Per chi è interessato, il testo del mio breve intervento mercoledì 12 gennaio all’incontro di Roma «La ‘giusta’ direzione».
Vorrei partire questa sera da una ricerca dell’Ispo secondo la quale in Italia il 70 per cento dei cittadini che oggi non andrebbero a votare sono contro il governo Berlusconi (contro il 17 per cento di favorevoli al Cavaliere).
Anche tra gli “indecisi” (cioè quelli che non sanno per chi votare) prevale di molto – 59 contro 20 – chi è contro il premier.
Questo significa che c’è un bacino potenziale per il Pd e i suoi alleati di quattro-cinque milioni di elettori in piu.
Questi quattro-cinque milioni di elettori potenziali, però, il Pd non riesce a conquistarli.
Le ragioni sono molte, ma io vorrei prendere come esempio – che in realtà è qualcosa di più di un semplice esempio – il corteggiamento che il Pd sta facendo all’Udc e agli ex missini.
Il messaggio mediatico che da queste profferte arriva è che il Pd non ha un suo ideale politico, infatti insegue chi è completamente diverso; che il Pd è un partito debole perché solo chi è molto debole insegue un altro partito che ancora non esiste e se esistesse varrebbe un quarto dei suoi voti; e – ancora – che il Pd sembra disposto ad accordi con chiunque – da Lombardo a Fini – pur di tornare al governo.
Il percepito insomma non è che il Pd vuole migliorare qualcosa nel paese, ma solo riprendere il proprio posto nelle stanze del potere.
Ma ovviamente il problema va molto aldilà del corteggiamento al Terzo Polo.
Il problema è che nell’era in cui la trasparenza e la reputazione trainano in modo vincente l’economia e la politica, risultano perdenti invece le oscurità, le incertezze, i dubbi, le idee tiepide.
Per vincere bisogna avere il coraggio di avere e di comunicare idee forti e determinate, semplici e decise.
E non è difficile.
Bisogna dire, ad esempio, che nella società che vogliamo non è accettabile che le rendite finanziarie e quelle da capitale siano tassate in modo così abissalmente inferiore rispetto ai redditi da lavoro.
Bisogna dire che nella società che vogliamo non è accettabile che un amministratore delegato guadagni cinquecento o mille volte di più di un suo addetto medio, pagando in percentuale meno imposte, perché questo è un ritorno al feudalesimo, altro che modernità; e che un’economia davvero moderna è fondata sul coinvolgimento ideativo e creativo di tutti coloro che contribuiscono a un prodotto, non sul ricatto e sulla lotta di classe contro i propri collaboratori.
Bisogna avere il coraggio di dire che una società dev’essere fondata sui meriti, sui talenti, e sulla creatività per produrre ricchezza e su regole di solidarietà certe e inderogabili per redistribuirla.
Ma bisogna avere il coraggio anche di dire che il lavoro è già e sarà sempre di più solo una parte delle nostre vite e che la politica ha il compito di liberare il nostro diritto alla felicità anche nel resto della nostra esistenza.
Bisogna dire che tra i valori fondanti della società che vogliamo ci sono parole come fantasia, decentralizzazione, piacere, autoespressione, avversione all’autoritarismo alla burocrazia, al dirigismo.
Bisogna avere il coraggio di dire che vogliamo un paese in cui chiunque possa avere una famiglia indipendentemente dalle sue preferenze sessuali, perchè fra trent’anni farà ridere un paese che attribuisce diritti civili diversi a seconda della sessualità, proprio come oggi consideriamo assurdo attribuire diritti civili diversi a seconda del colore della pelle.
Bisogna dire che il diritto a Internet oggi è fondamentale come il diritto alla scolarità negli anni 50, perché in una società aperta la rete è uno straordinario strumento di mobilità e di emancipazione sociale.
Bisogna avere il coraggio di dire anche che nessun eletto deve guadagnare più di quello che guadagnava con il suo lavoro precedente, e che per tutti gli altri ci vuole un tetto molto più sobrio di quelli attuali, perchè la politica non è uno strumento di arricchimento – e il potere è solo un mezzo necessario per realizzare gli ideali in cui crediamo. E, questa non è una frase di Beppe Grillo: ma di Enrico Berlinguer,1983.
Bisogna avere il coraggio di dire che il Pd ha sbagliato a non fare una legge sul conflitto d’interessi e poi a cercare il dialogo con Berlusconi: ammettere i propri errori nella società della reputazione non è una sconfitta, ma al contrario è una dimostrazione di forza.
Bisogna avere il coraggio di dire quindi che la priorità del Pd oggi non è allearsi con Casini o con Vendola, ma quella di allearsi, finalmente, con i suoi elettori.
(fonte: Piovono Rane)
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