DEBITO PUBBLICO

RAPPORTO DEBITO/PIL

mercoledì 30 novembre 2011

Concita De Gregorio: “Il Pd ha perso di proposito le elezioni regionali del Lazio”

L'ex direttore de l'Unità, ospite all'assemblea nazionale di Tilt a Pisa, ha raccontato i particolari della strategia del Partito democratico. Che volutamente non ha appoggiato il referendum , il NO B. Day, le manifestazioni studentesche e, soprattutto, la candidatura di Emma Bonino a presidente del Lazio. E i Radicali vanno all'attacco


Il Partito democratico ha perso di proposito le elezioni regionali nel Lazio per far vincere la Polverini e, in tal modo, rafforzare Fini. E poi. Il Pd non ha aderito alle campagne degli studenti perché “tanto non votano”, non ha sostenuto il “No B. Day” perché “non è una manifestazione” creata dai democratici e non ha appoggiato il referendum perché “tanto non raggiunge il quorum”. Fino a qualche giorno fa erano solo delle congetture ad appannaggio dei retroscenisti politici, oggi invece sono diventate qualcosa di più. Merito di Concita De Gregorio. L’ex direttrice de L’Unità, infatti, intervenendo sabato scorso all’assemblea nazionale di Tilt a Pisa, ha rivelato alla platea particolari per certi versi imbarazzanti sulla strategia del maggior partito di opposizione che, a sentire la giornalista di la Repubblica, le avrebbe impedito di portare avanti campagne politiche sulle pagine del quotidiano fondato da Gramsci. 

 Particolarmente interessante, in tal senso, ciò che è avvenuto nelle stanze del potere dei democratici dopo la candidatura di Emma Bonino alle elezioni regionali del Lazio. La ricostruzione della questione direttamente dalle parole di Mario Staderini. Il leader dei Radicali, infatti, dopo aver appreso i retroscena rivelati dalla De Gregorio, ha scritto una nota in cui riprende le parole della ex direttrice de l’Unità.

“Durante l’assemblea nazionale di TILT dello scorso 26 novembre – scrive Staderini – Concita De Gregorio ha confermato quanto ci era parso subito oggettivo ed evidente: il Partito Democratico ha voluto far perdere Emma Bonino alle Regionali del Lazio”. A questo punto, l’esponente radicale ha ripreso la ricostruzione della giornalista, che ha detto testualmente: “Quando Emma Bonino si autocandidò a Roma per assenza di candidati del centrosinistra, aveva tutte le possibilità di vincere, lo dicevano i sondaggi e le esperienze di vita. Siccome il Pd non sembrava di voler sostenere la candidatura di Bonino, sono andata da un altissimissimo dirigente nella sede del Pd e ho chiesto: ‘Siccome esiste un candidato del centrosinistra ed uno del centrodestra, io vorrei sapere se per caso voi avete deciso di non sostenere questa candidatura. Siccome mi sembra che sia cosi, diciamocelo, è ipocrita e inutile che l’Unità faccia la campagna quando nei circoli del Pd arrivano indicazioni di non fare volantinaggio’”.

La risposta dell’altissimissimo dirigente del Pd? Concita De Gregorio non ha usato giri di parole: “Mi ha risposto così – ha detto – : ‘A noi questa volta nel Lazio ci conviene perdere. Perché, siccome la Polverini è la candidata di Fini e siccome è l’unica sua candidata della tornata, se vince, Fini si rafforza all’interno della sua posizione critica del centrodestra e, finalmente, si decide a mollare Berlusconi e a fare il terzo polo, insieme a Casini. E noi avremmo le mani libere per allearci con Fini e Casini e andare al governo. Senza ovviamente che gli elettori ci mollino, senza perdere troppo consenso. Perché non saremo noi a condurre questa operazione, noi perdendo oggi daremo solo il via, il resto lo farà la crisi economica”.

Alla luce della rivelazione, Mario Staderini è passato all’attacco: “Questa rivelazione avrebbe del clamoroso se non fosse che avevamo denunciato tutto a tempo debito – ha commentato il leader dei Radicali -. Bastava infatti guardare il budget della campagna elettorale del centrosinistra, che nel caso della Bonino era un quarto di quanto speso per Marrazzo. A questo punto – ha chiesto Staderini – , al di là del dirigente citato dalla De Gregorio e che dall’audio sembrerebbe essere individuato in Fioroni, credo che Pier Luigi Bersani debba dire la verità e chiedere scusa agli elettori che sostennero la candidatura di Emma Bonino”. 

giovedì 24 novembre 2011

Lanzetta, il superchirurgo bocciato da 9 anni

VARESE: L'ESPERTO DI TRAPIANTI DELLA MANO, DI FAMA MONDIALE, NON OTTIENE L'INCARICO.
Lanzetta, il superchirurgo bocciato da 9 anni. Cattedra negata. Per i giudici in 5 verdetti: sbagliato 


Quando inventò le Loonarie collocandole nel Pacifico sud-orientale, lo scrittore Godfrey Sweven in «Riallaro, l'arcipelago degli esilii», immaginò un gruppo di isole dove trovavano rifugio i pazzi. E come spiega Anna Ferrari nel «Dizionario dei luoghi immaginari» c'erano appunto «l'Isola degli Snob, dove tutti hanno un'aria saccente» e «l'Isola del Giornalismo, dove risiedono gli affetti da grafomania» e «Satutto, l'isola i cui abitanti credono che la loro terra sia la più fertile, ricca e invidiata al mondo» e appunto «l'isola di coloro che vivono ignorando la legalità»: Paranomia. L'avesse saputo prima, Marco Lanzetta dice che avrebbe evitato di perdere tempo con gli avvocati. Il guaio è che, pur avendo studiato, vissuto, insegnato e operato da un capo all'altro del pianeta, dal Canada alla Francia, dall'Australia all'Africa, da dove è appena tornato dopo aver passato 17 giorni di «vacanza» tentando di ricostruire le mani a decine di bambini del Togo, del Benin, del Ghana e del Burkina Faso, non immaginava che quel luogo esistesse davvero. Tutto comincia quando il chirurgo, dopo essersi specializzato in chirurgia della mano nel New South Wales e in Quebec, aver avuto giovanissimo la direzione della Microsearch Foundation di Sydney, aver partecipato nel 1998 a Lione al primo trapianto al mondo di una mano e avere già pubblicato molti dei suoi 190 libri, capitoli di opere collettive e articoli scientifici anche sulle maggiori riviste internazionali, decide di concorrere per una cattedra di professore di ruolo di prima fascia alla «Insubria» per «malattie dell'apparato locomotore». La materia che già insegnava come «associato» alla Bicocca: «Pareva un bando studiato per me». Errore: «Era destinato ad altri». Come ricorda l'ultimo dei verdetti giudiziari, il tormentone comincia nell'autunno 2002. Quando, esaminati i candidati alla cattedra, la commissione giudicatrice dichiara «idonei i professori Giorgio Pilato e Paolo Tranquilli Leali e non idoneo il Prof. Lanzetta». Giusto? Sbagliato? Non ci vogliamo neppure entrare. Perché se anche Lanzetta fosse ingiustamente considerato un fenomeno nel resto del mondo ma fosse in realtà un somaro casualmente finito a fare il primo trapianto di mano al mondo e gli unici trapianti simili in Italia, il punto è quello che dicevamo: le sentenze vanno rispettate sì o no anche nelle università? Il nodo è questo: convinto che ci fosse una sproporzione abissale fra il curriculum e la mole di lavori scientifici che aveva presentato lui (soprattutto in inglese, tra i quali due saggi su «Lancet») e quelli degli altri due concorrenti, Lanzetta fa ricorso al Tar e il Tar, sia pure con tempi biblici, nel 2006 gli dà ragione «giudicando irragionevole la valutazione negativa della commissione giudicatrice sulla particolare specializzazione del Prof. Lanzetta». I due professori premiati dall'ateneo ma non dai giudici e la «Insubria» ricorrono al Consiglio di Stato, che di nuovo dà torto a loro e ragione a Lanzetta. A quel punto cosa fa il rettore? Rinnova la «procedura di valutazione», accetta le dimissioni del presidente della commissione, lo sostituisce con un altro e conferma gli altri componenti della «giuria». La quale, un anno dopo la sconfitta in appello (che fretta ci sarà mai...) torna nel novembre 2008 a dichiarare vincitori i professori Pilato e Tranquilli Leali e a bocciare Lanzetta che ha osato contestare il loro giudizio. La cosa è così «eccentrica» che finisce sul Corriere dove Mario Pappagallo ricorda chi è il trombato («500 interventi all'anno alla mano con il suo team dell'Istituto di chirurgia della mano di Monza, con sedi anche a Milano, Bologna e Roma»), raccoglie la sua accusa contro le selezioni nostrane («Concorsi pilotati dove già si sa chi deve vincere e si agisce per demotivare chi vuole partecipare») e scrive: «Il Lanzetta non idoneo a insegnare chirurgia della mano in Italia è una vittima illustre della demeritocrazia italiana, delle lobby delle commissioni giudicanti, del nepotismo radicato nei nostri atenei». Risultato: zero. Come a niente servono le denunce dei siti web nati contro «ateneo-poli». Cocciuto («ormai ho chiuso con l'università italiana ma questo andazzo deve finire»), Marco Lanzetta torna a fare ricorso. E il Tar, nell'aprile 2009, torna a dargli ragione disponendo «l'annullamento degli atti impugnati». E otto mesi dopo torna a fare lo stesso, stroncando il contro-ricorso della «Insubria», anche il Consiglio di Stato. Che ordina all'università «di rinnovare la procedura di valutazione comparativa annullata e di innovare la composizione della Commissione giudicatrice» per «assicurare condizioni oggettive di imparzialità» dato che già due volte la stessa commissione non aveva rispettato ciò che la magistratura aveva stabilito. Avete perso il conto? Lanzetta batte Insubria quattro sentenze a zero. Ma non è finita. Nel 2010 l'università rifà nuovamente la selezione: sempre promossi i soliti due, sempre bocciato Lanzetta. Il quale, mai morto, torna in tribunale per l'ennesima puntata della telenovela. Questa volta, gli si schierano contro non solo l'Insubria e i docenti promossi ma anche il ministero. E siamo alla sentenza finale. Dove la prima sezione del Tar milanese, presieduta da Francesco Mariuzzo, censura che la commissione abbia «dato positivo rilievo a una monografia del Prof. Pilato («La pseudoartrosi dello scafoide») pubblicata dopo la pubblicazione del bando di concorso». Eccepisce che di quella commissione faceva parte «il prof. Gianni Zatti che, avendo collaborato con il prof. Pilato sia in ambito universitario sia nell'attività libero professionale, sia pubblicando un'opera come coautore, sarebbe stato incompatibile alla carica». E infine scrive nero su bianco che certo, una commissione ha «ampia discrezionalità tecnica». E ovviamente «il giudice non può sostituirsi». Però «è anche incontestabile» che «egli non può esimersi dall'accertare l'eventuale erroneità dell'apprezzamento da essa condotto, ove tale erroneità sia in concreto individuabile». Per capirci, se emergono storture macroscopiche «al di fuori dell'ambito dell'opinabilità» allora il magistrato ha sì il diritto e il dovere di intervenire. Un esempio? «La tecnica del trapianto della mano (esperienza vantata solo dal candidato Lanzetta) non appare essere stata valorizzata rispetto alle diverse esperienze degli altri candidati». Un altro? «In 13 delle 15 pubblicazioni presentate il nome del Prof. Lanzetta figura per primo» e c'è una evidente sproporzione rispetto «alla borsa di studio assegnata al candidato Giorgio Pilato dal governo giapponese». Insomma, dice l'ultima sentenza, l'ultima selezione della Insubria «riproduce i medesimi vizi» delle altre annullate, è «in contrasto» con ciò che aveva disposto il giudice e pur eseguendo formalmente quegli ordini «tende in realtà a perseguire l'obiettivo di aggirarli sul piano sostanziale, in modo da pervenire surrettiziamente al medesimo esito già ritenuto illegittimo». Quindi l'intera procedura «deve essere annullata». Risultato finale: Lanzetta batte Insubria 5-0. In un Paese serio, davanti a un risultato così, si dimetterebbero il rettore, i commissari, i professori dichiarati vincitori, tutti. Ma questo, si capisce, in un Paese serio e non a Paranomia...

martedì 22 novembre 2011

Priorità assoluta

Domani. 11.30. Ufficio di Presidenza della Camera. Esame delle proposte di Lega e Pdl. Tema: crescita? occuppazione? riduzione del debito? istruzione? Macché. Si discuterà di come vietare l'accesso in Parlamento a Zoom ed Obiettivi troppo sensibili. Girano già dei testi scritti. I Fotoreporter hanno stufato. D'ora in poi, massimo una mezz'oretta per le foto di rito, e avanti con le macchinette usa e getta. Diamine, ma vi rendete conto? In Camera e Senato non si può più nemmeno mandare un pizzino al Presidente del Consiglio, o farsi una partita a briscola su iPad, o cercarsi le prostitute per la serata. Un po' di privacy, grazie!, nel luogo sacro della democrazia.

(fonte: Non Leggerlo)

venerdì 11 novembre 2011

Il re dei farmaci a cena col premier per avere una legge


Alberto Aleotti, patron dell'industria farmaceutica Menarini, è sospettato di aver provocato un danno al sistema sanitario nazionale di 860 milioni di euro. 

 Dai documenti e dalle intercettazioni salta fuori un quadro inquietante del business di Alberto Sergio Aleotti, patron del gruppo farmaceutico Menarini, sospettato di aver provocato un danno al sistema sanitario nazionale di 860 milioni di euro. Nell'avviso di conclusione delle indagini i pm Giuseppina Mione, Ettore Squillace e Luca Turco, documentano «artifici e raggiri» messi in atto per determinare «un aumento del prezzo dei farmaci». Quindici in tutto gli indagati e tra questi anche i figli di Aleotti, Giovanni e Lucia, e un politico: il senatore del Pdl Cesare Cursi. Dalle carte sembra proprio la politica la chiave di volta per capire la genesi di questa presunta colossale truffa ai danni dello Stato, con accuse di corruzione, riciclaggio ed evasione fiscale e un sospetto ingente finanziamento ai partiti. Nelle migliaia di pagine, zeppe di intercettazioni, si fanno nomi di politici illustri (nessuno di loro inquisito), ministri e del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che, ipotizzano i magistrati, sarebbe intervenuto per l'approvazione di un disegno di legge favorevole al gruppo Menarini. 
Decisiva sarebbe stata una cena il 6 maggio del 2009 a villa Madama alla quale Aleotti sarebbe stato invitato. A raccontarlo, otto giorni dopo, è lo stesso patron di Menarini in una conversazione con Maria Angiolillo, la regina dei salotti romani e vedova del fondatore de Il Tempo, Renato Angiolillo, scomparsa due anni fa. «Il presidente mi ha voluto vicino... E a un certo punto ho avuto il coraggio di dire "immagino signor presidente che lei abbia anche influito per quella questione...". E lui mi ha detto: "Aleotti! C'abbiamo avuto addirittura un incontro a tre"». Più avanti Aleotti fa anche i nomi: «Gianni Letta e il ministro dello Sviluppo (al tempo Claudio Scajola, ndr)». Lo stesso giorno della conversazione intercettata il disegno di legge viene approvato al Senato e passa alla Camera, annotano i pm. Aleotti avrebbe avuto un'attrazione «fatale» verso i politici. 
La Procura gli contesta anche di essere intervenuto presso il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. In una relazione agli atti dell'inchiesta i carabinieri del Nas di Firenze parlano infine di «una scientifica distribuzione del denaro (ai partiti)» documentata da «una serie di erogazioni nel 2001, eseguite da società non direttamente riconducibili al gruppo Menarini, in favore di partiti politici, non ancora individuati, in vista delle elezioni politiche 2001». I Nas citano anche il nome del governatore della Toscana, Enrico Rossi all'epoca dei fatti coordinatore degli assessori alla sanità regionali. Rossi, secondo la Procura completamente estraneo ai fatti, avrebbe inviato lettere al governo da lui firmate e redatte sulla base di bozze degli Aleotti. 

mercoledì 9 novembre 2011

Pu-Pazzi


Siamo al delirio incontrollato, un gruppo di mediocri burocrati inadatti persino in tempo di pace, figuriamoci in tempo di guerra, sta cercando di capire con quale arma ucciderci, ci stanno insaponando la corda con la cura di un impresario di pompe funebri che prepara la salma per i parenti. Tanto non servirà per loro.

Ancora non si parla di maxi-emendamento, dopo due manovre consecutive nel giro di poche settimane, che già e necessaria la terza manovra, in quanto, la gestione demenziale di questo stallo, ugualmente colpevole, da una parte e dall'altra, ci costa parecchi milioni di euro al giorno, che vengono sottratti allo stesso salvadanaio che serve per pagarci le cure ospedaliere e i contributi ai veri invalidi, per pagare i mille euro al mese ad un lavoratore con famiglia a carico, la cassa integrazione o il contributo di disoccupazione a chi vorrebbe lavorare, ma non può.

Ogni giorno che trascorriamo immersi nell'acido di questo pantano surreale, veniamo corrosi un po' alla volta, i pirana ci staccano pezzetti di carne con calma, non con la nota frenesia, perchè questo gruppo di inetti, sbarcati da Urano, non sa assolutamente dove mettere mano, e continua a giocare le fiches dei cittadini sul rosso di una roulette che ha solo numeri neri.

In un paese normale, probabilmente, qualcuno di questi saltapicchi dovrebbe presentarsi nudo davanti al palazzo e darsi fuoco, gridando SCUSATEMI, e non continuare a reggersi reciprocamente il moccolo.

Presidente, anche Lei, che è una rispettabilissima persona, si scomponga un po' di più, trasmetta ai cittadini che si fidano ancora di Lei la reale gravità del momento. Quando queste indegne comparse si saranno rifugiate in qualche residenza tropicale, e Lei si ritroverà la folla sotto la finestra a implorare pane per i propri figli, non tutti si ricorderanno del Suo aplomb anglosassone e della Sua correttezza istituzionale.

(fonte: prospettico)

martedì 8 novembre 2011

Crosetto, disastro in quattro giorni



“Ma lei scherza? Ma le pare. Di quale telefonata dice? Mah, non so di che parla, non userei mai quei toni. Dov’è l’audio? Sulla vostra homepage? Guardi, me la vado subito a sentire, che sono curioso. Arrivederci, e grazie di avermi chiamato, eh”.
Così mi ha testualmente detto Guido Crosetto, in data di ieri, alle ore 17.25.
Due ore dopo, in Senato, lo stesso Crosetto ammetterà di essere stato proprio lui a dire a Bechis che “il testa di cazzo Berlusconi non vuole dimettersi” (audio).
Insomma, dopo l’elegante elezeviro rivolto alla collega Antonella Rampino della Stampa (“A lei non la spoglierebbe nessuno” – video), il sottosegretario Pdl ha infilato la seconda perla nel giro di quattro giorni. Percorso netto, e mannaggia a questi giornalisti che in mezzo a tanta crisi perdono tempo dietro a facezie del genere. 
A pensarci bene, però, l’onorevole Crosetto ha una parte di ragione. In un Paese minimamente normale, uno come lui non lo chiamerebbe proprio nessuno.

(fonte: Marco Bracconi)

lunedì 7 novembre 2011

Miserere per un miserabile

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Un vecchio vizio del mio carattere minaccia di riaffiorare in queste ore di agonia civile per il logoro pubblicitario di Arcore. Provo un’ irresistibile senso di pietà anche per i peggiori cialtroni quando arriva per loro il momento del “redde rationem”, che viene per tutti. Penso al giorno in cui Berlusconi, con tutti i suoi soldi e i suoi capelli pitturati sul cranio e gli spettri delle zoccole e dei lenoni che gli danzano intorno, scoprirà di essere un ometto solo, un vecchietto impotente e, parola per lui orrenda, un “loser”, un perdente che ha sperperato il più gigantesco capitale di popolarità che la disgraziata Italia avesse concesso a un uomo di governo dopo Mussolini. Non ci siamo ancora, e l’agonia potrebbe essere lunga, ma quasi. Devo cominciare a temere di provare pietà anche per questo vecchio falsario ormai palesemente fuori di testa, che farnetica di ristoranti traboccanti, di magnifiche vacanze, di aerei straprenotati – proprio lui che non deve comperare un biglietto d’aereo da decenni – e attribuisce i nostri guai al cambio lira-euro? Spero che sia lui, con il suo comportamento nelle ore del tramonto (ho scritto tramonto, non tremonti) a risparmiarmi il riflesso della pietà.

mercoledì 2 novembre 2011

Bossi show, grida alla secessione, poi minaccia i giornalisti: “Vi spacco la faccia”


Minaccia, il senatùr, teorico della pernacchia e del dito medio, il quale, fortunatamente, da tempo non dichiara più di avercelo duro, riferendosi ai giornalisti: "....perché questi scrivono sulla mia famiglia e prima o poi vi spacchiamo la faccia o vi denunciamo”. Metà del comizio di Bossi, infatti, è dedicato ai giornalisti con un duro attacco ai mezzi di informazione “che lavorano per il sistema e ci rompono i coglioni”. “La gente – sostiene il Senatur – ne ha piene le scatole dei giornalisti e dopo – avverte –arriva il momento della rabbia“. Gli operatori dell’informazione sono quindi rei di “inventarsi un sacco di storie” ma denunciarli sarebbe vano, “perché tanto i magistrati li assolvono”.

L'episodio a cui si riferisce l'illuminato statista, riportato da tutti i giornali, riguarda una sua incresciosa situazione familiare...no, non il trota, ma la condizione di baby pensionata della signora, che potrebbe far strumentalmente gridare al conflitto di interessi, la strenua difesa portata alle pensioni di anzianità da parte del pregevole arringatore di masse.

 Caro onorevole, se si tratta di menzogna e falsità, esiste sempre la querela.