Non esistono rimonte impossibili di GIAN ANTONIO STELLA
Prudenza: ricordate Yatabaré...», «p dovrebbe essere il monito di Giuliano Pisapia ai suoi elettori. «Forza! Ricordate Yatabaré!», dovrebbe essere l`incitamento di Letizia Moratti ai suoi.
Perché quel nome, da solo, dovrebbe ricordare che una partita, fino all`ultimo istante, non è mai vinta e non è mai, persa.
Era il gennaio dell`anno scorso e a ii minuti dalla fine l`Angola stava stracciando il Mali nella partita inaugurale della coppa d`Africa 4-0. Poi, convinti d`avere la partita in cassaforte, gli angolani cominciarono a far festa. E la festa gliela fecero gli avversari: quattro gol in un quarto d`ora, recupero compreso.
Col cesello finale, appunto, di Sambou Yatabaré. La storia dello sport è piena di vittorie buttate via per eccesso di sicurezza, baldanza, euforia.
Basti pensare a quanto accadde il 18 luglio 1930 a Parigi, alla finale Interzone di Davis, tra Stati Uniti e Italia. Giorgio De Stefani liquidò liscio liscio l`americano Wilmer Allison nei primi due set e pensò che fosse fatta. Un rilassamento fatale.
Arrivò a sprecare, uno dopo l`altro fino a farsi prendere dall`angoscia, 17 match-points: diciassette! Non è mai finita, se davanti hai qualcuno che non vuole perdere. Lo scoprirono i cestisti della nazionale jugoslava che persero ai mondiali di Madrid nel 1986 dopo essersi trovati avanti di 9 punti sullo squadrone sovietico a 45 secondi dalla fine. Lo accertò il francese Jacques Marinelli che al Tour de France del `49 si ritrovò a Saint-Malo con 36 minuti e 55 secondi di vantaggio su Fausto Coppi in crisi nera e alla fine lo vide trionfare, dopo una impressionante rimonta nelle tappe di montagna, con quasi 11 minuti su Gino Bartali. Il quale, l`anno prima, aveva compiuto la stessa impresa: staccato di 21 minuti e mezzo da Louison Bobet a 9 tappe dalla fine, Ginettaccio aveva ribaltato la classifica demolendo il rivale con tre attacchi micidiali che lo avevano portato a trionfare sugli Champs Elisées mandando in delirio l`Italia sconvolta dall`attentato a Palmiro Togliatti.
Ma soprattutto lo sanno i tifosi di calcio italiani. Che hanno visto scudetti già vinti buttati via dall`Inter in quel famoso 5 maggio della batosta all`Olimpico con la Lazio.
Dalla Juventus, impantanatasi nell`ultima partita sotto un diluvio a Perugia dopo avere sprecato nove punti di vantaggio (e allora le vittorie di punti ne valevano due e non tre) a otto giornate dalla fine. Dal Milan, scavalcato all`ultimo istante dalla Juventus (indimenticabile Sandro Ciotti dalle radioline: «Cuccureddu! Cuccureddu! Ed è.goal!!») nella «fatal Verona».
E come dimenticare la finale di Champions League buttata dal Milan contro il Liverpool, seppellito sotto tre gol nel primo tempo ma capace di risvegliarsi nella ripresa approfittando proprio del senso di appagamento da pratica archiviata dei rossoneri? Mai vinta, mai persa. Vale anche in politica. Fino all`ultimo voto. Vogliamo rileggere quello che disse Francesco Rutelli dopo avere conquistato la posizione di testa per il ballottaggio alle comunali di Roma nel 2008? Letti i risultati definitivi, che davano lui al45,8%o con 5 punti abbondanti e quasi centomila voti di vantaggio su Gianni Alemanno, già pregustava la possibilità di regalare al Partito democratico e alla sinistra, travolti dall`onda pidiellina e leghista alle politiche, una rivincita:
«Andiamo a queste elezioni con un vantaggio importante, determinante.
E io ho fiducia che questo ci permetta di vincere le elezioni».
Quindici giorni più tardi, doccia gelata.
Il vantaggio non era «determinante» proprio per niente. Rutelli andò avanti di mezzo punto salendo al 46,3 e Alemanno rovesciò i risultati del «primo tempo» andando avanti di 13 e vincendo col 53,7.
Il giorno dopo l`Unità titolava: «Roma alla destra, una grave sconfitta.
Alemanno batte nettamente Rutelli, festa in Campidoglio a base di saluti e slogan fascisti». Dieci anni prima, a Roma, era successa la stessa cosa. Questa volta alle provinciali:
Pasqualina Napoletano aveva contro Silvano Moffa, allora fedelissimo di Gianfranco Fini, al cui fianco sarebbe poi rimasto fino allo strappo sulla sfiducia a Berlusconi del 14 dicembre scorso. Vantaggio netto della candidata ulivista al primo turno,-rovesciamento al secondo.
Sono tanti i precedenti di declini dovuti a un eccesso di euforia indotta da sondaggi esagerati e travolti da spettacolari rimonte. Si pensi alle politiche del 20o6 quando, reduce da cinque anni di governo, di polemiche intestine alla Casa delle Libertà e da sconfitte a catena, il Cavaliere pareva spacciato. Al punto che chi suggerì all`Unione di presentare anche delle liste civiche per rafforzare la coalizione in senso moderato, come l`allora governatore del Friuli Venezia Giulia Riccardo Illy, venne trattato dai proconsoli della sinistra, certi di avere già la vittoria in tasca, con toni di sufficienza:
«E che ce ne facciamo?». Come finì, si sa Con una travolgente rimonta berlusconiana conclusa con una notte di interminabili dirette televisive e conteggi sezione per sezione: «Pare in vantaggio la sinistra...
Pare in vantaggio la de-stra...».
Fino al sostanziale pareggio al Senato e alla conseguente apertura, per l`obeso governo Prodi, di due anni di caos e polemiche paralizzanti.
Morale? Mai cantar vittoria troppo presto: l`euforia può fare danni devastanti. E mai dare per persa una battaglia: i conti, dice la cronaca, si fanno solo alla fine. Non solo in Italia. Valgano per tutti due casi un po` più grossi delle nostre faccende ambrosiane. Il primo è quello di Winston Churchill. Vinta la guerra contro Hitler e il nazismo, pareva il padrone assoluto della politica inglese tanto che nessuno avrebbe scommesso un penny sul suo avversario, Clement Attlee: vinse Attlee. Il secondo, leggendario, è quello di Thomas E. Dewey. Come scrive nel libro «I signori della Casa Bianca» Mauro della Porta Raffo, «i sondaggi lo indicavano come il netto favorito, ma Harry Truman per nulla intenzionato a lasciare White House - non si arrese e gli contese ogni singolo voto fino all`ultimo.
La notte dello scrutinio fu una delle più drammatiche della storia politica americana. Tutti (democratici compresi) si aspettavano una vera e propria valanga di suffragi a favore di Dewey e i primi risultati sembrarono largamente confermare le previsioni tanto che i giornali di New York, ignari degli esiti del voto negli Stati dell`Ovest e dovendo comunque «chiudere», nelle prime edizioni del giorno successivo uscirono con il titolo a nove colonne «Dewey batte Truman». A mezzanotte Dewey era il presidente, due ore dopo uno sconfitto.
La lezione di Alemanno (e Bartali):
non esistono rimonte impossibili In politica, come nello sport, prevale chi sa (orrore fino all`ultimo L'elezione scorsa e Francesco Rutelli (sopra), candidato sindaco di centrosinistra a Roma, vince il primo turno con il 45,8% e circa 100 mila voti più di Gianni Alemanno (a fianco), che poi rimonta e lo batte 0:
x i- 2 Louison Bobet (sopra), a 9 tappe dalla fine del Tour, ha oltre 21 minuti di vantaggio su Gino Bartali, che ribalta la classifica con tre attacchi e trionfa sugli Champs Elisées (a fianco) L a..., èper In ___ .. é a 3 Thomas E. Dewey (sopra, a destra), nel `48, è il favorito nella corsa alla Casa Bianca contro Harry Truman (a fianco), che cerca il secondo mandato, lotta fino all`ultimo voto e vince.
(fonte: Corriere della Sera e Rassegna Governo)
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