e perde credibilità. Una nave senza timoniere.

La stretta economica che si preannuncia provocherà collassi ovunque. Una situazione già insostenibile, che fa scivolare il ceto medio nella povertà. A pagare saranno i soliti noti. Ci si accanisce, ancora una volta, sui lavoratori dipendenti e sugli statali. Questi si vedono, addirittura, minacciata l’abolizione della tredicesima. A pagare un prezzo altissimo è chi ha già dato. Sonni tranquilli, invece, per i più ricchi, gli evasori e i grandi speculatori. Questi ultimi, tra l’altro, sono tra i principali responsabili della crisi finanziaria che sta devastando i mercati e incrementando paurosamente i debiti sovrani dei Paesi dell’Occidente.

Eppure, le indicazioni su alternative fiscali, come una tassa sui grandi patrimoni, non mancano. Di “tesoretti” intoccabili ve ne sono tanti. A cominciare dai centoventi miliardi annui di evasione fiscale. Una cifra definita «impressionante» dal cardinale Bagnasco, presidente dei vescovi italiani. E che ha spinto anche Giorgio Napolitano, al Meeting di Rimini, a lanciare un appello: «Basta con assuefazioni e debolezze nella lotta a quell’evasione, di cui l’Italia ha ancora il triste primato». Per non parlare, poi, dei sessanta miliardi spesi in corruzione e dei novanta miliardi “fatturati” dalla criminalità organizzata. Su cui poco si è intervenuto.

Mentre è in corso l’esame della Manovra economica, è partito l’assalto alla diligenza. Ognuno ha qualcosa da salvare. O da proteggere. I sacrifici si scaricano su chi non ha “santi in paradiso”. O, meglio, nelle Aule parlamentari. Senza equità nei sacrifici, e se non si mira al bene delle famiglie e del Paese, difficilmente ne verremo fuori. Soprattutto se chi può dare un “elevato” contributo troverà modo di sfilarsi dalla solidarietà nazionale. Come i calciatori (ignobili!). Ma anche la casta politica, che danza allegramente sulle macerie del Paese. Vanta sacrifici e riduzioni, ma non dà un taglio risoluto a costi e privilegi, ingiustificati e immorali.

Ancora una volta, i politici cattolici stanno alla finestra. Insignificanti e a corto di idee. Si confondono nel mucchio, per non disturbare i “manovratori”. In entrambi i campi. Spettacolo, anche questo, avvilente.

(fonte: Famiglia Cristiana)

lunedì 22 agosto 2011

Il primo al mondo

Ora che la fine di Gheddafi sembra vicina, il nostro Ministro degli Esteri sta rilasciando dichiarazioni ed interviste di questo tipo


Il primo a telefonare, l'intervento militare che ci ha dato ragione, l'Italia-apripista, è tutto merito nostro, siamo i più fichi di tutti, eccetera eccetera. Io la ricordavo un pochino diversa. 


Non solo per il "trattato di amicizia" con il regime libico di Muammar Gheddafi - fortemente voluto dal Governo Berlusconi - e che impegna l'Italia ad 
... astenersi da ogni ingerenza negli affari interni, nello spirito del buon vicinato ... a non usare né permettere l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia ... a fornire un forte e ampio partenariato industriale nella difesa e nell'industria militare ...
ma soprattutto per alcune dichiarazioni del Ministro Frattini. Proprio lui, ilprimo Ministro degli Esteri al mondo che, l'apripista ... Settembre 2010
I rapporti che l'Italia ha con Gheddafi non li ha nessun altro Paese ... puntando il dito contro la Libia non si ottiene nulla. Noi non lo abbiamo mai fatto, e anche per questo possiamo raggiungere risultati. Gheddafi ci apre le porte di tutta l'Africa. 
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Gennaio 2011
Credo si debbano sostenere con forza i governi di quei Paesi, dal Marocco all'Egitto, nei quali ci sono regimi laici tenendo alla larga il fondamentalismo ... Faccio l'esempio di Gheddafi, un modello per il mondo arabo ... Ha realizzato una riforma dei "Congressi provinciali del popolo": distretto per distretto si riuniscono assemblee di tribù e potentati locali, discutono e avanzano richieste al governo e al leader ... Ogni settimana Gheddafi va lì e ascolta. Per me sono segnali positivi.
Febbraio 2011
Non dobbiamo dare l'impressione sbagliata di volere interferire, di volere esportare la nostra democrazia ... Vi immaginate un emirato islamico ai confini con l'Europa? Questa sarebbe veramente una seria minaccia ... Se tollerassimo che l'economia crollasse in questi paesi saremmo noi i primi a pagarne le conseguenze ... 



LA PROSTATA IDRAULICA DI BERLUSCONI E LA LOTTA DI CLASSE PER DIFENDERE GLI EVASORI


Ciò che fa incazzare più di ogni altra cosa, in questa finanziaria massacra-soliti-noti é che, nella sua follia, obbedisce a una logica granitica: premiare gli evasori e tutelare i già garantiti.

La prostata idraulica di Berlusconi e la bava di quel che resta di Umberto Bossi hanno metaforicamente imposto il diktat delirante che tutela le pensioni dei garantiti, e le rendite in nero dei privilegiati che vivranno sulle spalle dei giovani. Il dogma anti-patrimoniale é costruito per continuare a tutelare il nocciolo duro degli evasori, che non pagano due volte e che possono continuare a maramaldeggiare, con la tracciabilitá a 3000 (2500 ndr) euro (cioè il diritto a lucrare in nero) come gli pare e piace. Gli evasori modello se ne restano nascosti lì, nel mare delle dichiarazioni truffa da venti-trentamila euro, ma poi hanno il panfilo in leasing intestato a una società di comodo.

É bello vedere che la lotta di classe non é morta, e che questa finanziaria ne é un episodio importante. La ruga di Berlusconi, ieri, diceva questo. Far pagare tutti tranne la tribù Arcoriana e poi sperare persino di passare alla storia come “quello che ha salvato il paese“. Illuso. Diceva che non avrebbe messo le mani nelle tasche degli italiani, ha letteralmente rapinato i Tfr di chi ha lavorato una vita. In compenso, visto che di lotta di classe si tratta, ha inserito la norma salva-Fiat. Il Berlusconismo chiude il suo ciclo nel ridicolo

Luca Talese da Il Fatto

(fonte: Dario Fo)

venerdì 19 agosto 2011

Lega contestata, Bossi “scappa” nella notte


Dopo due giorni di insulti e proteste, il leader del Carroccio decide di lasciare il Cadore. "Brutto, brutto, brutto: andiamo via", si sfoga con pochi intimi all'interno di un hotel Ferrovia blindato. Il clima è talmente pesante che la cena per il 64esimo compleanno di Tremonti è spostato all'ultimo secondo nella baita a Lorenzago del ministro dell'Economia“Brutto, brutto, brutto: andiamo via”. Umberto Bossi nella notte decide di lasciare l’hotel Ferrovia di Calalzo di Cadore per timore di altre proteste. Ci sono voluti due giorni di contestazioni dell’ormai ex popolo leghista bellunese e decine di insulti dei passanti, per far comprendere al leader del Carroccio che la base ha superato il limite di sopportazione. Tornare indietro ora è difficile. Da contadino della politica quale è, Bossi ha compreso che non può più salvarsi dal Titanic: affonderà insieme a Silvio Berlusconi.

Mercoledì sera ha dovuto cancellare il comizio in piazza per timore delle proteste leghiste, capitanate dal presidente della Provincia di Belluno che si è presentato con la bandiera dell’ente listata a lutto. Ieri ha ricevuto insulti dalle auto che passavano davanti all’albergo. Si è nascosto per tutto il giorno all’interno insieme a Roberto Calderoli. E i dieci minuti che è uscito per accogliere l’amico Giulio Tremonti, i tre sono stati costretti a farsi circondare da una decina di uomini della scorta. Prigionieri a casa loro. Tanto che ieri sera la tradizionale festa di compleanno del ministro dell’economia all’hotel Ferrovia è stata trasferita all’ultimo minuto (nella speranza di depistare proteste e giornalisti) nella baita di Tremonti a Lorenzago. La stessa baita dove i quattro saggi del centrodestra stilarono il federalismo che fu poi bocciato dagli elettori con il referendum.

La baita è raggiungibile solo attraversando un cancello, ovviamente ieri notte sigillato e sotto stretta sorveglianza. Nascosti nella loro terra, in fuga dagli ex elettori che per venti anni hanno regalato alla Lega la sensazione di potere e immortalità che adesso comincia a franare. Alberto da Giussano non può fare nulla, l’inesistente Padania comincia a essere ridimensionata agli occhi di Bossi. Le proteste fanno male. Anche ieri per tutto il giorno è stato un continuo susseguirsi di manifestazioni e contestazioni davanti all’albergo. Dal sindaco Pdl del Comune di Calalzo al presidente provinciale di Confcommercio, dagli ex leghisti e autonomisti, al Pd ai cittadini. Qui era impensabile fino a pochi mesi fa che qualcuno potesse criticare il Capo. All’hotel Ferrovia di Gino Mondin era un continuo pellegrinaggio di complimenti, mani da stringere, baci e foto ricordo tutti sorridenti col ministro leghista di turno. Dalle macchine che passavano davanti all’albergo è sempre stato un “viva Bossi, viva la Lega”. Da due giorni invece la strada è piena di contestatori e manifestanti. E dalle auto il conducente più delicato gli ha gridato contro “cialtrone”.

Il livello di sopportazione è ampiamente superato, ma la realtà non ha ancora preso forma nella mente del Carroccio. Il nervosismo è palpabile. A un giornalista della Rai regionale che lo segue imperterrito persino all’inaugurazione di una piccolissima centrale elettrica, Bossi si mostra molto infastidito. “Vaffanculo, siete anche qui”.

Così, dopo essersi nascosto per tre giorni, Bossi sceglie di scappare. Lo fa di notte. Mentre cenava nella baita, poco dopo le una di questa mattina, i sei uomini della scorta del leader leghista hanno pagato il conto dell’albergo (che era prenotato per Bossi fino a venerdì), fatto le valigie, caricato le macchine. Poi sono andati a prelevare il Capo e lo hanno portato lontano dalle contestazioni. Presumibilmente a Gemonio, a casa sua. Dove almeno una bandiera della Lega rimarrà alta: quella che ha nel suo giardino.

Calderoli è invece rimasto a dormire in albergo perché G., il figlio della compagna Gianna Gancia (presidente della Provincia di Cuneo) ha undici anni ed era stanco. Partiranno all’alba, ha fatto sapere il ministro per la Semplificazione. Quando i giornalisti presumibilmente dormiranno e, soprattutto, i contestatori non saranno tornati qui davanti.

A ripercorrere gli eventi di questi tre giorni appare evidente come la Lega deve fare i conti con una inaspettata realtà: non ha più il polso del territorio. La base è stanca, non ne può più di leggi ad personam, nuove tasse. Da mesi gli elettori del Carroccio chiedono a Bossi di staccare la spina al governo e lasciare Berlusconi. La base lo ha chiesto talmente ad alta voce attraverso i canali consueti, che il Carroccio invece di dialogare con i malpancisti, ha preferisco censurarli chiudendo persino gli interventi liberi a Radio Padania. Ora è troppo tardi. Berlusconi non si può più scaricare. Ed è lo stesso Senatùr ad averlo compreso. “Silvio ha vinto grazie a noi e ora noi perdiamo grazie a lui”, si è confidato in uno sprazzo di spietata lucidità. Il gioco è finito. Le proteste fanno male. Meglio tornare a casa, durante la notte. Al buio, di soppiatto, senza farsi vedere da nessuno.

Affidatevi a lui

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L’ultima, disperata trincea della propaganda di governo di fronte al collasso dell’economia nazionale che ci sta lasciando in canottiera e mutande (per fortuna almeno quelle Sua Eccellenza il Ministro Bossi Umberto ce le ha risparmiate) è dire che ormai la finanza ha preso il sopravvento sulla politica e può fare carne di porco. Ma chi, se non la politica ha messo la finanza in condizione di fare carne di porco? E adesso dovrebbero essere loro, questi clown da circo di provincia che oscillano fra l’incompetenza e la disonestà giocando alla demagogia da bocciofila, a riparare i guasti che hanno provocato, magari quando ci spiegavano, come fossimo bambini deficienti, che era tutta una cosa “psicologica”, che “la crisi era superata” e “l’Italia ne era uscita meglio degli altri?”.

Il cervello elettronico ora imita quello umano

Il cervello elettronico ora imita quello umano

di ALESSANDRO LONGO

Un circuito che imita le funzioni del sistema nervoso: è il progetto SyNapse, appena presentato da Ibm. I futuri sistemi cognitivi rivoluzioneranno la scienza grazie a una capacità di calcolo e memoria sovrumane

È IL PRIMO PASSO concreto verso un futuro in cui i computer ragioneranno come il cervello umano, grazie a reti neurali di sinapsi, che apprenderanno dall'esperienza e dall'ambiente. La promessa è risolvere problemi trovando un ordine, adesso invisibile, nella complessità del reale.

È il risultato del progetto SyNapse, della storica azienda informatica Ibm, con la collaborazione di quattro università americane e finanziato dallo stesso governo americano. Che ha appena presentato i primi due prototipi di chip che funzionano come un cervello. Imitano infatti il sistema nervoso: sono fatti di nodi che elaborano le informazioni, alla stregua di neuroni digitali, collegati a memorie integrate che simulano le sinapsi.

È una grossa differenza rispetto al modo con cui funzionano ora i computer, i quali elaborano le informazioni in modo meccanico e sequenziale. Un bit dopo l'altro, in base a un programma predefinito. È un limite strutturale e storico dell'informatica: risale agli anni '40, quando sono state poste le basi dei primi computer.

Il chip neurale va oltre perché è in grado di elaborare le informazioni in parallelo e di adattarsi all'ambiente, un po' come fa il cervello di uomini e animali. L'apprendimento equivale in fondo a creare e rafforzare collegamenti sinaptici tra le cellule del cervello (i neuroni). SyNapse simula questo meccanismo: i chip neurali sono fatti in modo da prestare maggiore o minore attenzione a certi segnali di input, in base alla loro importanza, che cambia in misura di nuovi eventi ed esperienze.

È questa in fondo la filosofia del "computing cognitivo", una branca dell'informatica, che ora con SyNapse fa un grosso passo avanti; ma la strada per il debutto sul mercato è ancora lunga. Se i nuovi prototipi sono i primi mattoni, a mancare è tutto il resto dell'edificio, per creare il computer del futuro: serviranno ancora anni. Ma adesso c'è ottimismo.

Tanto che l'agenzia governativa Darpa, soddisfatta dei risultati, ha annunciato che finanzierà SyNapse con altri 21 milioni di dollari, per un totale finora di 41 milioni. Il progetto va avanti e si prevede che il prodotto finale sarà grande quanto una scatola di scarpe, consumerà mille watt e avrà dieci milioni di "neuroni".

La posta in gioco è del resto molto importante. Per ora i prototipi riescono al massimo a gestire una partita di ping pong, ma i futuri computer cognitivi possono rivoluzionare la scienza, essendo in grado di analizzare la realtà con un'intelligenza (quasi) umana. Unita a una capacità di calcolo e di memoria ovviamente sovraumane. Non sostituiranno i computer tradizionali, probabilmente, ma vi si affiancheranno. Per esempio potrebbero trovare una legge che spieghi e preveda certi fenomeni atmosferici. O economici: le prossime crisi forse non ci coglieranno così alla sprovvista.

Un'altra promessa è che i computer cognitivi ci aiuteranno finalmente a capire alcuni meccanismi dello stesso cervello umano, ancora imperscrutabili. Malattie psichiche e psichiatriche potrebbero trovare una spiegazione e forse una cura. C'è lo studio e il trattamento dell'autismo infantile, del resto, tra gli scopi di uno dei principali progetti italiani di computing cognitivo: iCub, un robot umanoide realizzato dall'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.

Grazie agli algoritmi del proprio software, si adatta all'ambiente circostante, imparando nuove funzioni.
Ma il sospetto è che un sistema veloce come un computer e intelligente come un uomo potrà anche entrare in armi per guerre future. Nessuna sorpresa. Dopo tutto, il Darpa è l'agenzia di ricerca scientifica della Difesa americana.

(fonte: Repubblica)

martedì 16 agosto 2011

Qualcosa è cambiato

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Quelle facce. Non le sopporto più. Non le posso più vedere. Mi danno la nausea, il vomito, il rigetto. Che l'Italia sia fallita lo posso accettare. Ma questi dilettanti con i loro sorrisi da maiali e da furetti non riesco più a sopportarli. Pagherei qualunque tassa, farei qualunque sacrificio per evitare quei ghigni da stronzo che compaiono ogni sera in televisione, ogni mattina in 10 pagine di giornale. Di buoni a nulla che si atteggiano a statisti.
Qualcosa si è rotto dentro di me, forse dentro tanti di voi. Qualcosa è cambiato. Il Paese ha capito di essere guidato da incapaci e da disonesti, forse lo sapeva già, ma pensava a un cambio della guardia dolce, come avviene in molti fallimenti. I responsabili si defilano, raggiungono la porta, non si fanno più vedere. E lo capisci, li lasci andare. Domani è un altro giorno e si può pensare a ricostruire. Invece questi traditori dell'economia nazionale che hanno indebitato il Paese e negato la catastrofe con una improntitudine degna del massimo disprezzo, questi gaglioffi non si schiodano, non mollano neppure un centimetro del loro potere. Io non sono violento, ma cerco di prevedere gli eventi. La Storia non solo non si ferma, ma si ripete. Quando incontra un muro sul suo percorso lo butta giù. E' avvenuto con il muro di Berlino, ma anche con la testa di Luigi XVI e con la famiglia dello Zar. Eventi che, a posteriori, erano del tutto spiegabili. Craxi è scappato. Allora i ladri si potevano condannare e indurre alla fuga. Oggi i parlamentari condannati, anche quando i tribunali ne chiedono l'arresto, come è avvenuto per Cosentino e per Tedesco, continuano a sedere alla Camera e a incassare 20.000 euro al mese tra stipendio e benefit. Ma queste sarebbero quisquilie, bazzecole se non continuassero a imporci la loro presenza.
Devono togliersi dalla vista dei cittadini, definitivamente. Vadano dove vogliono, ad Antigua, ad Hammamet, a Vancouver. Guardo Enrico Letta, con quel sorriso da spretato, Calderoli con la faccia da chi ha vinto un salame alla lotteria di paese e Bossi, Maroni, Bersani, Veltroni, D'Alema, Brunetta con i loro volti da pluri ripetenti al Cepu. Mi fanno tirare su anche l'anima. Se ne devono andare. Non c'è bisogno del giudizio dell'Economist o di Nouriel Roubini per capire che la classe politica è il primo problema del Paese. Ha fatto il suo tempo e puzza di muffa, di rancido. Sono i coproliti della seconda Repubblica. Li vedete e vi mettete un dito in bocca per liberare lo stomaco. E' ormai una questione che trascende la politica e l'economia. E anche l'etica e la morale. E' una questione di puzza. Una puzza nauseabonda che non è possibile sopportare oltre. E anche di estetica, certe facce ripugnano. L'Italia può crollare, è successo altre volte ed è sempre ripartita, ma questa classe politica se ne deve andare senza voltarsi indietro e senza eccezioni.

(fonte: Beppe Grillo)

domenica 14 agosto 2011

Ma come fanno i marinai?


“Era una promessa da marinaio escludere, appunto “tassativamente”, che il governo Berlusconi potesse mai prelevare quattrini dalle nostre tasche a fronte del debito pubblico”. Noooo? Non lo scrivono la “vulgata di sinistra”, il “giornalista collettivo”, il “conformista de sinistra”, l’odiata “Repubblica”, la “pubblicistica alle vongole” per usare alcuni dei luoghi comuni cari ai desesperados che si ancora affannano attorno al Caro Estinto per fingere che sia vivo, ma lo scrive uno della sua ciurma, direttore e trombone di uno dei giornaletti di famiglia, anche se semiclandestino. Appunto, come tentasi invano di dimostrare da anni e qui si ripetere con ostinata disperazione, prima di essere un cialtrone, una vergogna nazionale, un inetto amministratore del bene pubblico, un truffatore e corruttore di giudici e di parlamentari che fa politica per difendere il proprio fienile fregandosene se bruciano i fienili degli altri, un organizzatore di orgette da ginnasiale settuagenario mai divenuto adulto con troppi soldi e poi tutto quello che volete aggiungere, Silvio Berlusconi è un B U G I A R D O patologico. Ma a noi, o a quelli che sopravviveranno al disastro, toccherà per forza comperare da lui un’auto usata a pezzi chiamata Italia, uno di quei catorci che il venditore farabutto vi racconta che ha appena 10 mila chilometri ed era stata usata soltanto da nonna Elvira per andare a messa alla domenica.

giovedì 11 agosto 2011

Cavaliere, ci consenta!


Quarant’anni fa Jean Paul Sartre si opponeva all’unificazione europea, perché sospettava e temeva che il risultato finale sarebbe stata non un’integrazione politica ed economica dei vari paesi dell’Unione, ma un’egemonia neocapitalista franco-tedesca sui rimanenti.

Il tracollo di Grecia, Spagna e Portogallo dapprima, e dell’Italia ora, conferma le sue previsioni. Il tandem guidato da Sarkozy e dalla Merkel sta infatti imponendo al resto dell’Europa, e in particolare a noi, misure ultra-liberiste che non si discostano molto da quelle già imposte per decenni dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale ai paesi in via di sviluppo, costretti dalle loro difficoltà economiche a chiedere l’aiuto di queste vampiresche e imperialistiche organizzazioni.

Naturalmente, le misure richieste non dispiacciono affatto a Berlusconi e Tremonti, che si sono affrettati a presentare come passi inevitabili la privatizzazione selvaggia degli enti e dei beni pubblici, la riforma radicale del sistema pensionistico, l’abbattimento dei vincoli e dei controlli alla cosiddetta ‘libertà d’impresa’ e lo smantellamento di ciò che ancora rimane dello statuto e dei diritti dei lavoratori.

Inutile dire che quelle misure non sono affatto necessarie (e probabilmente nemmeno sufficienti) per il superamento della crisi, benché come tali vengano presentate. Lo dimostrano, ad esempio, le analisi del premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che da anni si oppone alle analoghe misure imposte dal FMI e dalla BM (di cui egli era stato un contrastato vicepresidente).

Nello specifico, se in Italia ci fosse una sinistra degna di questo nome, e non solo una sua indegna caricatura, essa cercherebbe di imporre, o almeno di proporre, una svolta radicale in direzione neosocialista, o almeno neosocialdemocratica. In particolare, ricordando al governo che i 50 miliardi di euro di cui ha immediatamente bisogno, e le centinaia che dovranno seguire, si potrebbero reperire spolpando le ossa non delle classi lavoratrici e produttive, ma di quelle speculatrici e parassitarie.

Ad esempio, facendo restituire alle banche gli enormi finanziamenti che hanno permesso il loro salvataggio allo scoppiare della crisi nel 2008. Tassando le rendite azionistiche e i patrimoni dei ricchi, invece che i consumi dei poveri. Scatenando una guerra senza presa di prigionieri all’evasione fiscale, invece di giustificarla e addirittura fomentarla. Chiudendo i rubinetti delle miliardarie elargizioni annuali al Vaticano, alla Chiesa e agli enti religiosi. E soprattutto concentrando gli aiuti sui servizi e le infrastrutture sociali, invece che sulle imprese e il commercio privati.

Sappiamo bene, ovviamente, che non una di queste misure verrà proposta, e meno che mai attuata. E che la crisi sarà invece sfruttata come scusa per la restaurazione del capitalismo selvaggio, e lo smantellamento dello stato sociale. Ma possiamo almeno ricordare che nel 1929 le cose sono andate in un altro modo, e che dunque potrebbero andarci anche oggi, se solo al posto di Berlusconi (e anche di Obama) ci fosse un Roosevelt. Che però, purtroppo, non c’è…

lunedì 8 agosto 2011

Il podestà forestiero. Editoriale di Mario Monti del 7 agosto 2011.


I mercati, l'Europa. Quanti strali sono stati scagliati contro i mercati e contro l'Europa da membri del governo e della classe politica italiana! «Europeista» è un aggettivo usato sempre meno. «Mercatista», brillante neologismo, ha una connotazione spregiativa. Eppure dobbiamo ai mercati, con tutti i loro eccessi distorsivi, e soprattutto all'Europa, con tutte le sue debolezze, se il governo ha finalmente aperto gli occhi e deciso almeno alcune delle misure necessarie.
La sequenza iniziata ai primi di luglio con l'allarme delle agenzie di rating e proseguita con la manovra, il dibattito parlamentare, la riunione con le parti sociali, la reazione negativa dei mercati e infine la conferenza stampa di venerdì, deve essere stata pesante per il presidente Berlusconi e per il ministro Tremonti. Essi sono stati costretti a modificare posizioni che avevano sostenuto a lungo, in modo disinvolto l'uno e molto puntiglioso l'altro, e a prendere decisioni non scaturite dai loro convincimenti ma dettate dai mercati e dall'Europa.

Il governo e la maggioranza, dopo avere rivendicato la propria autonoma capacità di risolvere i problemi del Paese, dopo avere rifiutato l'ipotesi di un impegno comune con altre forze politiche per cercare di risollevare un'Italia in crisi e sfiduciata, hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un «governo tecnico». Le forme sono salve. I ministri restano in carica. La primazia della politica è intatta. Ma le decisioni principali sono state prese da un «governo tecnico sopranazionale» e, si potrebbe aggiungere, «mercatista», con sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York.

Come europeista, e dato che riconosco l'utile funzione svolta dai mercati (purché sottoposti a una rigorosa disciplina da poteri pubblici imparziali), vedo tutti i vantaggi di certi «vincoli esterni», soprattutto per un Paese che, quando si governa da sé, è poco incline a guardare all'interesse dei giovani e delle future generazioni. Ma vedo anche, in una precipitosa soluzione eterodiretta come quella dei giorni scorsi, quattro inconvenienti.

Scarsa dignità . Anche se quella del «podestà forestiero» è una tradizione che risale ai Comuni italiani del XIII secolo, dispiace che l'Italia possa essere vista come un Paese che preferisce lasciarsi imporre decisioni impopolari, ma in realtà positive per gli italiani che verranno, anziché prenderle per convinzione acquisita dopo civili dibattiti tra le parti. In questo, ci vorrebbe un po' di «patriottismo economico», non nel fare barriera in nome dell'«interesse nazionale» contro acquisizioni dall'estero di imprese italiane anche in settori non strategici (barriere che del resto sono spesso goffe e inefficaci, una specie di colbertismo de noantri ).

Downgrading politico . Quanto è avvenuto nell'ultima settimana non contribuisce purtroppo ad accrescere la statura dell'Italia tra i protagonisti della scena europea e internazionale. Questo non è grave solo sul piano del prestigio, ma soprattutto su quello dell'efficacia. L'Unione europea e l'Eurozona si trovano in una fase critica, dovranno riconsiderare in profondità le proprie strategie. Dovranno darsi strumenti capaci di rafforzare la disciplina, giustamente voluta dalla Germania nell'interesse di tutti, e al tempo stesso di favorire la crescita, che neppure la Germania potrà avere durevolmente se non cresceranno anche gli altri. Il ruolo di un'Italia rispettata e autorevole, anziché fonte di problemi, sarebbe di grande aiuto all'Europa.

Tempo perduto . Nella diagnosi sull'economia italiana e nelle terapie, ciò che l'Europa e i mercati hanno imposto non comprende nulla che non fosse già stato proposto da tempo dal dibattito politico, dalle parti sociali, dalla Banca d'Italia, da molti economisti. La perseveranza con la quale si è preferito ascoltare solo poche voci, rassicuranti sulla solidità della nostra economia e anzi su una certa superiorità del modello italiano, è stata una delle cause del molto tempo perduto e dei conseguenti maggiori costi per la nostra economia e società, dei quali lo spread sui tassi è visibile manifestazione.

Crescita penalizzata . Nelle decisioni imposte dai mercati e dall'Europa, tendono a prevalere le ragioni della stabilità rispetto a quelle della crescita. Gli investitori, i governi degli altri Paesi, le autorità monetarie sono più preoccupati per i rischi di insolvenza sui titoli italiani, per il possibile contagio dell'instabilità finanziaria, per l'eventuale indebolimento dell'euro, di quanto lo siano per l'insufficiente crescita dell'economia italiana (anche se, per la prima volta, perfino le agenzie di rating hanno individuato proprio nella mancanza di crescita un fattore di non sostenibilità della finanza pubblica italiana, malgrado i miglioramenti di questi anni). L'incapacità di prendere serie decisioni per rimuovere i vincoli strutturali alla crescita e l'essersi ridotti a dover accettare misure dettate dall'imperativo della stabilità richiederanno ora un impegno forte e concentrato, dall'interno dell'Italia, sulla crescita.

Mario Monti

martedì 2 agosto 2011

Di Bologna in Bologna


No, non parlerò della strage di Bologna, e non perché voglia scordare, ma proprio perché mi ricordo. Mi ricordo così bene da aver provato un fastidio epidermico, questa mattina, leggendo tanta gente che si sente ancora offesa dall’assenza dello Stato. Quale Stato? Quello che tutti sappiamo essere Stato lui.

Non ne parlo, come non parlo delle innumerevoli commemorazioni dei Giudici Falcone e Borsellino, e anche in questo caso solo perché mi ricordo, e ho rispetto del loro sacrificio umano, e perché ancora una volta, sappiamo bene chi è Stato.

L’ultima volta a Bologna mandarono bondi l’uomo di pezza, quello buono per ogni insulto e per ogni occasione, con la sua faccia di gomma, pronto ad immolarsi per il suo signore. Poi più nulla, come vuole il potere arrogante, che può persino ammettere di proteggere l’idea di una strage fascista, se non gli autori stessi.

Non ne parlo perché mi sono stufata di un popolo che finge di essere ogni anno e ogni volta un’educanda, che cade dalle nuvole ogni anno allo stesso modo, senza mai rompersi la schiena. E poi son stufa dello stupore un tanto al chilo per le cose che non dovrebbero stupire più, ma esser combattute.

Ogni giorno dovrebbe essere non quello dello stupore, ma quello della lotta. Ogni giorno, volendo, avremmo un motivo per scattare, per ritrovarci coi forconi davanti al parlamento, ma siamo tutti qua davanti alle nostre vite che s’intasano di preoccupazione e fatica, troppo impegnati a sopravvivere per concentrarci su chi ci sta uccidendo, così impegnati, che forse è meglio fingere di indignarci perché gli assassini non commemorano le loro vittime.

Se ci guardassimo bene attorno, ogni giorno dovremmo commemorare noi stessi che siamo vittime e carnefici di questo Stato di cose. Domani un mafioso andrà in Parlamento, sfidando le ire delle signore che lo troveranno ingrassato, per parlare finalmente della crisi economica. Dirà che ha esautorato il ministro che aveva fatto troppi tagli, forse ne metterà in dubbio anche l’onestà, visto che senza mezzi termini aveva annunciato che non avrebbe fatto nulla per tenerlo fuori dai guai, allontanandolo dalla Cosca, levandogli la protezione del padrino. Dirà che ha un piano, che il ponte sullo Stretto di Messina si farà, che il CIPE elargirà i fondi per le grandi opere, e le banche – della mafia – si sentiranno nuovamente tutelate, al punto che forse riprenderanno a salire anche le borse.

Se non sarà così, allora ci resta la speranza di avere al fine un nuovo anniversario da festeggiare: quello in cui la mafia – lo stato – gli avrà fatto fare la fine di Salvo Lima.

Questo penso, questo è.

(fonte: Rita Pani)