Da oggi la cura preventiva del direttore del Servizio pubblico è legge. Limiti, picchetti e divieti: dal contraddittorio alla partecipazione del pubblico in studio
La Rai ha cucito l’ennesimo pezzo di bavaglio. Con la disperazione di un dirigente sconfitto, Mauro Masi ha chiesto il voto del Consiglio sulla circolare del 20 settembre scorso. Limiti, picchetti e divieti sparsi qua e là: e il Consiglio ha risposto con entusiasmo, compatta la maggioranza (5 sì), meno compatta l’opposizione (3 no) e l’astensione del presidente Paolo Garimberti, strano alleato del direttore generale. Da oggi la censura preventiva di Masi è legge per viale Mazzini. Il bavaglio stringe sul contraddittorio: “I talk-show devono garantirlo sempre e nella stessa trasmissione”. Tradotto: se un opinionista dice bianco, un secondo opinionista dirà nero. Non importa l’argomento né la discussione. Così vuole Masi. Come vuole, anzi pretende che il “pubblico in studio, selezionato da strutture aziendali, sia parte non attiva”. Niente applausi. E poi, un po’ fuori stagione (o forse preveggente), il direttore generale introduce la par condicio, i cronometri che fanno impazzire i conduttori in campagna elettorale: “Le interviste ai partecipanti devono essere realizzate in sequenza di contraddittorio assicurando tendenzialmente a ciascun ospite lo stesso tempo di parola”. Masi cerca di scrivere le scalette, intervenire sui contenuti delle trasmissioni e, per citare la metafora di Santoro, ordina ai giornalisti di fare un bicchiere-programma come l’azienda comanda. E chi sgarra? Verrà multato. Oppure sanzionato: ogni volta Masi guarderà la Rai con la circolare in mano, ogni volta cercherà di sospendere i “reprobi”. Siccome le mosse del direttore generale servono per ostacolare Annozero, il primo giornalista “contestato” sarà Michele Santoro. Perché Masi ha aperto un cineforum in Consiglio e proiettato l’introduzione di Santoro: “Ascoltate. L’ha detto in diretta su Raidue”. E oggi ritorna Annozero con Vauro e Travaglio ancora senza contratto e con il Pdl che prepara un esposto all’Agcom per la scorsa puntata.
Ora aspettando la procedura disciplinare di Masi, le accuse e le difese delle parti e l’eventuale sospensione (giorni, settimane?), il bavaglio si chiama circolare. Ma per Garimberti è una delibera sul pluralismo, può andar bene, anche perché Masi ha promesso che il bavaglio sarà esteso ai telegiornali. La posizione neutra del presidente – astenuto e non contro la circolare – fa irritare una parte dell’azienda e così, pur senza proferire parola, “ambienti vicini” fanno scivolare una nota da azzeccagarbugli: sì, no, forse, però. Ma senza perifrasi, il consigliere Rizzo Nervo suona la sveglia: “La circolare del dg è in molte delle sue parti sbagliata e rischia di imbavagliare i programmi di approfondimento informativo. L’aspetto più grave è che rende ordinario il regime di par condicio, che la stessa legge invece considera eccezionale e lo limita, infatti, al solo periodo di campagna elettorale. Proprio perché ultra legem – sottolinea il consigliere – la considero inapplicabile essendo prevalenti i principi di libertà e autonomia garantiti agli operatori del servizio pubblico da una consolidata giurisprudenza costituzionale”. Per il sindacato Usigrai la legge di Masi vale zero: “Il pluralismo non si garantisce con il bavaglio. Inviteremo a disapplicarla se in contrasto con norme molto chiare. Siamo anche pronti a coinvolgere nella questione l’Ordine del giornalisti”.
(fonte: Il Fatto Quotidiano)
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