Gerardo Coco
Le economie dei G20 ristagnano da tre anni senza che le colossali manovre monetarie e altre misure interventistiche statali abbiano minimamente avuto effetti sul miglioramento delle capacità produttiva dei rispettivi paesi. E’ infatti l’incremento della produzione e della produttività e non quella dei consumi, a caratterizzare una autentica ripresa. Su questo aspetto le grandezze macroeconomiche nominali dei PIL sono fuorvianti.Ad es. negli USA la registrazione di un incremento del 3.2% dei consumi nel quarto trimestre del 2010, salutato come un segnale di crescita dell’economia, non rappresenta altro che pura inflazione determinata dal deficit e dagli stimoli monetari della Riserva Federale.
La realtà è che le manovre monetarie e politiche fiscali espansive sono incompatibili con la crescita economica e ne creano solo l’illusione.
L’espansione monetaria creata dalla banca centrale americana non ha manifestato ancora i suoi effetti distruttivi all’interno perché l’inflazione viene, per ora, esportata all’esterno. Infatti, il dollaro godendo della invidiabile posizione di valuta di riserva, cioè di mezzo di pagamento internazionale, non segue le regole delle altre valute e permette agli Stati Uniti di indebitarsi, spendere e consumare più di quello che guadagnano e producono semplicemente perché la FED crea i dollari dal nulla. In questo modo gli USA possono espropriare risorse degli altri comprando beni e servizi all’estero con un potere d’acquisto fittizio come potrebbe fare qualsiasi contraffattore che clona una valuta a costo zero e la spende nel mercato a spese del potere d’acquisto degli altri. L’eccesso di dollari torna poi in patria per essere trasformato in titoli del tesoro cosicché i partner degli USA con gli stessi dollari finanziano il loro deficit incoraggiando un irresponsabile consumo di risorse. Essi hanno infatti poco incentivo ad usare il surplus di dollari per acquistare beni e servizi in quanto negli ultimi decenni le industrie americane hanno perso completamente competitività. Ma cosa succede alle valute dei partner degli USA? I dollari ottenuti in cambio dei beni esportati devono essere convertiti nelle rispettive valute per effettuare gli acquisti all’interno. Se le forze di mercato operassero liberamente, l’eccesso di dollari alzerebbe il prezzo delle valute con cui il dollaro si scambia e rivalutandosi rispetto a quest’ultimo farebbero rincarare il valore delle loro esportazioni. Per evitare il peggioramento delle ragioni di scambio, l’unica opzione a disposizione dei partner è quella di abbassare artificialmente il valore delle proprie valute attraverso espansioni monetarie competitive. Per mantenere stabile il cambio essi devono acquistare il surplus di dollari ricorrendo deliberatamente al quantitative easing. Quindi, quando la Federal Reserve apre il rubinetto dei dollari anche le altre banche centrali aprono quello delle proprie valute. I dollari acquistati vengono parcheggiati in titoli del tesoro permettendo così agli USA di mantenere bassi i tassi di interesse e di continuare a vendere il proprio debito. Tutto questo processo porta danni incalcolabili alle economie perché fa scattare un’inflazione mondiale “sincronizzata”.
In questo modo le banche centrali dei G-20 hanno pompato nell’economia un oceano di liquidità che non avendo alcuna relazione con i processi di produzione della ricchezza porta alla crescita dei prezzi delle materie prime, dei generi alimentari, del gonfiamento dei prezzi di borsa creando nei mercati effimere illusioni di prosperità. Di tutto questo, nel salotto economico di Davos naturalmente ci si è ben guardati dal parlarne.
L’ inflazione monetaria è, naturalmente anche il precursore di nuove bolle perché il denaro di nuova creazione filtra nelle economie prima di tutto attraverso il settore delle attività finanziarie incentivando investimenti speculativi, puntellando posizioni viziate, elargendo sussidi a gruppi privilegiati ed aggravando l’indebitamento generale fino all’esplosione di nuove crisi. I cosiddetti squilibri globali (global imbalances) non sono determinati da quelli delle bilance dei pagamenti come si racconta, ma sono le creature delle irresponsabili e metodiche politiche di manipolazione monetaria. Ai surplus commerciali dei paesi esportatori non corrisponde infatti un surplus di risparmio da investire nei paesi importatori ma dei fondi creati dalle banche di emissione che non costituiscono capitale perché non sono la controparte di una riduzione di consumi nel paesi con deficit commerciale. D’altra parte i tassi di cambio che dovrebbero riflettere il rapporto tra i poteri d’acquisto reali fra le valute vengono falsati dalle relative velocità di aumento delle espansioni monetarie che a loro volta ne determinano la velocità di svalutazione. Più un paese aumenta l’espansione monetaria, cioè la circolazione complessiva in rapporto alla produzione reale, più velocemente svaluta la propria moneta ed il suo potere d’acquisto. E poiché, in definitiva, le esportazioni si pagano con le importazioni, per uno stesso ammontare di importazioni si ottengono minori esportazioni. In breve, il paese esportatore si arricchisce di valuta ma impoverisce in termini di beni e servizi che riceve, cioè in termini di ricchezza reale. In un contesto di tassi fluttuanti e di guerra valutaria (dirty floating), chi sostiene che è l’espansione delle esportazioni a generare lo sviluppo economico assume implicitamente che un aumento delle esportazioni comporti automaticamente un aumento dei risparmi e quindi di stock di capitale, il che non è vero. Una valuta di un paese esportatore che perde valore abbassa le sue ragioni di scambio e ciò significa che dovrà esportare di più per ottenere lo stesso ammontare di beni, il che equivale a produrre di più ma ad essere pagati di meno. Un paese che gode di un genuino sviluppo economico, non è necessariamente quello che esporta di più ma quello in cui la produttività ed i redditi reali crescono più velocemente e perché ciò sia possibile è necessario che lo stock di capitale aumenti. In un contesto di instabilità monetaria l’equazione degli scambi viene falsata, la produzione distorta e la formazione di capitale minata.
Per questo motivo, in un contesto di valute inconvertibili, la forma peggiore di interventismo è quella monetaria e purtroppo non c’è limite al potere delle banche di emissione di espandere i mezzi monetari consentendo loro di perpetrare i più indegni abusi. Questi abusi naturalmente sono strettamente collegati al finanziamento dei governi bancarottieri da parte del sistema bancario che acquista titoli di debito emessi dalle loro tesorerie. A questo riguardo l’Europa è tanto irresponsabile quanto gli Stati Uniti. I governi di entrambi i paesi non essendo più in grado di ripagare il loro debito lo rinnovano attraverso l’emissione di nuovo debito che non ha altra garanzia se non quella di altri titoli di debito che vengono emessi allo stesso modo in un processo di cui non si vede la fine. Non c’è nessuna creazione di valore in questo meccanismo: questi titoli infatti non producono alcun reddito ma rappresentano solo consumo perpetuato su scala gigantesca che ingoia il capitale reale della collettività.
I governi non producendo nulla, non hanno mezzi per pagare interessi e dovranno attingere da chi questi mezzi produce. Ma non essendoci nell’economia privata incrementi di produttività e, quindi, maggiore prodotto con cui pagare i maggiori interessi, i governi o ricorreranno a nuove dosi di debito o al mezzo illegittimo e disonesto dell’inflazione per svalutarli. Ormai le politiche monetarie e fiscali non hanno più nessun nesso con la creazione di valore nell’economia. Esse ammorbano tutta l’atmosfera economica ed impediscono alle strutture economiche di adattarsi a rapidi mutamenti.
In questo clima “bellico”, di instabilità monetaria, di guerre valutarie, di debiti e di generale incertezza non ci può essere crescita economica reale ma solo impoverimento progressivo.
Le premesse di una ripresa economica non effimera stanno nella stabilità valutaria e nella ricostituzione dello stock di capitale effettivo dissipato nella crisi precedente e affinché ciò avvenga il risparmio della collettività deve aumentare relativamente al consumo. E’ l’ammontare di capitale a determinare la capacità del sistema economico di produrre beni e servizi, di creare occupazione, di aumentarne la produttività e di permettere ai consumatori di acquistare beni durevoli a credito. Purtroppo l’ortodossia economica pensa che il sistema economico abbia sempre capitale a sufficienza e che i problemi economici si risolvano con le iniezioni di liquidità, con la spesa, con i consumi e con provvedimenti legislativi, insomma con un orgia di interventismo piuttosto che incentivando il risparmio e la produzione. Così la crisi dell’organismo economico si dovrebbe risolvere prolungandone la malattia.
Stiamo vivendo un inquietante regresso dell’evoluzione economica, ma crediamo che siano ancora pochi ad averne piena coscienza.
(fonte: Chicago-blog)
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