(con sarcasmo) Sì sì....va bene: ci sarà anche qualche "piccola controindicazione" qui da noi a livello occupazionale, di "taglio dei costi", di piccola-media impresa in via d'estinzione, di debiti pubblici alle stelle, di sudamericanizzazione...etc
Per non parlare delle condizioni della manodopera laggiù...lontano lontano...nei Reami della de-localizzazione...
Ma nello stesso tempo è in atto anche l'emersione di una nuova&numerosa classe media-benestante sempre laggiù, lontano lontano...
Dunque la Globalizzazione "Selvaggia" funziona a pieno Regime per chi la sa sfruttare per bene e senza troppi scrupoli.
Dunque...
W le Multinazionali!
Unico dubbio: sarà sostenibile questa gara delle trimestrali "meglio delle attese"?
Ecco una multinazionale-parade sulle trimestrali uscite tra ieri ed oggi, ma in media la marcetta trionfale è sempre la stessa.
Siete ancora così sicuri che qualcuno abbia veramente la forza e l'interesse di fermare/regolamentare questa "benedetta" Globalizzazione "Selvaggia"?
Eni sbaraglia le attese e vede un 2010 migliore
La società ha visto salire il risultato netto del terzo trimestre del 39% a 1,72 miliardi, ben oltre le previsioni degli analisti come l'utile [...]
da Milano Finanza - 28/ott/2010 (19 ore fa)
Microsoft batte le attese su utili e fatturato. Rally in after-hours (Trend Online)
da Yahoo! Finanza: Ultime notizie
Il gruppo ha visto crescere gli utili di oltre il 50%, mentre i ricavi sono aumentati del 25%. Meglio del previsto l outlook e il titolo sale.
Samsung, utile record nel terzo trimestre
da Borsainside.com Feeds
Samsung Electronics (KR7005930003) ha annunciato che nel terzo trimestre di quest'anno il suo utile netto è cresciuto del 17% a KRW 4,46 bilioni (circa €3 miliardi). Si è trattato...
Colgate: utile III trimestre meglio di attese
da Finanzaonline
Exxon: +55% per l´utile nel terzo trimestre, battute le stime
da Finanzaonline
Daimler: ricavi nel terzo trimestre si attestano a 25,1 mld, 1 mld sopra il consenso** (Finanza.com)
...Daimler: ricavi nel terzo trimestre si attestano a 25,1 mld, 1 mld sopra il consenso
da Yahoo! Finanza: Ultime notizie - 12:24 (2 ore fa)
Daimler: utile del terzo trimestre balza a 1,61 mld, sopra le stime
da Finanzaonline - 12:48 (1 ora fa)
Dow Chemical annuncia conti migliori delle attese
da Borsainside.com Feeds
Dow Chemical (US2605431038) ha annunciato oggi che nel terzo trimestre di quest'anno il suo utile netto è calato del 28% a $512 milioni pari a $0,45 per azione. Sui conti della prima impresa...
Motorola decuplica l'utile nel terzo trimestre
da Borsainside.com Feeds
I risultati del primo produttore statunitense di cellulari hanno battuto le stime degli analisti.
3M, ricavi terzo trimestre +11%, utile +16%
da Borsainside.com Feeds
3M (US88579Y1010) ha annunciato oggi di aver aumentato nel terzo trimestre del 2010 i suoi ricavi dell'11% a $6,9 miliardi ed il suo utile netto del 16% a $1,1 miliardi pari a $1,53 per azione...
etc etc etc etc etc etc
Specularmente....:-)
Le vendite al dettaglio calano a sorpresa in Germania
da Borsainside.com Feeds
Le vendite al dettaglio sono calate a settembre in Germania del 2,3%. Si è trattato del più forte calo mensile dal marzo del 2008. Gli economisti avevano atteso una crescita dello 0,5%...
Ue market mover: tasso disoccupazione stabile al 10,1% a settembre (Finanza.com)
da Yahoo! Finanza: Ultime notizie
Come da attese il tasso di disoccupazione dell eurozona è rimasto stabile al 10,1 per cento a settembre.
Il tasso di disoccupazione sale nella zona euro ai massimi livelli da dodici anni
da Borsainside.com Feeds
Il tasso di disoccupazione è salito a settembre nella zona euro al 10,1% ovvero ai suoi più alti livelli dal luglio del 1998.........
(fonte: IL GRANDE BLUFF)
DEBITO PUBBLICO
RAPPORTO DEBITO/PIL
sabato 30 ottobre 2010
Luttazzi copia! ovvero Tecnica della diffamazione moderna per ingenui veri e tonti finti
Quanto accanimento, ragazzi! Finirò per montarmi la testa.
Intrighi degli stati combattenti
2005: racconto su questo blog il gioco che da anni conduco con i fan, una Caccia al tesoro, di cui illustro modi (citazioni da trovare) e motivazioni (stratagemma di Lenny Bruce).
2007: il Foglio commenta la chiusura di Decameron accennando alla Caccia al tesoro: il fatto è noto.
2008: compare su internet un blog anonimo che mi diffama elencando “i plagi di Luttazzi”;
si tratta in realtà di citazioni per la Caccia al tesoro, di calchi e di riscritture con variazioni, ammonticchiati alla rinfusa come in un ossario, a impressionare i bimbi: ma non sono plagi;
citazioni nascoste, calchi e riscritture con variazioni sono, infatti, tecniche legittime, che si imparano frequentando i Grandi (Chaplin, Totò, Lenny Bruce, Woody Allen, Plauto, Shakespeare, Moliere, Mozart, Rossini, Puccini, John Zorn, Picasso, Joyce, Nabokov, Beckett, Barth, Barthelme, Pynchon…).
2010: due mesi dopo il mio successo a Raiperunanotte, che è andato di traverso a molti, qualcuno fa partire la rappresaglia postando su Youtube un video diffamatorio che mostra quelli che il blog del 2008 definiva "i plagi di Luttazzi";
ovviamente il videobiscotto non spiega che sul web la notizia delle battute citate l’ho data io, senza nascondere nulla, 5 anni prima (per questo è diffamazione: se infatti titoli “Caccia al tesoro, ecco quelle che ho trovato”, la diffamazione sparisce; ma con lei, la notizia);
invece, con questa menzogna fondamentale, la notizia diventa appetitosa (“Luttazzi è disonesto!”);
il video anonimo e diffamatorio viene inviato a centinaia di siti web, giornalistici e non;
il Giornale.it si butta a pesce sulla notizia appetitosa, subito imitato da altri quotidiani che abboccano, fra cui l’Unità e Repubblica: la notizia è troppo ghiotta per non farne una scorpacciata;
paraculissimi, titolano “La Rete smaschera Luttazzi”: è una balla, la Rete non ha smascherato una cippa, ma in tal modo possono sparare la notizia appetitosa al riparo da querele;
non verificano la notizia appetitosa prima di stamparla, nè indagano sugli anonimi diffamatori;
pretendono invece da me spiegazioni che sono sul mio blog da 5 anni: una disinformazione che mi colloca automaticamente, senza alcun motivo, sulla scena del crimine.
Insomma, un bocconcino alla Kafka; ed esistono destini più infausti. Ribadisco lo stesso come stanno le cose in due interviste esclusive: al Fatto quotidiano (giugno) e a GQ (luglio);
scrivo anche un post sul blog (“Luttazzi smascherato!”) che non lasci dubbi agli insaziabili;
ma sono tempi che tutto serve, anche una vigliaccata, a far salsiccia;
e così, a fine agosto, arrivano i rinforzi: un equipaggio delle Iene mi fa una imboscata in spiaggia;
domande coatte, cui ho già risposto ampiamente;
ovvero ci fanno;
senonchè nessuno può impormi trattamenti, tanto meno degli scagnozzi di Berlusconi;
non sono la loro scimmietta, non ho commercio con chi disprezzo, e la deportazione mediatica è violenza privata: non mi resta che andarmene, lasciandoli alle loro vite insensate.
A settembre, ItaliaUno vince la propria riluttanza e manda in onda il basso servizio delle Iene sulla notizia appetitosa: l’attribuiscono anche qui alla anonima Rete per evitare querele, e pretendono le solite spiegazioni che ho già dato, così da farmi passare in automatico dalla parte del torto eccetera eccetera.
E’ un mestiere anche questo.
Un tempo si cospirava sempre contro un ordine costituito. Oggi, cospirare a suo favore è un nuovo mestiere in grande sviluppo. (G.Debord)
L'abuso dell’anonimato in Rete per confezionare attacchi diffamatori (che poi giornali, tv e web amplificheranno con colpevole disinvoltura senza assumersene la responsabilità) mette ogni preda ambita alla mercé dei mascalzoni di turno.
ciao Daniele, ehm non vorrei disturbare di 'sti tempi,
ma volevo accennarti un fatterello: ho un piccolo blog, aperto dall'estate scorsa, di solito ha poche visite (uso Analytics e ahimé lo so); infatti l'unica a commentare, pur rimanendo per lo + anonima, era sempre stata la mia fidanzata, finché ho scritto un post sul maccartismo contro di te: ebbene, per la prima volta ho ricevuto ben 2 commenti - e critici- di nuovi visitatori...e mi è parso un po' strano. Da Analytics ho visto che le visite (6) son state generate da "google" con la parola "luttazzi" e "daniele luttazzi", con - penso - l'opzione di ricerca sui risultati + recenti. Mi sono perciò immaginato un commando che va in giro a cercare le voci discordi a questa ennesima campagna d'odio, un po' alla Pio Pompa o Tavaroli. Be' volevo fartelo sapere. Resisti! 18 Giu 2010 - 01:45
Se la stampa frettolosa fa i lettori ciechi, il web, il suo anonimato, e la sua memoria indelebile favoriscono i linciaggi: dei perfetti ignoranti, incappucciati e mossi da veleno, non fanno in tempo a sputacchiare le loro sentenze dilettantesche che subito si avanzano sgomitando i volontari per le ronde. C’è chi parte con torce, chi con forconi, mentre un altro ha già ingrassato il cappio; e come si irritano, tutti, se non ti spicci a metterci dentro il collo. Comunque vada, la macchia rimarrà sul web per sempre, con buona pace di Beccaria. Youtube come lettera scarlatta.
Fiesta!
Il mio metodo satirico consiste nell’espormi in prima persona per rendere visibili, attraverso le conseguenze, i meccanismi del dominio che coinvolgono tutti. L’agenda di ogni artista, d'altronde, è sempre un’architettura di intenzioni. La sottigliezza intellettuale impone perciò al critico l’esplorazione dei dettagli, delle peculiarità, delle circostanze causali: un esperto non si fa largo con la ruspa, né si inoltra bendato sui cornicioni. L'impossibilità di spiegazioni superficiali alle questioni artistiche diventa però un vantaggio per chi diffama. Se tu dai risposte tecniche sull’arte della satira, replicano che non ci capiscono nulla (incolpano te della propria ignoranza: una fallacia da selvaggi, ma suggestiona i fessi) oppure sublimano lo scorno nello sfottò (che è l’asilo dei balilla); se invece dai risposte puntuali, replicano spostando l’accusa e affastellando gli incidenti: prima, Luttazzi è volgare. (No, quella è satira, e vi dimostro che non avete i titoli per giudicare: siete così incompetenti che non vi accorgete neppure della grande satira americana che vi sbatto apposta sotto gli occhi.) Poi, ah, ma allora Luttazzi copia! (Lo faccio apposta, come ho scritto nel blog anni prima di ogni presunto scoop, e questo ennesimo attacco dimostra la necessità dello stratagemma: pensarmi inconsapevole è forse il maggior torto di tutta la baldraccata.) Poi, ecco, Luttazzi è un bugiardo, quel post è retrodatato! (No, quello è un aggiornamento. In archivio c’è l’originale del 2005.) Infine, eh, però Luttazzi ha rimproverato Bonolis di avergli copiato una battuta che in realtà era di Carlin. (No, di aver bruciato in tv la mia versione di quella battuta, di cui puoi apprezzare la funzione solo se non la espianti dal monologo.)
Come sgomberi le macerie, la fiesta ricomincia:
On. Enzo Carra (UDC): “Ricordo che dalla televisione
alcuni comici sono stati liquidati, messi da parte, per
aver bestemmiato. Uno è stato Luttazzi.”
(RaiNews, 1 ottobre 2010)
Maria Grazia Cucinotta: “A Raiperunanotte c’era un
signore, Luttazzi, che ha preso in giro tutti gli italiani,
una cosa molto offensiva e volgarissima di cui mi
vergogno.“ (RadioDue, 5 ottobre 2010)
Tutto questo accanimento per un monologo di 15 minuti sull’inculata! Che Paese di repressi. La prossima volta mi toccherà fare di peggio.
p.s.: la generosità con cui molti di voi, durante l’ordalia, hanno cercato di spiegare ai densi l’ambaradan, vi fa onore e mi commuove, ma non è saggia: chi ha la testa dura è perso in partenza, non lo convincerete mai. Il metodo dei diffamatori è non sentir ragioni e ripetere la litania: sanno che chi è sveglio, dopo un po' comunque si stufa e gli lascia campo libero, mentre la calunnia è un gas che intontisce gli sprovveduti con facilità. L'alternativa sarebbe postare su tutto il web senza interloquire, a batteria, come fanno loro; ma i birboni sono un contingente nevrotico che ha un obbiettivo e del tempo da perdere; voi, per fortuna, avete di meglio da fare che replicare ai trolls. Usare l’URL di questo post come risposta rapida sarà un fanculo più che sufficiente. A bientot!
(fonte: Daniele Luttazzi il 15 Ott 2010 - 10:37)
Intrighi degli stati combattenti
2005: racconto su questo blog il gioco che da anni conduco con i fan, una Caccia al tesoro, di cui illustro modi (citazioni da trovare) e motivazioni (stratagemma di Lenny Bruce).
2007: il Foglio commenta la chiusura di Decameron accennando alla Caccia al tesoro: il fatto è noto.
2008: compare su internet un blog anonimo che mi diffama elencando “i plagi di Luttazzi”;
si tratta in realtà di citazioni per la Caccia al tesoro, di calchi e di riscritture con variazioni, ammonticchiati alla rinfusa come in un ossario, a impressionare i bimbi: ma non sono plagi;
citazioni nascoste, calchi e riscritture con variazioni sono, infatti, tecniche legittime, che si imparano frequentando i Grandi (Chaplin, Totò, Lenny Bruce, Woody Allen, Plauto, Shakespeare, Moliere, Mozart, Rossini, Puccini, John Zorn, Picasso, Joyce, Nabokov, Beckett, Barth, Barthelme, Pynchon…).
2010: due mesi dopo il mio successo a Raiperunanotte, che è andato di traverso a molti, qualcuno fa partire la rappresaglia postando su Youtube un video diffamatorio che mostra quelli che il blog del 2008 definiva "i plagi di Luttazzi";
ovviamente il videobiscotto non spiega che sul web la notizia delle battute citate l’ho data io, senza nascondere nulla, 5 anni prima (per questo è diffamazione: se infatti titoli “Caccia al tesoro, ecco quelle che ho trovato”, la diffamazione sparisce; ma con lei, la notizia);
invece, con questa menzogna fondamentale, la notizia diventa appetitosa (“Luttazzi è disonesto!”);
il video anonimo e diffamatorio viene inviato a centinaia di siti web, giornalistici e non;
il Giornale.it si butta a pesce sulla notizia appetitosa, subito imitato da altri quotidiani che abboccano, fra cui l’Unità e Repubblica: la notizia è troppo ghiotta per non farne una scorpacciata;
paraculissimi, titolano “La Rete smaschera Luttazzi”: è una balla, la Rete non ha smascherato una cippa, ma in tal modo possono sparare la notizia appetitosa al riparo da querele;
non verificano la notizia appetitosa prima di stamparla, nè indagano sugli anonimi diffamatori;
pretendono invece da me spiegazioni che sono sul mio blog da 5 anni: una disinformazione che mi colloca automaticamente, senza alcun motivo, sulla scena del crimine.
Insomma, un bocconcino alla Kafka; ed esistono destini più infausti. Ribadisco lo stesso come stanno le cose in due interviste esclusive: al Fatto quotidiano (giugno) e a GQ (luglio);
scrivo anche un post sul blog (“Luttazzi smascherato!”) che non lasci dubbi agli insaziabili;
ma sono tempi che tutto serve, anche una vigliaccata, a far salsiccia;
e così, a fine agosto, arrivano i rinforzi: un equipaggio delle Iene mi fa una imboscata in spiaggia;
domande coatte, cui ho già risposto ampiamente;
ovvero ci fanno;
senonchè nessuno può impormi trattamenti, tanto meno degli scagnozzi di Berlusconi;
non sono la loro scimmietta, non ho commercio con chi disprezzo, e la deportazione mediatica è violenza privata: non mi resta che andarmene, lasciandoli alle loro vite insensate.
A settembre, ItaliaUno vince la propria riluttanza e manda in onda il basso servizio delle Iene sulla notizia appetitosa: l’attribuiscono anche qui alla anonima Rete per evitare querele, e pretendono le solite spiegazioni che ho già dato, così da farmi passare in automatico dalla parte del torto eccetera eccetera.
E’ un mestiere anche questo.
Un tempo si cospirava sempre contro un ordine costituito. Oggi, cospirare a suo favore è un nuovo mestiere in grande sviluppo. (G.Debord)
L'abuso dell’anonimato in Rete per confezionare attacchi diffamatori (che poi giornali, tv e web amplificheranno con colpevole disinvoltura senza assumersene la responsabilità) mette ogni preda ambita alla mercé dei mascalzoni di turno.
ciao Daniele, ehm non vorrei disturbare di 'sti tempi,
ma volevo accennarti un fatterello: ho un piccolo blog, aperto dall'estate scorsa, di solito ha poche visite (uso Analytics e ahimé lo so); infatti l'unica a commentare, pur rimanendo per lo + anonima, era sempre stata la mia fidanzata, finché ho scritto un post sul maccartismo contro di te: ebbene, per la prima volta ho ricevuto ben 2 commenti - e critici- di nuovi visitatori...e mi è parso un po' strano. Da Analytics ho visto che le visite (6) son state generate da "google" con la parola "luttazzi" e "daniele luttazzi", con - penso - l'opzione di ricerca sui risultati + recenti. Mi sono perciò immaginato un commando che va in giro a cercare le voci discordi a questa ennesima campagna d'odio, un po' alla Pio Pompa o Tavaroli. Be' volevo fartelo sapere. Resisti! 18 Giu 2010 - 01:45
Se la stampa frettolosa fa i lettori ciechi, il web, il suo anonimato, e la sua memoria indelebile favoriscono i linciaggi: dei perfetti ignoranti, incappucciati e mossi da veleno, non fanno in tempo a sputacchiare le loro sentenze dilettantesche che subito si avanzano sgomitando i volontari per le ronde. C’è chi parte con torce, chi con forconi, mentre un altro ha già ingrassato il cappio; e come si irritano, tutti, se non ti spicci a metterci dentro il collo. Comunque vada, la macchia rimarrà sul web per sempre, con buona pace di Beccaria. Youtube come lettera scarlatta.
Fiesta!
Il mio metodo satirico consiste nell’espormi in prima persona per rendere visibili, attraverso le conseguenze, i meccanismi del dominio che coinvolgono tutti. L’agenda di ogni artista, d'altronde, è sempre un’architettura di intenzioni. La sottigliezza intellettuale impone perciò al critico l’esplorazione dei dettagli, delle peculiarità, delle circostanze causali: un esperto non si fa largo con la ruspa, né si inoltra bendato sui cornicioni. L'impossibilità di spiegazioni superficiali alle questioni artistiche diventa però un vantaggio per chi diffama. Se tu dai risposte tecniche sull’arte della satira, replicano che non ci capiscono nulla (incolpano te della propria ignoranza: una fallacia da selvaggi, ma suggestiona i fessi) oppure sublimano lo scorno nello sfottò (che è l’asilo dei balilla); se invece dai risposte puntuali, replicano spostando l’accusa e affastellando gli incidenti: prima, Luttazzi è volgare. (No, quella è satira, e vi dimostro che non avete i titoli per giudicare: siete così incompetenti che non vi accorgete neppure della grande satira americana che vi sbatto apposta sotto gli occhi.) Poi, ah, ma allora Luttazzi copia! (Lo faccio apposta, come ho scritto nel blog anni prima di ogni presunto scoop, e questo ennesimo attacco dimostra la necessità dello stratagemma: pensarmi inconsapevole è forse il maggior torto di tutta la baldraccata.) Poi, ecco, Luttazzi è un bugiardo, quel post è retrodatato! (No, quello è un aggiornamento. In archivio c’è l’originale del 2005.) Infine, eh, però Luttazzi ha rimproverato Bonolis di avergli copiato una battuta che in realtà era di Carlin. (No, di aver bruciato in tv la mia versione di quella battuta, di cui puoi apprezzare la funzione solo se non la espianti dal monologo.)
Come sgomberi le macerie, la fiesta ricomincia:
On. Enzo Carra (UDC): “Ricordo che dalla televisione
alcuni comici sono stati liquidati, messi da parte, per
aver bestemmiato. Uno è stato Luttazzi.”
(RaiNews, 1 ottobre 2010)
Maria Grazia Cucinotta: “A Raiperunanotte c’era un
signore, Luttazzi, che ha preso in giro tutti gli italiani,
una cosa molto offensiva e volgarissima di cui mi
vergogno.“ (RadioDue, 5 ottobre 2010)
Tutto questo accanimento per un monologo di 15 minuti sull’inculata! Che Paese di repressi. La prossima volta mi toccherà fare di peggio.
p.s.: la generosità con cui molti di voi, durante l’ordalia, hanno cercato di spiegare ai densi l’ambaradan, vi fa onore e mi commuove, ma non è saggia: chi ha la testa dura è perso in partenza, non lo convincerete mai. Il metodo dei diffamatori è non sentir ragioni e ripetere la litania: sanno che chi è sveglio, dopo un po' comunque si stufa e gli lascia campo libero, mentre la calunnia è un gas che intontisce gli sprovveduti con facilità. L'alternativa sarebbe postare su tutto il web senza interloquire, a batteria, come fanno loro; ma i birboni sono un contingente nevrotico che ha un obbiettivo e del tempo da perdere; voi, per fortuna, avete di meglio da fare che replicare ai trolls. Usare l’URL di questo post come risposta rapida sarà un fanculo più che sufficiente. A bientot!
(fonte: Daniele Luttazzi il 15 Ott 2010 - 10:37)
Se Minzolini ci mette la faccia di Michele Serra
(29 ottobre 2010)
Augusto Minzolini Augusto MinzoliniIl pesante calo di ascolti del Tg1 preoccupa il direttore Minzolini. Sotto accusa il tradizionale schema dell'edizione delle venti: dieci minuti di orribili delitti, dieci minuti di Berlusconi, dieci minuti sui cosmetici preferiti da Lady Gaga oppure sul salvataggio di un mulo rimasto intrappolato in una stalla con la serratura rotta.
Chiuso in una stanza con il suo staff (formato da un ipnotizzatore, da un ventriloquo, da un pubblicitario,
dal cappellano di Mediaset e perfino da un giornalista), Minzolini sta studiando il rilancio del suo telegiornale attraverso un profondo cambiamento di indirizzo.
Ecco le varie soluzioni allo studio.
Rimescolamento Si tratterebbe di usare gli stessi elementi, ma in modo meno rigido. Esempio: dieci minuti di orribili delitti commentati da Berlusconi, dieci minuti di Lady Gaga che salva un mulo rimasto intrappolato, dieci minuti sui prodotti cosmetici preferiti dalle vittime degli orribili delitti. Oppure: dieci minuti
di orribili delitti commessi da Lady Gaga, dieci minuti di Berlusconi che convince il mulo a non opporre resistenza, dieci minuti sui cosmetici preferiti da Paolo Bonaiuti. La formula ha il limite di offrire al massimo una ventina di varianti, ma il vantaggio di non lasciare nessuno spazio ad altre notizie, rispettando la vocazione del principale notiziario del servizio pubblico.
Alleggerimento È il contrario dell'approfondimento. Una formula già applicata con successo nel telegiornale di Antigua, che apre sempre con il campionato di surf e prosegue con la ricetta del giorno. Si pensava di acquistare il format e mandarlo in onda così com'è, ma la Federazione italiana del surf ha giudicato faziosi i primi servizi di prova, e la ricetta del giorno, sempre a base di aragoste vive, è giudicata pericolosa dal sindacato dei cameramen della Rai. Malcontento anche tra i conduttori, che hanno qualche difficoltà a leggere un intero telegiornale in lingua spagnola.
Musical La scaletta rimarrebbe identica, ma sarebbe cantata dal conduttore, con un corpo di ballo che improvvisa suggestive coreografie tematiche. Lo scopo è sdrammatizzare e trasmettere al pubblico una visione più ottimista della realtà. Nel numero zero il conduttore (il tenore goriziano Gianni Tocai, ex re dell'operetta, assunto in quota alla Lega) è stato applaudito a scena aperta per la travolgente interpretazione della giornata politica, con lunghi acuti e preziosismi vocali riferiti al Pdl e impressionanti stecche, seguite da un plateale collasso in diretta, quando ha cantato il breve passaggio dedicato all'opposizione, la celebre romanza "Un rigo appena". Bene anche il corpo di ballo, ma con qualche difficoltà logistica: nella coreografia sul delitto di Avetrana, il ballerino che interpretava il popolarissimo zio Michele, roteando un badile ha colpito alla nuca il conduttore. Necessario uno studio più spazioso.
International Le notizie dall'Italia sono poche e deprimenti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è il suicidio del mulo appena salvato dalla stalla. Perché, dunque, non aprire il Tg1 alle notizie dal mondo, sprovincializzandolo attraverso una forte internazionalizzazione dei contenuti? La prima scaletta di prova prevede: dieci minuti sul salvataggio di un mulo in Ungheria. Dieci minuti sullo shopping di Lady Gaga a Los Angeles, con l'acquisto di rossetti da labbra per un milione di dollari. Dieci minuti sulla meravigliosa avventura politica del presidente della piccola repubblica caraibica di Isla Dorada, il plutocrate benefattore Silvano Berluscòn.
Come Mentana Legare il tigì al prestigio, alla professionalità e alla popolarità del conduttore, come accade al Tg7 di Mentana. Dev'essere il direttore a metterci la faccia. La proposta ha entusiasmato lo staff del Tg1, ma il truccatore ha messo le mani avanti: non è facile riuscire a truccare Minzolini fino a renderlo identico a Mentana.
(fonte: L'espresso)
Augusto Minzolini Augusto MinzoliniIl pesante calo di ascolti del Tg1 preoccupa il direttore Minzolini. Sotto accusa il tradizionale schema dell'edizione delle venti: dieci minuti di orribili delitti, dieci minuti di Berlusconi, dieci minuti sui cosmetici preferiti da Lady Gaga oppure sul salvataggio di un mulo rimasto intrappolato in una stalla con la serratura rotta.
Chiuso in una stanza con il suo staff (formato da un ipnotizzatore, da un ventriloquo, da un pubblicitario,
dal cappellano di Mediaset e perfino da un giornalista), Minzolini sta studiando il rilancio del suo telegiornale attraverso un profondo cambiamento di indirizzo.
Ecco le varie soluzioni allo studio.
Rimescolamento Si tratterebbe di usare gli stessi elementi, ma in modo meno rigido. Esempio: dieci minuti di orribili delitti commentati da Berlusconi, dieci minuti di Lady Gaga che salva un mulo rimasto intrappolato, dieci minuti sui prodotti cosmetici preferiti dalle vittime degli orribili delitti. Oppure: dieci minuti
di orribili delitti commessi da Lady Gaga, dieci minuti di Berlusconi che convince il mulo a non opporre resistenza, dieci minuti sui cosmetici preferiti da Paolo Bonaiuti. La formula ha il limite di offrire al massimo una ventina di varianti, ma il vantaggio di non lasciare nessuno spazio ad altre notizie, rispettando la vocazione del principale notiziario del servizio pubblico.
Alleggerimento È il contrario dell'approfondimento. Una formula già applicata con successo nel telegiornale di Antigua, che apre sempre con il campionato di surf e prosegue con la ricetta del giorno. Si pensava di acquistare il format e mandarlo in onda così com'è, ma la Federazione italiana del surf ha giudicato faziosi i primi servizi di prova, e la ricetta del giorno, sempre a base di aragoste vive, è giudicata pericolosa dal sindacato dei cameramen della Rai. Malcontento anche tra i conduttori, che hanno qualche difficoltà a leggere un intero telegiornale in lingua spagnola.
Musical La scaletta rimarrebbe identica, ma sarebbe cantata dal conduttore, con un corpo di ballo che improvvisa suggestive coreografie tematiche. Lo scopo è sdrammatizzare e trasmettere al pubblico una visione più ottimista della realtà. Nel numero zero il conduttore (il tenore goriziano Gianni Tocai, ex re dell'operetta, assunto in quota alla Lega) è stato applaudito a scena aperta per la travolgente interpretazione della giornata politica, con lunghi acuti e preziosismi vocali riferiti al Pdl e impressionanti stecche, seguite da un plateale collasso in diretta, quando ha cantato il breve passaggio dedicato all'opposizione, la celebre romanza "Un rigo appena". Bene anche il corpo di ballo, ma con qualche difficoltà logistica: nella coreografia sul delitto di Avetrana, il ballerino che interpretava il popolarissimo zio Michele, roteando un badile ha colpito alla nuca il conduttore. Necessario uno studio più spazioso.
International Le notizie dall'Italia sono poche e deprimenti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è il suicidio del mulo appena salvato dalla stalla. Perché, dunque, non aprire il Tg1 alle notizie dal mondo, sprovincializzandolo attraverso una forte internazionalizzazione dei contenuti? La prima scaletta di prova prevede: dieci minuti sul salvataggio di un mulo in Ungheria. Dieci minuti sullo shopping di Lady Gaga a Los Angeles, con l'acquisto di rossetti da labbra per un milione di dollari. Dieci minuti sulla meravigliosa avventura politica del presidente della piccola repubblica caraibica di Isla Dorada, il plutocrate benefattore Silvano Berluscòn.
Come Mentana Legare il tigì al prestigio, alla professionalità e alla popolarità del conduttore, come accade al Tg7 di Mentana. Dev'essere il direttore a metterci la faccia. La proposta ha entusiasmato lo staff del Tg1, ma il truccatore ha messo le mani avanti: non è facile riuscire a truccare Minzolini fino a renderlo identico a Mentana.
(fonte: L'espresso)
venerdì 29 ottobre 2010
Politici bolliti, ecco gli alibi. Di Lia Celi
Di solito, quando vengono trombati, dicono di "scegliere la famiglia" o di voler "tornare all'insegnamento". Ma ecco che cosa succede davvero quando un parlamentare rischia di perdere la poltrona
(23 settembre 2010)
Un politico italiano di razza non si limita a dire bugie su ciò che farà se verrà eletto. Un politico italiano di razza le dice anche su ciò che farà se verrà trombato. Quindi, se vuoi dare la scalata al Palazzo, inventati subito una fanfaronata d'effetto per rendere più spettacolare una futura, eventuale caduta. Possibilmente, qualcosa di più originale dei soliti fioretti-da-fine-carriera cui ricorrono i big della politica. Eccone alcuni.
«SCELGO LA MIA FAMIGLIA»
Misteriosa formula in codice spesso usata per spiegare le proprie dimissioni, e che, a seconda dei traduttori, significa «mia moglie sta per essere messa agli arresti domiciliari per tentata concussione» (trad. Clemente Mastella), o «dopo che mi hanno beccato in un albergo a ore a pippare coca con due battone, il partito mi ha consigliato di non farmi vedere in giro per un po'» (trad. Cosimo Mele), o «credevo che fare il sindaco di Bologna fosse più divertente, preferisco una comoda poltrona al Parlamento Europeo» (trad. Sergio Cofferati). Attenzione: se davvero vuoi dichiarare che rinunci a un incarico politico per dedicarti di più a moglie e figli, le frasi in codice da usare sono «Innaffio la mia salamandra» o «Il pappagallo non vola». A meno che tu non sia un politico siciliano o calabrese, nel qual caso la scelta di stare con la famiglia acquista tutto un altro significato.
«ANDRO' IN AFRICA»
Prometterlo invano è una beffa crudele alle spalle di una terra povera, sfruttata, logorata dalle lotte tribali (ci riferiamo all'Italia, ovviamente). Il caso di scuola è quello di Walter Veltroni, che al termine del mandato come sindaco di Roma pareva sul punto partire per Nairobi per fondare un ordine missionario rivale dei Comboniani, i padri Veltroniani. Gli africani se ne sono fatti una ragione: se Veltroni avesse provato a risolvere i conflitti etnici con lo stile che usa oggi per intervenire nel Pd, ci sarebbero stati nuovi bagni di sangue. Delusi solo i cannibali: non avrebbero nemmeno dovuto fare la fatica di cuocerlo, visto che Veltroni era bollito già nel 2008. Sportivamente, i militanti del Pd non gli rinfacciano più quell'ingloriosa retromarcia, e si limitano a salutare ogni sua apparizione pubblica con cori come «Ramaya, uh uh uh Ramaya» o «Il tucùl è quella cosa / dove Walter si riposa». Morale: se l'orizzonte dei tuoi ideali politici è il continente nero, vacci senza farti pubblicità, evitando con cura fotografi e giornalisti, come Giovanna Melandri quando passa il Capodanno nella villa di Briatore in Kenya.
«VOGLIO FARE IL NONNO»
Exit strategy tipica degli attempati premier italiani (nel resto del mondo i premier sono ancora abbastanza giovani da mettere incinta la first lady), quando butta male. I loro nipotini l'hanno capito dalla culla: «Tra poco arriva il nonno», «Un'altra crisi di governo, ma'?». Comunque dura poco: il tempo di farsi qualche fotografia stile Kim il Sung con uno o due pupi sulle ginocchia (vanno bene anche quelli del custode, tanto poi «Chi» sgrana i volti), e il nonno-sprint torna a raccontare favole a un pubblico più infantile, i suoi elettori. «Farò il nonno» è una bufala trasversale: l'ha usata di recente Berlusconi per togliersi degli anni (avrebbe già l'età per fare il bisnonno), ma se n'è servito tranquillamente anche Prodi nel 2008. E appena due mesi dopo aver dichiarato di volersi occupare a tempo pieno dei nipotini, il Professore si è trasferito a Shanghai. Incoerenza? Al contrario: pare che lo sterminato clan Prodi intenda delocalizzare proprio in Cina alcune linee di produzione di nipotini, i cui costi a Bologna sono diventati insostenibili.
«TORNO A INSEGNARE»
Fra tutti i propositi espressi da politici trombati questo è sicuramente il più sconsiderato. Lontani da tempo dal mondo dell'insegnamento, gli incauti hanno dimenticato che anche la scuola, come la politica, è «sangue e merda», solo che a scuola i cerotti e la carta igienica devi portarteli da casa tu perché il Ministero non dà più un centesimo. Piero Marrazzo, in cerca di povertà e umiliazione dopo lo scandalo trans, intendeva farsi assumere in una scuola primaria a Torbellamonaca, ma i suoi cari l'hanno convinto a ripiegare sul più comodo cenobio di Montecassino, anche perché ormai un monastero è l'unico posto dove l'ex governatore del Lazio può prendere dei voti. Diverso il discorso per i professori universitari, come Domenico Siniscalco, sfortunato ex ministro dell'Economia per Berlusconi, il cui reinserimento nell'ateneo di Torino si è rivelato più difficile del previsto: abituato ad essere regolarmente sfottuto e mobbizzato dai colleghi di governo, invece di tenere le sue lezioni Siniscalco si nascondeva sotto i banchi e ringhiava agli studenti. Meno traumatico il ritorno di Mariotto Segni all'Università di Sassari: sia come professore di Diritto privato che come leader referendario, non gli dà più retta nessuno.
(fonte: L'Espresso)
(23 settembre 2010)
Un politico italiano di razza non si limita a dire bugie su ciò che farà se verrà eletto. Un politico italiano di razza le dice anche su ciò che farà se verrà trombato. Quindi, se vuoi dare la scalata al Palazzo, inventati subito una fanfaronata d'effetto per rendere più spettacolare una futura, eventuale caduta. Possibilmente, qualcosa di più originale dei soliti fioretti-da-fine-carriera cui ricorrono i big della politica. Eccone alcuni.
«SCELGO LA MIA FAMIGLIA»
Misteriosa formula in codice spesso usata per spiegare le proprie dimissioni, e che, a seconda dei traduttori, significa «mia moglie sta per essere messa agli arresti domiciliari per tentata concussione» (trad. Clemente Mastella), o «dopo che mi hanno beccato in un albergo a ore a pippare coca con due battone, il partito mi ha consigliato di non farmi vedere in giro per un po'» (trad. Cosimo Mele), o «credevo che fare il sindaco di Bologna fosse più divertente, preferisco una comoda poltrona al Parlamento Europeo» (trad. Sergio Cofferati). Attenzione: se davvero vuoi dichiarare che rinunci a un incarico politico per dedicarti di più a moglie e figli, le frasi in codice da usare sono «Innaffio la mia salamandra» o «Il pappagallo non vola». A meno che tu non sia un politico siciliano o calabrese, nel qual caso la scelta di stare con la famiglia acquista tutto un altro significato.
«ANDRO' IN AFRICA»
Prometterlo invano è una beffa crudele alle spalle di una terra povera, sfruttata, logorata dalle lotte tribali (ci riferiamo all'Italia, ovviamente). Il caso di scuola è quello di Walter Veltroni, che al termine del mandato come sindaco di Roma pareva sul punto partire per Nairobi per fondare un ordine missionario rivale dei Comboniani, i padri Veltroniani. Gli africani se ne sono fatti una ragione: se Veltroni avesse provato a risolvere i conflitti etnici con lo stile che usa oggi per intervenire nel Pd, ci sarebbero stati nuovi bagni di sangue. Delusi solo i cannibali: non avrebbero nemmeno dovuto fare la fatica di cuocerlo, visto che Veltroni era bollito già nel 2008. Sportivamente, i militanti del Pd non gli rinfacciano più quell'ingloriosa retromarcia, e si limitano a salutare ogni sua apparizione pubblica con cori come «Ramaya, uh uh uh Ramaya» o «Il tucùl è quella cosa / dove Walter si riposa». Morale: se l'orizzonte dei tuoi ideali politici è il continente nero, vacci senza farti pubblicità, evitando con cura fotografi e giornalisti, come Giovanna Melandri quando passa il Capodanno nella villa di Briatore in Kenya.
«VOGLIO FARE IL NONNO»
Exit strategy tipica degli attempati premier italiani (nel resto del mondo i premier sono ancora abbastanza giovani da mettere incinta la first lady), quando butta male. I loro nipotini l'hanno capito dalla culla: «Tra poco arriva il nonno», «Un'altra crisi di governo, ma'?». Comunque dura poco: il tempo di farsi qualche fotografia stile Kim il Sung con uno o due pupi sulle ginocchia (vanno bene anche quelli del custode, tanto poi «Chi» sgrana i volti), e il nonno-sprint torna a raccontare favole a un pubblico più infantile, i suoi elettori. «Farò il nonno» è una bufala trasversale: l'ha usata di recente Berlusconi per togliersi degli anni (avrebbe già l'età per fare il bisnonno), ma se n'è servito tranquillamente anche Prodi nel 2008. E appena due mesi dopo aver dichiarato di volersi occupare a tempo pieno dei nipotini, il Professore si è trasferito a Shanghai. Incoerenza? Al contrario: pare che lo sterminato clan Prodi intenda delocalizzare proprio in Cina alcune linee di produzione di nipotini, i cui costi a Bologna sono diventati insostenibili.
«TORNO A INSEGNARE»
Fra tutti i propositi espressi da politici trombati questo è sicuramente il più sconsiderato. Lontani da tempo dal mondo dell'insegnamento, gli incauti hanno dimenticato che anche la scuola, come la politica, è «sangue e merda», solo che a scuola i cerotti e la carta igienica devi portarteli da casa tu perché il Ministero non dà più un centesimo. Piero Marrazzo, in cerca di povertà e umiliazione dopo lo scandalo trans, intendeva farsi assumere in una scuola primaria a Torbellamonaca, ma i suoi cari l'hanno convinto a ripiegare sul più comodo cenobio di Montecassino, anche perché ormai un monastero è l'unico posto dove l'ex governatore del Lazio può prendere dei voti. Diverso il discorso per i professori universitari, come Domenico Siniscalco, sfortunato ex ministro dell'Economia per Berlusconi, il cui reinserimento nell'ateneo di Torino si è rivelato più difficile del previsto: abituato ad essere regolarmente sfottuto e mobbizzato dai colleghi di governo, invece di tenere le sue lezioni Siniscalco si nascondeva sotto i banchi e ringhiava agli studenti. Meno traumatico il ritorno di Mariotto Segni all'Università di Sassari: sia come professore di Diritto privato che come leader referendario, non gli dà più retta nessuno.
(fonte: L'Espresso)
mercoledì 27 ottobre 2010
MASS MEDIA KILLER E GUERRA PSICOLOGICA. LA FACCIA OCCULTA DELL’INFORMAZIONE
Ogni giorno un vespaio di notizie bombardano e sconvolgono i cittadini con efferatezze di ogni genere. Ci si è domandato se questa sequenza tragica di cronache di varia disumanità non produca altre vittime? E’ vero che suicidi, delitti e incidenti mortali di auto o aerei riportati in prima pagina e molto pubblicizzati fanno aumentare considerevolmente, dopo la loro pubblicazione, fatti analoghi?
Sembrerebbe proprio di si. Nel 1844, Brigham, fondatore della prestigiosa rivista "American Journal of Insanity", scriveva: "Che i suicidi siano pericolosamente frequenti nel nostro paese è evidente a tutti. Come misura di prevenzione noi suggeriamo alle testate giornalistiche di non pubblicare i dettagli di tali avvenimenti. Non c’è nulla di scientificamente meglio dimostrato del fatto che il suicidio è spesso portato a compimento per effetto dell’imitazione. Un semplice paragrafo di cronaca giornalistica può suggerire il suicidio a venti persone. Alcuni particolari della descrizione sono in grado di accendere l’immaginazione dei lettori, fino al punto che la disposizione a ripetere quel comportamento può diventare irresistibile".
Questa relazione emerge anche da uno studio del sociologo prof. Riaz Hassan, dell’università di Flienders (Australia). Il ricercatore ha analizzato circa 20 mila casi di suicidio, avvenuti tra il 1981 e 1990. Il risultato è stato sorprendente: "la media quotidiana dei suicidi sale di circa il 10 per cento nei due giorni successivi alla comparsa della notizia di suicidi sui principali quotidiani". E non c’è neppure da stupirsi troppo, altri lavori confermano tutto ciò. E’ risaputo, infatti, tra gli addetti ai lavori (pubblicitari, psicologi sociali, ecc.), che il linguaggio evocativo ha un grande potere nello spingere a comportamenti nuovi. L’eventuale scetticismo di qualche sprovveduto lettore, sulla forza suggestiva di questa particolarissima strategia persuasiva, è messo a dura prova dalla formulazione, da parte del sociologo David Phillips, dell’"effetto Werther" (1974, 1979, 1980). Il libro "I dolori del giovane Werther" di Goethe, in cui si narra il suicidio del giovane protagonista, dopo una delusione sentimentale, riscosse un grande successo e la sua divulgazione fu seguita da un incredibile numero di suicidi in tutta l’Europa.
Giorgio Nardone e Paul Watzlawick nel libro "L’arte del cambiamento" scrivono che "Il lavoro di ricerca di Phillips segue le tracce dell’"effetto Werther" nei tempi moderni. La sua ricerca dimostra che, subito dopo un suicidio da prima pagina, aumenta vertiginosamente la frequenza di suicidi nelle zone dove il fatto ha avuto grande risonanza. Nelle statistiche relative ai suicidi negli Stati Uniti dal 1947 al 1968, nei due mesi successivi a un suicidio da prima pagina, in media si sono avuti 58 suicidi in più del normale andamento". E non è tutto, "ma dai dati anagrafici e anamnestici, appare un’impressionante similarità tra la condizione del primo, famoso suicida e quella di coloro che si erano successivamente suicidati, ossia se il suicida famoso era anziano, aumentavano i suicidi di anziani, se il suicida apparteneva a un certo ceto sociale o professione, aumentavano i suicidi in quei determinati ambienti"1.
David Phillips ha, pure, dimostrato che l’"effetto Werther" funziona anche per i delitti, gli incidenti aerei e di altri veicoli. A tal proposito lo psichiatra e psicologo sperimentale H. J. Eysenck del London University of Psychiatry, ritenuto uno dei principali esponenti della moderna psicologia comportamentale, riconsiderando il lavoro del sociologo, afferma: "Phillips (1978) ha indagato sull’effetto di diciotto delitti molto pubblicizzati negli Stati Uniti. Dopo i resoconti dei giornali relativi a questi delitti c’è stata una tendenza significativa all’aumento degli incidenti di aerei (privati), con un massimo tre giorni dopo il primo servizio giornalistico".
Eysenck continua: "E’ stata, inoltre, rilevata una correlazione statisticamente significativa tra l’entità della pubblicità fatta alla storia del delitto e il numero degli incidenti accaduti successivamente". Diverse e rigorose procedure di controllo applicate allo studio del sociologo portano a concludere che, anche nel caso degli incidenti aerei, "la pubblicità attraverso i giornali probabilmente provocava una certa quantità di suicidi mascherati da incidenti aerei" 2. Che dire dopo questi fatti dell’eccessiva ridondanza con cui i mass media descrivono fatti efferati e tragedie varie?
Ma c’è dell’altro. Papa Wojtyla, in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1994, nel suo messaggio del 24 gennaio su "Televisione e famiglia: criteri per sane abitudini nel vedere" (Bollettino della Sala stampa della Santa Sede), tra l’altro, sottolineò che "La televisione può anche danneggiare la vita familiare: diffondendo valori e modelli di comportamento falsati e degradanti, mandando in onda pornografia e immagini di brutale violenza; inculcando il relativismo morale e lo scetticismo religioso; diffondendo resoconti distorti o informazioni manipolate sui fatti ed i problemi di attualità, trasmettendo pubblicità profittatrice, affidata ai più bassi istinti; esaltando false visioni della vita che ostacolano l’attuazione del reciproco rispetto, della giustizia e della pace" 3.
Anche i serial televisivi (Sentieri, Dallas, ecc.) modificano la mente delle persone. Situazioni inverosimili vengono accettate dallo spettatore acritico, che si identifica nei personaggi fino a spersonalizzarsi. Su questo nulla erige il proprio progetto di vita. Il vissuto soggettivo interiore ne viene influenzato profondamente. Si accresce, così, il disagio dello spettatore che, rinunciando all’esperienza di crescita collettiva, sprofonda in un rapporto di solitudine con se stesso e il niente, che blocca le capacità personali, impedisce di elaborare obiettivi efficaci, fino a modificare la scala dei valori, riadattandola ad un diverso modo di concepire la realtà e la stessa vita. E’ questo processo che è all’origine della solitudine del nostro tempo.
Queste acriticità e depersonalizzazioni provocano "salti di paradigma" (paradigm shifts), che creano nella società valori diversi, vuoti di ogni soggettività. Nel 1776 Adam Smith scrisse che pochissime delle nostre idee provengono da esperienze dirette, figuriamoci oggi. L’uomo di oggi rassomiglia sempre di più ad un automa, che ripete comportamenti ed è abbagliato da spot pubblicitari.
Charles S. Clark in "La violenza in tv" scrive "Grazie alla televisione, un bambino americano assiste in media a 8 mila omicidi e a 100 mila atti di violenza prima di aver terminato le scuole elementari" e più oltre sottolinea che Brandon S. Centerwall, psichiatra all’università di Washington, nel mese di giugno 1992, sul Journal of the American Medical Association, ha riferito che: "l’arrivo della televisione in Sudafrica ha coinciso con un raddoppio del tasso di omicidi. Durante il "periodo critico" della preadolescenza, ha spiegato lo studioso, l’esposizione alla violenza televisiva ha un impatto particolarmente profondo. "Mentre i bambini hanno un desiderio istintivo di imitare i comportamenti osservati, non posseggono un istinto per valutare a priori se un comportamento dato sia da emulare o no. Imitano qualsiasi cosa""4.
C’è, pure, da sottolineare, che le notizie truculenti che i mass media ogni giorno ci propinano determinano nelle persone uno stato di disagio continuo, di paura di tutto, di sfiducia totale nei confronti degli altri. E non pochi finiscono col barricarsi in casa, col terrore di un mondo di mostri. E non è, affatto, così. La realtà non è fatta solo di omicidi, stupri, stragi ed altri orrori vari, eppure, sono queste scelleratezze che più frequentemente occupano gli spazi dei giornali. Ci viene mostrato solo il lato peggiore delle cose. Ma perché i mass media danno tanto spazio ai fatti più orripilanti della nostra società, dimenticando tutte le buone azioni che si compiono nel mondo? Perché "forse fa comodo tenere il paese in continua apprensione" 5.
E se tutto ciò costituisse un disegno elaborato da forze occulte di potere, che hanno interesse a creare scenari nuovi e apocalittici, per provocare certi cambiamenti a loro più graditi? Ci troveremmo, in questo caso, ad essere bersagli indifesi, nel mezzo di una sottile guerra psicologica. Increduli? Ebbene, l’uso dell’informazione, come forza destabilizzante, è più diffuso di quanto vi sforziate di immaginare. In casi del genere i mass media sono usati come "mezzi persuasivi e/o costrittivi, tali da consentire l’ampliamento delle aree di controllo e supremazia e il conseguimento di scacchieri operativi totalmente immuni dall’insidia della critica e della riflessione attiva. Nel quadro internazionale la guerra psicologica assume un ruolo preminente..."6.
In questo caso si comprenderebbe meglio ciò che si vuole instaurare nella gente, scagliandole contro una massa di notizie efferate, devastanti e brutali: paura, disperazione, grande insicurezza e di conseguenza "la sensazione di essere indifesi che produce vulnerabilità, l’obiettivo tattico della guerra psicologica attiva" 7. Col condizionamento si guida l’orientamento delle persone verso finalità programmate. Nella mente della gente si creano modi di essere e comportamenti differenti dai precedenti. Il processo è sottile e subdolo e "si estrinseca nell’azione o nell’atteggiamento provocati da un impulso o da una sollecitazione tali da indurre i soggetti stessi ad uniformarsi ad una linea preconfigurata, instillata precedentemente, educando i ricettori a reagire in una ben precisa direzione" 8.
Il condizionamento progressivo, una volta realizzato, può essere utilizzato in diversi modi: "-per avallare delle scelte -per estendere il controllo -per accreditare immagini - per corroborare dottrine -per demolire situazioni e condizioni -per indirizzare reazioni e sentimenti a fattore comune -per esercitare pressioni -per fagocitare posizioni di resistenza e si tiene sotto controllo con l’azione psicologica..." 9. Cosa si vuole, esattamente, ottenere col condizionamento?
E’ presto detto: assoggettare, annullare ogni reattività critica, incrinare la fiducia del cittadino nei confronti di ogni sicurezza acquisita, svuotandolo di coraggio e determinazione; bloccare o limitare l’imponderabilità di ciò che non è prevedibile nell’individuo e via di seguito, fino a modificarne la scala dei valori, riadattarla ad un diverso modo di concepire la realtà e la vita. Tutto ciò serve a creare emozioni o a inibirle, distrarle, orientarle, in conclusione, a controllare l’opinione pubblica. Una vera e propria guerra psicologica. Eccone la definizione: "L’insieme delle operazioni, delle azioni, delle iniziative tendenti a conseguire l’obiettivo di assumere e mantenere il controllo di grandi strati di masse e di pilotarne le opinioni, i giudizi e le conseguenti manifestazioni, agendo sulla ricettività istintiva, sull’emotività e sul processo formativo delle valutazioni..."10.
Come è possibile, col terrore, realizzare certi obiettivi quali modificare un individuo, cambiarne il pensiero, azionare processi mentali diversi, ecc.? Ebbene, "Il rateo persuasivo aumenta più che proporzionalmente rispetto all’aumento dei mezzi di comunicazione utilizzati. Nella sostanza si tratta di convincere, di ottenere consensi... mediante un procedimento persuasivo graduato nel tempo, costante nell’intensità, crescente nella pressione per l’effetto combinato della forza applicata e della perdita successiva di opposizione/resistenza da parte dell’obiettivo ammorbidito dal trattamento. (...).
"Lo sfruttamento della paura inconscia e della debolezza spirituale e intellettuale, l’assuefazione ad una determinata condizione e la latente minaccia di un mutamento repentino e irreversibile, passano attraverso la sollecitazione di tutta la gamma sensitiva, premendo, via via, sull’incertezza, sull’apprensione, sul timore, sull’intolleranza, sull’irritazione, sull’angoscia, sino al terrore e al panico intesi come proiezioni di una condizione teorica, ma ineluttabile, al verificarsi di determinate condizioni, prodotto della realtà raffigurata, rappresentata e iniettata mediante la tecnica dei riflessi condizionati..."11. I mass media hanno un peso considerevole in tutto ciò.
Ma vi siete mai chiesti chi controlla i giornali? Il giornalista e scrittore Maurizio Blondet, in un’intervista, mi ha detto: "La stampa appartiene ai centri di potere finanziari, internazionali o nazionali... In realtà il sistema mediologico non serve a far sapere la realtà, ma a creare un rumore di fondo omologante in cui tutti pensino allo stesso modo"12. Meravigliati? E perché mai? L’utilizzo della manipolazione psicologica, particolarmente nel settore politico non è una novità recente. Il sociologo David Riesman nel suo libro "La folla solitaria" scrive: "Come, in campo commerciale, la suggestione esercitata dalla confezione e dalla pubblicità di un prodotto si sostituisce alla convenienza del prezzo, così in campo politico, la suggestione esercitata dalla ‘confezione’ del candidato o mediante una tendenziosa manipolazione dei mezzi di diffusione di massa, si va sostituendo alla ricerca dell’interesse personale che determinava la scelta del tipo auto-diretto".
Vance Packard ci informa che già "nel 1955, i due massimi partiti politici americani si servivano ormai correntemente di persuasori di professione per risolvere i loro problemi..." 13. Gli esperti di tanto in tanto fingono di dolersi di queste intromissioni nella mente altrui, ma, anche in casi del genere è molto probabile che stiano utilizzando nuove e più efficaci tecniche di manipolazione mentale. Ecco quanto disse W. Howard Chase, presidente della Public Relations Society of America, 1956: "La pretesa dichiarata di plasmare o influenzare la mente dell’uomo mediante le tecniche che applichiamo, ha creato in molti di noi un senso di profondo disagio morale". Parola d’onore di persuasore occulto.
E così vengono adottate tecniche sempre più sofisticate ed efficaci, per insinuarsi nell’intimità della mente umana e manipolarla, dirigerne la volontà, le scelte, gli ideali personali e collettivi, fino a modificare il pensiero delle persone. Non crediate che quanto avete letto sia fantapolitica infarcita di teorie complottiste. Meditate su quanto scrisse Kenneth Bouldin, professore all’Università del Michigan: "oggi si può perfettamente concepire un mondo dominato da una dittatura invisibile nel quale, tuttavia, siano state mantenute le forme esteriori del governo democratico".
Giuseppe Cosco
(fonte: Blog Giuseppe Cosco)
Sembrerebbe proprio di si. Nel 1844, Brigham, fondatore della prestigiosa rivista "American Journal of Insanity", scriveva: "Che i suicidi siano pericolosamente frequenti nel nostro paese è evidente a tutti. Come misura di prevenzione noi suggeriamo alle testate giornalistiche di non pubblicare i dettagli di tali avvenimenti. Non c’è nulla di scientificamente meglio dimostrato del fatto che il suicidio è spesso portato a compimento per effetto dell’imitazione. Un semplice paragrafo di cronaca giornalistica può suggerire il suicidio a venti persone. Alcuni particolari della descrizione sono in grado di accendere l’immaginazione dei lettori, fino al punto che la disposizione a ripetere quel comportamento può diventare irresistibile".
Questa relazione emerge anche da uno studio del sociologo prof. Riaz Hassan, dell’università di Flienders (Australia). Il ricercatore ha analizzato circa 20 mila casi di suicidio, avvenuti tra il 1981 e 1990. Il risultato è stato sorprendente: "la media quotidiana dei suicidi sale di circa il 10 per cento nei due giorni successivi alla comparsa della notizia di suicidi sui principali quotidiani". E non c’è neppure da stupirsi troppo, altri lavori confermano tutto ciò. E’ risaputo, infatti, tra gli addetti ai lavori (pubblicitari, psicologi sociali, ecc.), che il linguaggio evocativo ha un grande potere nello spingere a comportamenti nuovi. L’eventuale scetticismo di qualche sprovveduto lettore, sulla forza suggestiva di questa particolarissima strategia persuasiva, è messo a dura prova dalla formulazione, da parte del sociologo David Phillips, dell’"effetto Werther" (1974, 1979, 1980). Il libro "I dolori del giovane Werther" di Goethe, in cui si narra il suicidio del giovane protagonista, dopo una delusione sentimentale, riscosse un grande successo e la sua divulgazione fu seguita da un incredibile numero di suicidi in tutta l’Europa.
Giorgio Nardone e Paul Watzlawick nel libro "L’arte del cambiamento" scrivono che "Il lavoro di ricerca di Phillips segue le tracce dell’"effetto Werther" nei tempi moderni. La sua ricerca dimostra che, subito dopo un suicidio da prima pagina, aumenta vertiginosamente la frequenza di suicidi nelle zone dove il fatto ha avuto grande risonanza. Nelle statistiche relative ai suicidi negli Stati Uniti dal 1947 al 1968, nei due mesi successivi a un suicidio da prima pagina, in media si sono avuti 58 suicidi in più del normale andamento". E non è tutto, "ma dai dati anagrafici e anamnestici, appare un’impressionante similarità tra la condizione del primo, famoso suicida e quella di coloro che si erano successivamente suicidati, ossia se il suicida famoso era anziano, aumentavano i suicidi di anziani, se il suicida apparteneva a un certo ceto sociale o professione, aumentavano i suicidi in quei determinati ambienti"1.
David Phillips ha, pure, dimostrato che l’"effetto Werther" funziona anche per i delitti, gli incidenti aerei e di altri veicoli. A tal proposito lo psichiatra e psicologo sperimentale H. J. Eysenck del London University of Psychiatry, ritenuto uno dei principali esponenti della moderna psicologia comportamentale, riconsiderando il lavoro del sociologo, afferma: "Phillips (1978) ha indagato sull’effetto di diciotto delitti molto pubblicizzati negli Stati Uniti. Dopo i resoconti dei giornali relativi a questi delitti c’è stata una tendenza significativa all’aumento degli incidenti di aerei (privati), con un massimo tre giorni dopo il primo servizio giornalistico".
Eysenck continua: "E’ stata, inoltre, rilevata una correlazione statisticamente significativa tra l’entità della pubblicità fatta alla storia del delitto e il numero degli incidenti accaduti successivamente". Diverse e rigorose procedure di controllo applicate allo studio del sociologo portano a concludere che, anche nel caso degli incidenti aerei, "la pubblicità attraverso i giornali probabilmente provocava una certa quantità di suicidi mascherati da incidenti aerei" 2. Che dire dopo questi fatti dell’eccessiva ridondanza con cui i mass media descrivono fatti efferati e tragedie varie?
Ma c’è dell’altro. Papa Wojtyla, in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 1994, nel suo messaggio del 24 gennaio su "Televisione e famiglia: criteri per sane abitudini nel vedere" (Bollettino della Sala stampa della Santa Sede), tra l’altro, sottolineò che "La televisione può anche danneggiare la vita familiare: diffondendo valori e modelli di comportamento falsati e degradanti, mandando in onda pornografia e immagini di brutale violenza; inculcando il relativismo morale e lo scetticismo religioso; diffondendo resoconti distorti o informazioni manipolate sui fatti ed i problemi di attualità, trasmettendo pubblicità profittatrice, affidata ai più bassi istinti; esaltando false visioni della vita che ostacolano l’attuazione del reciproco rispetto, della giustizia e della pace" 3.
Anche i serial televisivi (Sentieri, Dallas, ecc.) modificano la mente delle persone. Situazioni inverosimili vengono accettate dallo spettatore acritico, che si identifica nei personaggi fino a spersonalizzarsi. Su questo nulla erige il proprio progetto di vita. Il vissuto soggettivo interiore ne viene influenzato profondamente. Si accresce, così, il disagio dello spettatore che, rinunciando all’esperienza di crescita collettiva, sprofonda in un rapporto di solitudine con se stesso e il niente, che blocca le capacità personali, impedisce di elaborare obiettivi efficaci, fino a modificare la scala dei valori, riadattandola ad un diverso modo di concepire la realtà e la stessa vita. E’ questo processo che è all’origine della solitudine del nostro tempo.
Queste acriticità e depersonalizzazioni provocano "salti di paradigma" (paradigm shifts), che creano nella società valori diversi, vuoti di ogni soggettività. Nel 1776 Adam Smith scrisse che pochissime delle nostre idee provengono da esperienze dirette, figuriamoci oggi. L’uomo di oggi rassomiglia sempre di più ad un automa, che ripete comportamenti ed è abbagliato da spot pubblicitari.
Charles S. Clark in "La violenza in tv" scrive "Grazie alla televisione, un bambino americano assiste in media a 8 mila omicidi e a 100 mila atti di violenza prima di aver terminato le scuole elementari" e più oltre sottolinea che Brandon S. Centerwall, psichiatra all’università di Washington, nel mese di giugno 1992, sul Journal of the American Medical Association, ha riferito che: "l’arrivo della televisione in Sudafrica ha coinciso con un raddoppio del tasso di omicidi. Durante il "periodo critico" della preadolescenza, ha spiegato lo studioso, l’esposizione alla violenza televisiva ha un impatto particolarmente profondo. "Mentre i bambini hanno un desiderio istintivo di imitare i comportamenti osservati, non posseggono un istinto per valutare a priori se un comportamento dato sia da emulare o no. Imitano qualsiasi cosa""4.
C’è, pure, da sottolineare, che le notizie truculenti che i mass media ogni giorno ci propinano determinano nelle persone uno stato di disagio continuo, di paura di tutto, di sfiducia totale nei confronti degli altri. E non pochi finiscono col barricarsi in casa, col terrore di un mondo di mostri. E non è, affatto, così. La realtà non è fatta solo di omicidi, stupri, stragi ed altri orrori vari, eppure, sono queste scelleratezze che più frequentemente occupano gli spazi dei giornali. Ci viene mostrato solo il lato peggiore delle cose. Ma perché i mass media danno tanto spazio ai fatti più orripilanti della nostra società, dimenticando tutte le buone azioni che si compiono nel mondo? Perché "forse fa comodo tenere il paese in continua apprensione" 5.
E se tutto ciò costituisse un disegno elaborato da forze occulte di potere, che hanno interesse a creare scenari nuovi e apocalittici, per provocare certi cambiamenti a loro più graditi? Ci troveremmo, in questo caso, ad essere bersagli indifesi, nel mezzo di una sottile guerra psicologica. Increduli? Ebbene, l’uso dell’informazione, come forza destabilizzante, è più diffuso di quanto vi sforziate di immaginare. In casi del genere i mass media sono usati come "mezzi persuasivi e/o costrittivi, tali da consentire l’ampliamento delle aree di controllo e supremazia e il conseguimento di scacchieri operativi totalmente immuni dall’insidia della critica e della riflessione attiva. Nel quadro internazionale la guerra psicologica assume un ruolo preminente..."6.
In questo caso si comprenderebbe meglio ciò che si vuole instaurare nella gente, scagliandole contro una massa di notizie efferate, devastanti e brutali: paura, disperazione, grande insicurezza e di conseguenza "la sensazione di essere indifesi che produce vulnerabilità, l’obiettivo tattico della guerra psicologica attiva" 7. Col condizionamento si guida l’orientamento delle persone verso finalità programmate. Nella mente della gente si creano modi di essere e comportamenti differenti dai precedenti. Il processo è sottile e subdolo e "si estrinseca nell’azione o nell’atteggiamento provocati da un impulso o da una sollecitazione tali da indurre i soggetti stessi ad uniformarsi ad una linea preconfigurata, instillata precedentemente, educando i ricettori a reagire in una ben precisa direzione" 8.
Il condizionamento progressivo, una volta realizzato, può essere utilizzato in diversi modi: "-per avallare delle scelte -per estendere il controllo -per accreditare immagini - per corroborare dottrine -per demolire situazioni e condizioni -per indirizzare reazioni e sentimenti a fattore comune -per esercitare pressioni -per fagocitare posizioni di resistenza e si tiene sotto controllo con l’azione psicologica..." 9. Cosa si vuole, esattamente, ottenere col condizionamento?
E’ presto detto: assoggettare, annullare ogni reattività critica, incrinare la fiducia del cittadino nei confronti di ogni sicurezza acquisita, svuotandolo di coraggio e determinazione; bloccare o limitare l’imponderabilità di ciò che non è prevedibile nell’individuo e via di seguito, fino a modificarne la scala dei valori, riadattarla ad un diverso modo di concepire la realtà e la vita. Tutto ciò serve a creare emozioni o a inibirle, distrarle, orientarle, in conclusione, a controllare l’opinione pubblica. Una vera e propria guerra psicologica. Eccone la definizione: "L’insieme delle operazioni, delle azioni, delle iniziative tendenti a conseguire l’obiettivo di assumere e mantenere il controllo di grandi strati di masse e di pilotarne le opinioni, i giudizi e le conseguenti manifestazioni, agendo sulla ricettività istintiva, sull’emotività e sul processo formativo delle valutazioni..."10.
Come è possibile, col terrore, realizzare certi obiettivi quali modificare un individuo, cambiarne il pensiero, azionare processi mentali diversi, ecc.? Ebbene, "Il rateo persuasivo aumenta più che proporzionalmente rispetto all’aumento dei mezzi di comunicazione utilizzati. Nella sostanza si tratta di convincere, di ottenere consensi... mediante un procedimento persuasivo graduato nel tempo, costante nell’intensità, crescente nella pressione per l’effetto combinato della forza applicata e della perdita successiva di opposizione/resistenza da parte dell’obiettivo ammorbidito dal trattamento. (...).
"Lo sfruttamento della paura inconscia e della debolezza spirituale e intellettuale, l’assuefazione ad una determinata condizione e la latente minaccia di un mutamento repentino e irreversibile, passano attraverso la sollecitazione di tutta la gamma sensitiva, premendo, via via, sull’incertezza, sull’apprensione, sul timore, sull’intolleranza, sull’irritazione, sull’angoscia, sino al terrore e al panico intesi come proiezioni di una condizione teorica, ma ineluttabile, al verificarsi di determinate condizioni, prodotto della realtà raffigurata, rappresentata e iniettata mediante la tecnica dei riflessi condizionati..."11. I mass media hanno un peso considerevole in tutto ciò.
Ma vi siete mai chiesti chi controlla i giornali? Il giornalista e scrittore Maurizio Blondet, in un’intervista, mi ha detto: "La stampa appartiene ai centri di potere finanziari, internazionali o nazionali... In realtà il sistema mediologico non serve a far sapere la realtà, ma a creare un rumore di fondo omologante in cui tutti pensino allo stesso modo"12. Meravigliati? E perché mai? L’utilizzo della manipolazione psicologica, particolarmente nel settore politico non è una novità recente. Il sociologo David Riesman nel suo libro "La folla solitaria" scrive: "Come, in campo commerciale, la suggestione esercitata dalla confezione e dalla pubblicità di un prodotto si sostituisce alla convenienza del prezzo, così in campo politico, la suggestione esercitata dalla ‘confezione’ del candidato o mediante una tendenziosa manipolazione dei mezzi di diffusione di massa, si va sostituendo alla ricerca dell’interesse personale che determinava la scelta del tipo auto-diretto".
Vance Packard ci informa che già "nel 1955, i due massimi partiti politici americani si servivano ormai correntemente di persuasori di professione per risolvere i loro problemi..." 13. Gli esperti di tanto in tanto fingono di dolersi di queste intromissioni nella mente altrui, ma, anche in casi del genere è molto probabile che stiano utilizzando nuove e più efficaci tecniche di manipolazione mentale. Ecco quanto disse W. Howard Chase, presidente della Public Relations Society of America, 1956: "La pretesa dichiarata di plasmare o influenzare la mente dell’uomo mediante le tecniche che applichiamo, ha creato in molti di noi un senso di profondo disagio morale". Parola d’onore di persuasore occulto.
E così vengono adottate tecniche sempre più sofisticate ed efficaci, per insinuarsi nell’intimità della mente umana e manipolarla, dirigerne la volontà, le scelte, gli ideali personali e collettivi, fino a modificare il pensiero delle persone. Non crediate che quanto avete letto sia fantapolitica infarcita di teorie complottiste. Meditate su quanto scrisse Kenneth Bouldin, professore all’Università del Michigan: "oggi si può perfettamente concepire un mondo dominato da una dittatura invisibile nel quale, tuttavia, siano state mantenute le forme esteriori del governo democratico".
Giuseppe Cosco
(fonte: Blog Giuseppe Cosco)
giovedì 21 ottobre 2010
Leggi ad personam in salsa leghista
Leggi ad personam in salsa leghista Le leggi ad personam non sono solo quelle fatte a favore del presidente del consiglio ma anche quelle per salvare gli amici degli amici. La denunci parte dall’Italia dei Valori. A essere incriminato, in questo caso, è il Ministro per la semplificazione Rocerto Calderoli, che con “abile mossa” avrebbe fatto depennare il reato di di costituzione di bande militari di stampo politico, a tutto vantaggio di 36 colleghi leghisti sotto processo da 14 anni a Verona per aver creato l’organizzazione nota come Guardia nazionale padana. Questi i fatti. Lo scorso 2 ottobre il quotidiano leghista “La Padania” titolava: “ Fine della persecuzione” facendo riferimento all’estinzione di reato dovuta all'entrata in vigore, l’ 8 ottobre, del nuovo codice dell'ordinamento militare “che ha abrogato un centinaio di vecchie normative”.
Ad accorgersi immediatamente della nuova “porcata” in salsa leghista era però intervenuto Marco Travaglio dalle pagine del Fatto quotidiano denunciando quella che era stata subito definita l’ennesima legge ad personam: “Dopo tante leggi ad personam/s per Silvio B.- scriveva Travaglio- eccone una per i fedelissimi di Umberto B., in nome della par condicio. Un provvedimento che abroga una miriade di vecchie norme inutili viene usato per camuffare la depenalizzazione di un reato gravissimo e, purtroppo, attualissimo"
Il 3 di ottobre, come racconta il presidente del gruppo IdV alla Camera, Massimo Donadi, il Ministro della Difesa attraverso il suo portavoce si era però affrettato a dichiarare che l’errore sarebbe stato immediatamente corretto con la pubblicazione della rettifica in Gazzetta ufficiale. Rettifica invece mai pubblicata.
Nell’ambito del question time tenutosi alla Camera il 13 ottobrel’IdV solleva nuovamente la questione rivolgendosi allo stesso Calderoli: “ Gli ho chiesto spiegazioni sul Lodo salva Lega- scrive sul suo blog Massimo Donadi in data 16 ottobre- e lui senza imbarazzo e rispetto del suo ruolo e del Parlamento, ha affermato che la legge abrogata è stata scarsamente applicata nella storia della Repubblica, pertanto non sarebbe necessario mantenerla in vigore.”
Calderoli mente rincara il partito di Di Pietro, ha mentito agli italiani e allo stesso Parlamento, nella misura in cui durante la medesima audizione avrebbe anche dichiarato che il 'Codice dell’ordinamento militare' è stato “predisposto da una commissione tecnica istituita con decreto del Ministro della difesa del 29 novembre 2007” e “nel corso dei lavori, la commissione tecnica ha incluso il decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, oggetto dell’interrogazione, nell’elenco delle norme da abrogare espressamente in sede di riordino”.
Una menzogna? Sembrerebbe proprio di si. A conferma la lettera scritta dal Consigliere di stato Vito Poli, indirizzata all’on. Donadi, che della Commissione tecnica citata da Calderoli era il presidente: “Nessun componente del Comitato scientifico - si legge nella lettera resa nota ieri da Di Pietro e Donadi nel corso di una conferenza stampa - ha proposto (o inserito nel relativo elenco), l’abrogazione del d.lgs. n.43 del 1948”. “L’avviso di rettifica, continua la lettera di Poli, tempestivamente attivato dal Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della difesa e condiviso dalla Presidenza del Consiglio, è stato “interrotto per esplicito diniego opposto dall’ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione normativa”.
Dai fatti citati, alla mozione di sfiducia presentata oggi in Parlamento, unita ad un esposto alla magistratura, il passo è breve, benché il diretto interessato si dichiari estraneo ai fatti.
Non pervenute invece le dichiarazioni di La Russa, che, su questa storia molto avrebbe da chiarire.
Bruna Iacopino
(fonte: articolo21.org)
Ad accorgersi immediatamente della nuova “porcata” in salsa leghista era però intervenuto Marco Travaglio dalle pagine del Fatto quotidiano denunciando quella che era stata subito definita l’ennesima legge ad personam: “Dopo tante leggi ad personam/s per Silvio B.- scriveva Travaglio- eccone una per i fedelissimi di Umberto B., in nome della par condicio. Un provvedimento che abroga una miriade di vecchie norme inutili viene usato per camuffare la depenalizzazione di un reato gravissimo e, purtroppo, attualissimo"
Il 3 di ottobre, come racconta il presidente del gruppo IdV alla Camera, Massimo Donadi, il Ministro della Difesa attraverso il suo portavoce si era però affrettato a dichiarare che l’errore sarebbe stato immediatamente corretto con la pubblicazione della rettifica in Gazzetta ufficiale. Rettifica invece mai pubblicata.
Nell’ambito del question time tenutosi alla Camera il 13 ottobrel’IdV solleva nuovamente la questione rivolgendosi allo stesso Calderoli: “ Gli ho chiesto spiegazioni sul Lodo salva Lega- scrive sul suo blog Massimo Donadi in data 16 ottobre- e lui senza imbarazzo e rispetto del suo ruolo e del Parlamento, ha affermato che la legge abrogata è stata scarsamente applicata nella storia della Repubblica, pertanto non sarebbe necessario mantenerla in vigore.”
Calderoli mente rincara il partito di Di Pietro, ha mentito agli italiani e allo stesso Parlamento, nella misura in cui durante la medesima audizione avrebbe anche dichiarato che il 'Codice dell’ordinamento militare' è stato “predisposto da una commissione tecnica istituita con decreto del Ministro della difesa del 29 novembre 2007” e “nel corso dei lavori, la commissione tecnica ha incluso il decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, oggetto dell’interrogazione, nell’elenco delle norme da abrogare espressamente in sede di riordino”.
Una menzogna? Sembrerebbe proprio di si. A conferma la lettera scritta dal Consigliere di stato Vito Poli, indirizzata all’on. Donadi, che della Commissione tecnica citata da Calderoli era il presidente: “Nessun componente del Comitato scientifico - si legge nella lettera resa nota ieri da Di Pietro e Donadi nel corso di una conferenza stampa - ha proposto (o inserito nel relativo elenco), l’abrogazione del d.lgs. n.43 del 1948”. “L’avviso di rettifica, continua la lettera di Poli, tempestivamente attivato dal Capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della difesa e condiviso dalla Presidenza del Consiglio, è stato “interrotto per esplicito diniego opposto dall’ufficio legislativo del Ministro per la semplificazione normativa”.
Dai fatti citati, alla mozione di sfiducia presentata oggi in Parlamento, unita ad un esposto alla magistratura, il passo è breve, benché il diretto interessato si dichiari estraneo ai fatti.
Non pervenute invece le dichiarazioni di La Russa, che, su questa storia molto avrebbe da chiarire.
Bruna Iacopino
(fonte: articolo21.org)
lunedì 18 ottobre 2010
Analfabeti, un popolo in crescita. Sono quasi sei milioni, altri 13 a rischio
Chi non si esercita va indietro di 5 anni
Tra pochi giorni, l’8 settembre, l’Unesco celebra la giornata mondiale per la lotta all’analfabetismo. E subito il pensiero va all’Africa dove si concentra gran parte degli oltre 750 milioni di «illetterati » presenti sulla Terra (due terzi sono donne, 72 milioni di bambini non sono mai andati a scuola). Ma la Giornata ha un senso anche per l’Italia, dove questa è una battaglia tutt’altro che vinta. Anzi, per certi aspetti, è una sfida nuova. Perché accanto al plotone di «vecchi» analfabeti sta nascendo un nuovo esercito di giovani e adulti. Un magistrato di Firenze, Silvia Garibotti, ha raccontato dei numerosi casi in cui i testimoni non sono in grado di leggere la formula di rito. Attilio Paparazzo, responsabile nazionale Cgil scuola, riferisce che «spesso i bidelli che arrivano in provveditorato per iscriversi nelle graduatorie scolastiche fanno fatica a inserire i propri dati o a leggere ilmodulo "sono cittadino italiano, dichiaro di aver assolto gli obblighi di leva"». Un esercito, insomma, del quale fanno parte quanti leggono e scrivono in modo talmente limitato da non riuscire a compiere le funzioni di base per essere cittadini a pieno titolo. Perché oggi l’alfabeto non basta più per orientarsi nella vita di tutti i giorni. C’è chi ha bisogno di un appoggio per compilare un bollettino postale o per capire il senso di un testo anche breve. Basta appostarsi a una qualsiasi stazione ferroviaria per accorgersi di quanti per acquistare il biglietto preferiscono la coda allo sportello piuttosto che seguire le istruzioni di una macchina con tempi d’attesa pari a zero. C’è chi non riesce a scrivere due righe di presentazione per cercare un posto di lavoro.
L’Unesco li definisce «analfabeti funzionali»: un terzo degli italiani lo è, secondo alcune ricerche internazionali. E un altro terzo rischia di diventarlo. Sono molti di più dunque rispetto ai «vecchi» analfabeti che l’Istat stima in 782mila. Se però, come ha fatto l’Unla (associazione nazionale per la lotta contro l'analfabetismo), a questi si aggiungono coloro che hanno frequentato soltanto qualche anno di scuola senza arrivare alla licenza elementare, si arriva a sei milioni di persone. Non solo. Il presidente storico dell’Unla Saverio Avveduto si spinge oltre, ricordando la regola del «meno cinque»: se le conoscenze acquisite a scuola non vengono utilizzate regrediscono di cinque anni rispetto al livello massimo raggiunto. Ecco così che tra gli analfabeti si può far rientrare buona parte di coloro che si sono fermati alla licenza elementare. E il numero finisce così per sfiorare i 20 milioni di persone: il 36,5% della popolazione, tra chi non è mai andato a scuola e gli analfabeti di ritorno. Un approccio, quello dell’Unla, contestato da più parti (non è detto, si è obiettato, che chi si ferma alle elementari non tenga vive per conto suo le competenze sviluppate) ma nella sostanza «non fallace», secondo il linguista Tullio De Mauro. Che un terzo della popolazione italiana sia analfabeta è stato confermato anche da due ricerche internazionali che non si basano su autocertificazioni, ma sull’osservazione diretta degli intervistati e delle loro effettive capacità, a prescindere dal livello di istruzione dichiarato.
Le hanno condotte Statistic Canada e Ocse, sottoponendo a campioni di popolazione adulta (16-65 anni) questionari graduati: uno preliminare e cinque con difficoltà crescente. Risultato della prima indagine (Ials, International adult literacy studies): quasi il 5% della popolazione italiana adulta non è in grado di affrontare qualsiasi tipo di questionario scritto. Si tratta di due milioni di persone. Il 33% di quelli che rispondono al questionario si ferma al primo gradino della scala di valutazione. Un secondo 33% fa un passo in più nella lettura e comprensione dei testi e raggiunge il secondo livello: abbozza soltanto qualche risposta. Dalla seconda indagine (All) l’analfabetismo funzionale di ritorno appare dove meno lo si aspetta: tra i laureati (20%) e i diplomati (30%). La stessa indagine indica chemeno del 20% degli italiani supera quel livello minimo di capacità alfabetiche che servono a orientarsi in una società moderna, contro percentuali del 50% in Svizzera e Usa, 60% in Canada e 64% in Norvegia. Complice di questa situazione la dispersione scolastica. «Il dato più sconvolgente—spiega Marco Rossi Doria, "maestro di strada" a Napoli e membro della commissione sull’esclusione sociale che sta per consegnare il suo rapporto annuale al Parlamento — è che il 21,9% dei ragazzi tra 16 e i 24, uno su cinque, appartiene agli early school leavers, giovani che non hanno raggiunto una licenza di scuola media superiore né una qualifica professionale».
In Europa la media è del 14,9%. E pensare che l’obiettivo europeo stabilito a Lisbona nel 2000 è che ogni Stato scenda sotto il 10 per cento entro il 2010. «I fallimenti a scuola — spiega Rossi Doria — si concentrano nelle aree del Mezzogiorno dove, a differenza che al Centro-Nord e in parte della Sardegna, non vengono compensati da iscrizioni alla formazione professionale». In Italia, secondo l’Istat, lavorano 144.000 bambini tra i 7 e i 14 anni. Ma per l’Ires (e per la Cgil) la cifra arriva a 400mila bambini. Per questo la giornata dell’alfabetizzazione è un’occasione per rilanciare campagne contro il lavoro minorile, come quella Stop child labour. School is the best placet to work ispirata dalla Ong indiana MV Foundation e promossa in Europa da Alliance2015, network europeo di sei Ong impegnate nella cooperazione allo sviluppo, tra cui il Cesvi per l’Italia. Anche la «base» si mobilita: un gruppo di studenti di San Salvario a Torino ha scritto una lettera agli allievi del biennio di tutta Italia perché si uniscano a loro nella richiesta di una scuola più seria. Li segue Domenico Chiesa, insegnante di filosofia e pedagogia in pensione, e per anni consulente del ministero: «Nel '900 la scuola elementare è stata un baluardo contro l’analfabetismo, in un mondo contadino e artigiano bastava. Per battere l’analfabetismo di oggi bisogna ripensare la scuola media e superiore in modo che riesca a dare le basi culturali di fondo e stimolare la voglia di apprendere. Mica può farlo Piero Angela».
Alessandra Muglia
(fonte: Corriere.it)
Tra pochi giorni, l’8 settembre, l’Unesco celebra la giornata mondiale per la lotta all’analfabetismo. E subito il pensiero va all’Africa dove si concentra gran parte degli oltre 750 milioni di «illetterati » presenti sulla Terra (due terzi sono donne, 72 milioni di bambini non sono mai andati a scuola). Ma la Giornata ha un senso anche per l’Italia, dove questa è una battaglia tutt’altro che vinta. Anzi, per certi aspetti, è una sfida nuova. Perché accanto al plotone di «vecchi» analfabeti sta nascendo un nuovo esercito di giovani e adulti. Un magistrato di Firenze, Silvia Garibotti, ha raccontato dei numerosi casi in cui i testimoni non sono in grado di leggere la formula di rito. Attilio Paparazzo, responsabile nazionale Cgil scuola, riferisce che «spesso i bidelli che arrivano in provveditorato per iscriversi nelle graduatorie scolastiche fanno fatica a inserire i propri dati o a leggere ilmodulo "sono cittadino italiano, dichiaro di aver assolto gli obblighi di leva"». Un esercito, insomma, del quale fanno parte quanti leggono e scrivono in modo talmente limitato da non riuscire a compiere le funzioni di base per essere cittadini a pieno titolo. Perché oggi l’alfabeto non basta più per orientarsi nella vita di tutti i giorni. C’è chi ha bisogno di un appoggio per compilare un bollettino postale o per capire il senso di un testo anche breve. Basta appostarsi a una qualsiasi stazione ferroviaria per accorgersi di quanti per acquistare il biglietto preferiscono la coda allo sportello piuttosto che seguire le istruzioni di una macchina con tempi d’attesa pari a zero. C’è chi non riesce a scrivere due righe di presentazione per cercare un posto di lavoro.
L’Unesco li definisce «analfabeti funzionali»: un terzo degli italiani lo è, secondo alcune ricerche internazionali. E un altro terzo rischia di diventarlo. Sono molti di più dunque rispetto ai «vecchi» analfabeti che l’Istat stima in 782mila. Se però, come ha fatto l’Unla (associazione nazionale per la lotta contro l'analfabetismo), a questi si aggiungono coloro che hanno frequentato soltanto qualche anno di scuola senza arrivare alla licenza elementare, si arriva a sei milioni di persone. Non solo. Il presidente storico dell’Unla Saverio Avveduto si spinge oltre, ricordando la regola del «meno cinque»: se le conoscenze acquisite a scuola non vengono utilizzate regrediscono di cinque anni rispetto al livello massimo raggiunto. Ecco così che tra gli analfabeti si può far rientrare buona parte di coloro che si sono fermati alla licenza elementare. E il numero finisce così per sfiorare i 20 milioni di persone: il 36,5% della popolazione, tra chi non è mai andato a scuola e gli analfabeti di ritorno. Un approccio, quello dell’Unla, contestato da più parti (non è detto, si è obiettato, che chi si ferma alle elementari non tenga vive per conto suo le competenze sviluppate) ma nella sostanza «non fallace», secondo il linguista Tullio De Mauro. Che un terzo della popolazione italiana sia analfabeta è stato confermato anche da due ricerche internazionali che non si basano su autocertificazioni, ma sull’osservazione diretta degli intervistati e delle loro effettive capacità, a prescindere dal livello di istruzione dichiarato.
Le hanno condotte Statistic Canada e Ocse, sottoponendo a campioni di popolazione adulta (16-65 anni) questionari graduati: uno preliminare e cinque con difficoltà crescente. Risultato della prima indagine (Ials, International adult literacy studies): quasi il 5% della popolazione italiana adulta non è in grado di affrontare qualsiasi tipo di questionario scritto. Si tratta di due milioni di persone. Il 33% di quelli che rispondono al questionario si ferma al primo gradino della scala di valutazione. Un secondo 33% fa un passo in più nella lettura e comprensione dei testi e raggiunge il secondo livello: abbozza soltanto qualche risposta. Dalla seconda indagine (All) l’analfabetismo funzionale di ritorno appare dove meno lo si aspetta: tra i laureati (20%) e i diplomati (30%). La stessa indagine indica chemeno del 20% degli italiani supera quel livello minimo di capacità alfabetiche che servono a orientarsi in una società moderna, contro percentuali del 50% in Svizzera e Usa, 60% in Canada e 64% in Norvegia. Complice di questa situazione la dispersione scolastica. «Il dato più sconvolgente—spiega Marco Rossi Doria, "maestro di strada" a Napoli e membro della commissione sull’esclusione sociale che sta per consegnare il suo rapporto annuale al Parlamento — è che il 21,9% dei ragazzi tra 16 e i 24, uno su cinque, appartiene agli early school leavers, giovani che non hanno raggiunto una licenza di scuola media superiore né una qualifica professionale».
In Europa la media è del 14,9%. E pensare che l’obiettivo europeo stabilito a Lisbona nel 2000 è che ogni Stato scenda sotto il 10 per cento entro il 2010. «I fallimenti a scuola — spiega Rossi Doria — si concentrano nelle aree del Mezzogiorno dove, a differenza che al Centro-Nord e in parte della Sardegna, non vengono compensati da iscrizioni alla formazione professionale». In Italia, secondo l’Istat, lavorano 144.000 bambini tra i 7 e i 14 anni. Ma per l’Ires (e per la Cgil) la cifra arriva a 400mila bambini. Per questo la giornata dell’alfabetizzazione è un’occasione per rilanciare campagne contro il lavoro minorile, come quella Stop child labour. School is the best placet to work ispirata dalla Ong indiana MV Foundation e promossa in Europa da Alliance2015, network europeo di sei Ong impegnate nella cooperazione allo sviluppo, tra cui il Cesvi per l’Italia. Anche la «base» si mobilita: un gruppo di studenti di San Salvario a Torino ha scritto una lettera agli allievi del biennio di tutta Italia perché si uniscano a loro nella richiesta di una scuola più seria. Li segue Domenico Chiesa, insegnante di filosofia e pedagogia in pensione, e per anni consulente del ministero: «Nel '900 la scuola elementare è stata un baluardo contro l’analfabetismo, in un mondo contadino e artigiano bastava. Per battere l’analfabetismo di oggi bisogna ripensare la scuola media e superiore in modo che riesca a dare le basi culturali di fondo e stimolare la voglia di apprendere. Mica può farlo Piero Angela».
Alessandra Muglia
(fonte: Corriere.it)
Parole che fanno bene - Niccolò Fabi
Parlo per me per il mio paese
per quella parte che tace
e non dice
che gli soffoca in gola uno strillo
per lo sgomento di uno spettacolo indegno
per cui paga
e non lo ha scelto
di chi segue il bastone del pastore
o l'etichetta dov'è scritto il proprio nome
e per il futuro
e inginocchiarsi ed accendere un cero
complimenti davvero
pascoliamo pascoliamo
e pure in un campo a caso
e che sia vicino casa
perché migriamo soltanto
dal divano al davanzale
prigionieri con il il terrore di essere liberati
di essere liberi
caro mercato
ti vedo costretto ad offrirci ogni giorno
ciò che non ti e' richiesto
per il tuo bisogno per il tuo commercio
la merce marcisce nei supermercati
davanti a intestini accorciati di uomini obesi
annoiati e ossessionati dalla forma
ossessionati dalla norma
non ci siamo non ci siamo
allora una parola lanciata nel mare
con un motivo ed un salvagente
che semplicemente fa il suo dovere,
una parola che non affonda
che magari genera un'onda che increspa il piattume
e lava il letame
per quella parte che tace
e non dice
che gli soffoca in gola uno strillo
per lo sgomento di uno spettacolo indegno
per cui paga
e non lo ha scelto
di chi segue il bastone del pastore
o l'etichetta dov'è scritto il proprio nome
e per il futuro
e inginocchiarsi ed accendere un cero
complimenti davvero
pascoliamo pascoliamo
e pure in un campo a caso
e che sia vicino casa
perché migriamo soltanto
dal divano al davanzale
prigionieri con il il terrore di essere liberati
di essere liberi
caro mercato
ti vedo costretto ad offrirci ogni giorno
ciò che non ti e' richiesto
per il tuo bisogno per il tuo commercio
la merce marcisce nei supermercati
davanti a intestini accorciati di uomini obesi
annoiati e ossessionati dalla forma
ossessionati dalla norma
non ci siamo non ci siamo
allora una parola lanciata nel mare
con un motivo ed un salvagente
che semplicemente fa il suo dovere,
una parola che non affonda
che magari genera un'onda che increspa il piattume
e lava il letame
Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.
di Pericle
Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
(fonte: articolo21.org)
Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
(fonte: articolo21.org)
lunedì 11 ottobre 2010
Così colpisce la fabbrica dei dossier al servizio del Cavaliere
Veleni e disinformazione diventano verità. Dal caso del giudice Vaudano, a Igor Marini e Telekom Serbia. Dagli avvertimenti a Marrazzo a Boffo, Fini e Marcegaglia. Il sistema usato è quello della "opposition research", lo stesso confessato dall'americano Stephen Marks in un libro dal titolo "Confessioni di un killer politico"
di GIUSEPPE D'AVANZO
Così colpisce la fabbrica dei dossier al servizio del Cavaliere
Ci si può anche svagare e chiamare il direttore del giornale di Silvio Berlusconi Brighella. Brighella, come la maschera della commedia dell'arte che nasce nella Bergamo alta: un attaccabrighe, un briccone sempre disponibile "a dirigere gli imbrogli compiuti in scena, se il padrone lo ricompensa bene". Un bugiardo che di se stesso può scrivere senza arrossire: "Sono insofferente a qualsiasi ordine di scuderia, disciplina, inquadramento ideologico. Mi manca la stoffa del cortigiano". La canzonatura finirebbe per nascondere un meccanismo, un paradigma che trova nell'uomo che dirige il giornale del Capo soltanto un protagonista di secondo ordine e nel lavoro sporco, che accetta di fare, solo uno dei segmenti di un dispositivo di potere. Tuttavia. Da qui è necessario muovere. Dal mestiere del direttore del giornale di Berlusconi in quanto la barbarie italiana, che trasforma in politica la compravendita del voto e quindi la corruzione di deputati e senatori, definisce informazione - e non violenza o abuso di potere - la torsione della volontà, la sopraffazione morale di chi dissente dal Capo attraverso un'aggressione spietata, distruttiva, brutale che macina come verità fattoidi, mezzi fatti, fatti storti, dicerie poliziesche, irrilevanti circostanze, falsi indiscutibili. Un'atrocità che pretende di restare impunita o quanto meno tollerata perché, appunto, giornalismo. Ma, quella roba lì, la si può dire informazione? È un giornalista, il direttore del giornale di Silvio Berlusconi? Il suo mestiere è il giornalismo?
Vediamolo al lavoro nel "caso Boffo", quindi nel momento inaugurale in cui egli mette a punto quel che, con prepotente mafiosità, gli uomini vicini al capo del governo definiscono ora "il metodo Boffo".
Sappiamo come sono andate le cose. Dino Boffo critica, con molta prudenza, lo stile di vita di Berlusconi e si ritrova nella lista dei cattivi. Dirige un giornale cattolico e non può permettersi di censurare il capo del governo. Deve avere una lezione che dovrà distruggerlo senza torcergli un capello. Il colpo di pistola che liquida il direttore dell'Avvenire è la prima pagina del giornale di Berlusconi. Sarà presentato così: "Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi e impegnato nell'accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell'uomo con il quale aveva una relazione". Le prove dell'omosessualità di Boffo? Non ci sono. L'unico riscontro proposto - un foglietto presentato come "la nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore" - è uno strepitoso falso. In un Paese non barbarico il giornalista autore di quello "sconclusionato e sgrammaticato distillato di falsità e puro veleno costruito a tavolino per diffamare", come scrive Boffo, avrebbe avuto qualche rogna. Forse avrebbe visto irrimediabilmente distrutta la sua reputazione perché, caduto l'Impero sovietico, la calunnia consapevole non può essere definita giornalismo. Non accade nulla. Anche i petulanti "liberali" - intimoriti o complici - tacciono, ieri come oggi. Si rifiutano di prendere atto che in quel momento - agosto 2009 - si inaugura la metamorfosi di un minaccioso dispositivo politico che già si era esercitato - con un altro circuito, con altri uomini - tra il 2001 e il 2006.
Nella XIV legislatura, durante il II e il III governo Berlusconi s'era già visto all'opera un network di potere occulto e trasversale concentrato nel lavoro di disinformazione e specializzato in operazioni di discredito. Un "apparato" legale/clandestino scandaloso, ma del tutto "visibile". Era il frutto della connessione abusiva dello spionaggio militare (il Sismi di Nicolò Pollari) con diverse branche dell'investigazione, soprattutto l'intelligence business della Guardia di Finanza; con agenzie di investigazione che lavorano in outsourcing; con la Security privata di grandi aziende come Telecom, dove è esistita una "control room" e una "struttura S2OC" "capace di fare qualsiasi cosa, anche intercettazioni vocali: poteva entrare in tutti i sistemi, gestirli, eventualmente dirottare le conversazioni su utenze in uso, con la possibilità di cancellarne la traccia senza essere specificatamente autorizzato". Ricordiamo quel che accadde (ormai agli atti e documentato). Dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, questa piattaforma spionistica pianifica operazioni - "anche cruente" - contro i presunti "nemici" del neopresidente del Consiglio. Ne viene stilato un elenco. Si raccolgono dossier. Quando è necessario si distribuiscono nelle redazioni amiche, controllate o influenzate dal potere del Capo e trasformate in officine dei veleni. Per dire, il giudice Mario Vaudano è un "nemico". Pochi lo conoscono, ma ha avuto un ruolo fondamentale nell'inchiesta Mani Pulite. Era in quegli anni al ministero di Giustizia e si occupava delle rogatorie estere richieste dal pool di Milano. Se ne occupava con grandi capacità e la sua efficienza lo trasforma in una "bestia nera" da annientare. Tanto più che il giudice - incauto - vince un concorso per l'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF: protegge gli interessi finanziari dell'Unione europea, contrastando la frode, la corruzione, ogni altra forma di attività illegale). La nomina di Mauro Vaudano "viene bloccata personalmente da Berlusconi" (Corriere della sera, 11 aprile 2002) mentre si mette in moto il dispositivo. Un ufficio riservato del Sismi spia il bersaglio (anche la moglie francese del giudice, Anne Crenier, giudice anche lei, scoprirà e denuncerà di essere stata spiata dal Sismi con intrusioni nella sua posta elettronica). Il fango raccolto sarà depositato nella redazione del giornale di Berlusconi. Campagna stampa. Intervento del ministro di giustizia che alla fine avvierà contro il povero giudice un'inchiesta disciplinare.
Qui non importa capire se queste mosse sono configurabili come reato. È necessario comprenderne il movimento, isolare i protagonisti, afferrare i modi e l'azione di un potere micidiale - politico, economico, mediatico - capace di stritolare chiunque. È un potere che si dispiega in quegli anni, come oggi, contro l'opposizione politica, contro uomini e istituzioni dello Stato rispettose del proprio ufficio pubblico e non piegate al comando politico, contro il giornalismo non conforme. Una commissione d'inchiesta parlamentare - Telekom Serbia - diventa fabbrica di miasmi. Con lo stesso canone. Si scova un figuro disposto a non andare troppo per il sottile. Si chiama Igor Marini. Lo presentano come consulenze finanziario, come conte, è un facchino dell'ortomercato di Brescia. Lo si consegna ai commissari e quindi alla stampa amica. Quello diventa un fiume in piena. Rivelazioni clamorose accusano l'intero vertice dell'opposizione (Prodi, Fassino, Dini, Veltroni, Rutelli, Mastella). Il giornale del Capo dedicherà trentadue (32) prime pagine alle frottole di quel tipo oggi in galera per calunnia. Alla vigilia delle elezioni 2006 la consueta macchina denigratoria si muove ancora contro Romano Prodi, leader dell'opposizione. L'ufficio riservato del Sismi prepara un falso documento. Lo si accusa di aver sottoscritto accordi tra Unione europea e Stati Uniti che legittimano i sequestri illegali della Cia come il rapimento in Italia di Abu Omar. Il dossier farlocco sarà pubblicato su Libero, direttore Vittorio Feltri, dal suo vice Renato Farina, ingaggiato e pagato dal Sismi, reo confesso ("... ammetto i rapporti intrattenuti con uomini del Sismi in qualità di informatore, ammetto di avere accettato rimborsi dal Sismi, ammetto di aver intervistato i Pm Spataro e Pomarici per carpire informazioni da trasmettere al Sismi..."), condannato a sei mesi di reclusione per favoreggiamento, radiato dall'Ordine dei giornalisti, oggi parlamentare del Popolo della libertà.
In questi casi scorgiamo un antagonista che irrita o inquieta il Capo, l'attività storta di un istituzione, il ruolo decisivo dell'informazione controllata dal Capo. Quel che accade a Vaudano e Prodi sono soltanto due campioni di un catalogo che, nella XV legislatura - questa - ha trovato altri protagonisti e un nuovo schema di lavoro a partire da una solida convinzione: la politica è del tutto mediatizzata, ogni azione politica si svolge all'interno dello spazio mediale e dipende in larga misura dalla voce dei media. È sufficiente allora fabbricare e diffondere messaggi che distorcono i fatti e inducono alla disinformazione, fare dello scandalo la più autentica lotta per il potere simbolico, giocare in quel perimetro la reputazione dei competitori, degli antagonisti, dei critici, soffocare la fiducia che riscuotono, e il gioco è fatto. Rien ne va plus. È un congegno che impone al giornalismo di essere più rigoroso, più lucido, più consapevole.
Altra storia se si parla del Brighella che dirige il giornale del capo del governo. Bisogna coglierne il ruolo, nel congegno, e definirne il lavoro. Vediamo il suo modus operandi. Individua il nemico del Capo da colpire, magari se lo lascia suggerire anche se non gli "manca la stoffa del cortigiano". Raccoglie tutte le informazioni lesive che si possono reperire, fabbricare e distorcere intorno a un fatto isolato dal suo contesto. È una pratica che ha un nome. Non è una pratica giornalistica. È, negli Stati Uniti, la componente chiave di ogni campagna politica. Si chiama opposition research. Per farla bisogna "scavare nel fango", come racconta uno dei maestri di questo triste mestiere, Stephen Marks. Colpito da una certa stanchezza morale e personale, Marks ha rivelato le sue tattiche e quelle della sua professione in un libro intitolato "Confessioni di un Killer Politico", Confessions of Political Hitman. È abbastanza semplice il lavoro, in fondo. I consulenti politici del Candidato indicano chi sono gli uomini più pericolosi per il suo successo. I sondaggisti individuano quali sono le notizie che possono maggiormente danneggiare il politico diventato target. Ha inizio la ricerca. Documenti d'archivio, dichiarazioni alla stampa, episodi biografici, investimenti finanziari, interessi finanziari, dichiarazioni di redditi, proprietà e donazioni elettorali. Insomma, una ricostruzione della vita privata e pubblica del politico preso di mira. A questo punto le informazioni raccolte selezionate tra le più controproducenti per l'avversario da distruggere vengono trasformate in messaggi ai media e in informazioni lasciate trapelare ai giornalisti. Questo è il lavoro del "killer politico" e bisognerà dire che, anche se nello stesso ramo dell'assassinio politico, l'impegno del direttore del giornale di Berlusconi è più comodo. Non ha bisogno di fare molte ricerche. Se gli occorrono documenti qualche signore, per ingraziarsi il Capo, glieli procura. In alcuni casi, è lo stesso Capo che si dà da fare (è accaduto con i nastri delle intercettazioni di Fassino, consegnati ad Arcore e da lui smistati al giornale di famiglia; è accaduto con il video di Marrazzo).
L'informazione è, in questo caso, politica senza alcuna mediazione e potere senza alcuna autonomia perché l'una e le altre sono nelle mani del Capo. Quindi, se non ci sono in giro carte autentiche, si possono sempre fabbricare come nel "caso Boffo". Se non si vuole correre questo rischio, si può sempre ripubblicare quel che è stato già pubblicato, metterci su un bel titolo disonorevole e ripeterlo per due settimane. Colpisci duro, qualcosa si romperà. Per sempre. Questa è la regola. Chi colpire? No problem. Sa da solo chi sono i "nemici" del suo Capo. Quel Fini, ad esempio. Subito lo definisce "il Signor Dissidente". È il dissenso che è stato chiamato a punire. Lo sa riconoscere nella sua fase aurorale. Scrive: "Il Signor Dissidente non è stato zitto. Anzi, ha parlato troppo (...) ha ribadito le critiche al governo e al suo capo, la sua contrarietà alla politica sull'immigrazione, alle posizioni della Lega in proposito, alle leggi sulle questioni etiche". Il Signor Dissidente parla? Deve essere punito. Come? Il direttore annuncia: "È sufficiente - per dire - ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme". (Il Giornale,14 settembre 2009).
Il "giornalismo" di Vittorio Feltri è questo: minaccia, violenza, abuso di potere. Non importa sapere qui se è anche un reato. Dopo il character assassination in serie di questi dodici mesi, ne sappiamo abbastanza per giudicare. Ora non è rilevante conoscere se a questo "assassino politico", dunque a un professionista di una "macchina politica" e non informativa, si deve riconoscere lo status di giornalista. Non glielo si può riconoscere. È un political hitman. È un altro mestiere. Non è un giornalista. Non è lui il problema. Il problema è il suo Capo. Come non è in discussione la libertà di informare o la libertà di fare un giornalismo d'inchiesta. Quel che si discute è la minaccia che precede il lavoro d'inchiesta; è un giornalismo, un finto giornalismo agitato, come nel caso di Emma Marcegaglia, quasi fosse un manganello per fare piegare il capo al malcapitato. Quel che è importante adesso sapere è quanti sono nella vita pubblica italiana coloro che, ricattati dal Capo con questi metodi, tacciono? O spaventati da questi metodi tacceranno? Con quale rassegnazione si potrà accettare un congegno che consegna al capo del governo la reputazione di chiunque, come una sovranità sulle nostre parole, pensieri, decisioni?
(11 ottobre 2010)
(fonte: Repubblica)
di GIUSEPPE D'AVANZO
Così colpisce la fabbrica dei dossier al servizio del Cavaliere
Ci si può anche svagare e chiamare il direttore del giornale di Silvio Berlusconi Brighella. Brighella, come la maschera della commedia dell'arte che nasce nella Bergamo alta: un attaccabrighe, un briccone sempre disponibile "a dirigere gli imbrogli compiuti in scena, se il padrone lo ricompensa bene". Un bugiardo che di se stesso può scrivere senza arrossire: "Sono insofferente a qualsiasi ordine di scuderia, disciplina, inquadramento ideologico. Mi manca la stoffa del cortigiano". La canzonatura finirebbe per nascondere un meccanismo, un paradigma che trova nell'uomo che dirige il giornale del Capo soltanto un protagonista di secondo ordine e nel lavoro sporco, che accetta di fare, solo uno dei segmenti di un dispositivo di potere. Tuttavia. Da qui è necessario muovere. Dal mestiere del direttore del giornale di Berlusconi in quanto la barbarie italiana, che trasforma in politica la compravendita del voto e quindi la corruzione di deputati e senatori, definisce informazione - e non violenza o abuso di potere - la torsione della volontà, la sopraffazione morale di chi dissente dal Capo attraverso un'aggressione spietata, distruttiva, brutale che macina come verità fattoidi, mezzi fatti, fatti storti, dicerie poliziesche, irrilevanti circostanze, falsi indiscutibili. Un'atrocità che pretende di restare impunita o quanto meno tollerata perché, appunto, giornalismo. Ma, quella roba lì, la si può dire informazione? È un giornalista, il direttore del giornale di Silvio Berlusconi? Il suo mestiere è il giornalismo?
Vediamolo al lavoro nel "caso Boffo", quindi nel momento inaugurale in cui egli mette a punto quel che, con prepotente mafiosità, gli uomini vicini al capo del governo definiscono ora "il metodo Boffo".
Sappiamo come sono andate le cose. Dino Boffo critica, con molta prudenza, lo stile di vita di Berlusconi e si ritrova nella lista dei cattivi. Dirige un giornale cattolico e non può permettersi di censurare il capo del governo. Deve avere una lezione che dovrà distruggerlo senza torcergli un capello. Il colpo di pistola che liquida il direttore dell'Avvenire è la prima pagina del giornale di Berlusconi. Sarà presentato così: "Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi e impegnato nell'accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell'uomo con il quale aveva una relazione". Le prove dell'omosessualità di Boffo? Non ci sono. L'unico riscontro proposto - un foglietto presentato come "la nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore" - è uno strepitoso falso. In un Paese non barbarico il giornalista autore di quello "sconclusionato e sgrammaticato distillato di falsità e puro veleno costruito a tavolino per diffamare", come scrive Boffo, avrebbe avuto qualche rogna. Forse avrebbe visto irrimediabilmente distrutta la sua reputazione perché, caduto l'Impero sovietico, la calunnia consapevole non può essere definita giornalismo. Non accade nulla. Anche i petulanti "liberali" - intimoriti o complici - tacciono, ieri come oggi. Si rifiutano di prendere atto che in quel momento - agosto 2009 - si inaugura la metamorfosi di un minaccioso dispositivo politico che già si era esercitato - con un altro circuito, con altri uomini - tra il 2001 e il 2006.
Nella XIV legislatura, durante il II e il III governo Berlusconi s'era già visto all'opera un network di potere occulto e trasversale concentrato nel lavoro di disinformazione e specializzato in operazioni di discredito. Un "apparato" legale/clandestino scandaloso, ma del tutto "visibile". Era il frutto della connessione abusiva dello spionaggio militare (il Sismi di Nicolò Pollari) con diverse branche dell'investigazione, soprattutto l'intelligence business della Guardia di Finanza; con agenzie di investigazione che lavorano in outsourcing; con la Security privata di grandi aziende come Telecom, dove è esistita una "control room" e una "struttura S2OC" "capace di fare qualsiasi cosa, anche intercettazioni vocali: poteva entrare in tutti i sistemi, gestirli, eventualmente dirottare le conversazioni su utenze in uso, con la possibilità di cancellarne la traccia senza essere specificatamente autorizzato". Ricordiamo quel che accadde (ormai agli atti e documentato). Dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, questa piattaforma spionistica pianifica operazioni - "anche cruente" - contro i presunti "nemici" del neopresidente del Consiglio. Ne viene stilato un elenco. Si raccolgono dossier. Quando è necessario si distribuiscono nelle redazioni amiche, controllate o influenzate dal potere del Capo e trasformate in officine dei veleni. Per dire, il giudice Mario Vaudano è un "nemico". Pochi lo conoscono, ma ha avuto un ruolo fondamentale nell'inchiesta Mani Pulite. Era in quegli anni al ministero di Giustizia e si occupava delle rogatorie estere richieste dal pool di Milano. Se ne occupava con grandi capacità e la sua efficienza lo trasforma in una "bestia nera" da annientare. Tanto più che il giudice - incauto - vince un concorso per l'Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF: protegge gli interessi finanziari dell'Unione europea, contrastando la frode, la corruzione, ogni altra forma di attività illegale). La nomina di Mauro Vaudano "viene bloccata personalmente da Berlusconi" (Corriere della sera, 11 aprile 2002) mentre si mette in moto il dispositivo. Un ufficio riservato del Sismi spia il bersaglio (anche la moglie francese del giudice, Anne Crenier, giudice anche lei, scoprirà e denuncerà di essere stata spiata dal Sismi con intrusioni nella sua posta elettronica). Il fango raccolto sarà depositato nella redazione del giornale di Berlusconi. Campagna stampa. Intervento del ministro di giustizia che alla fine avvierà contro il povero giudice un'inchiesta disciplinare.
Qui non importa capire se queste mosse sono configurabili come reato. È necessario comprenderne il movimento, isolare i protagonisti, afferrare i modi e l'azione di un potere micidiale - politico, economico, mediatico - capace di stritolare chiunque. È un potere che si dispiega in quegli anni, come oggi, contro l'opposizione politica, contro uomini e istituzioni dello Stato rispettose del proprio ufficio pubblico e non piegate al comando politico, contro il giornalismo non conforme. Una commissione d'inchiesta parlamentare - Telekom Serbia - diventa fabbrica di miasmi. Con lo stesso canone. Si scova un figuro disposto a non andare troppo per il sottile. Si chiama Igor Marini. Lo presentano come consulenze finanziario, come conte, è un facchino dell'ortomercato di Brescia. Lo si consegna ai commissari e quindi alla stampa amica. Quello diventa un fiume in piena. Rivelazioni clamorose accusano l'intero vertice dell'opposizione (Prodi, Fassino, Dini, Veltroni, Rutelli, Mastella). Il giornale del Capo dedicherà trentadue (32) prime pagine alle frottole di quel tipo oggi in galera per calunnia. Alla vigilia delle elezioni 2006 la consueta macchina denigratoria si muove ancora contro Romano Prodi, leader dell'opposizione. L'ufficio riservato del Sismi prepara un falso documento. Lo si accusa di aver sottoscritto accordi tra Unione europea e Stati Uniti che legittimano i sequestri illegali della Cia come il rapimento in Italia di Abu Omar. Il dossier farlocco sarà pubblicato su Libero, direttore Vittorio Feltri, dal suo vice Renato Farina, ingaggiato e pagato dal Sismi, reo confesso ("... ammetto i rapporti intrattenuti con uomini del Sismi in qualità di informatore, ammetto di avere accettato rimborsi dal Sismi, ammetto di aver intervistato i Pm Spataro e Pomarici per carpire informazioni da trasmettere al Sismi..."), condannato a sei mesi di reclusione per favoreggiamento, radiato dall'Ordine dei giornalisti, oggi parlamentare del Popolo della libertà.
In questi casi scorgiamo un antagonista che irrita o inquieta il Capo, l'attività storta di un istituzione, il ruolo decisivo dell'informazione controllata dal Capo. Quel che accade a Vaudano e Prodi sono soltanto due campioni di un catalogo che, nella XV legislatura - questa - ha trovato altri protagonisti e un nuovo schema di lavoro a partire da una solida convinzione: la politica è del tutto mediatizzata, ogni azione politica si svolge all'interno dello spazio mediale e dipende in larga misura dalla voce dei media. È sufficiente allora fabbricare e diffondere messaggi che distorcono i fatti e inducono alla disinformazione, fare dello scandalo la più autentica lotta per il potere simbolico, giocare in quel perimetro la reputazione dei competitori, degli antagonisti, dei critici, soffocare la fiducia che riscuotono, e il gioco è fatto. Rien ne va plus. È un congegno che impone al giornalismo di essere più rigoroso, più lucido, più consapevole.
Altra storia se si parla del Brighella che dirige il giornale del capo del governo. Bisogna coglierne il ruolo, nel congegno, e definirne il lavoro. Vediamo il suo modus operandi. Individua il nemico del Capo da colpire, magari se lo lascia suggerire anche se non gli "manca la stoffa del cortigiano". Raccoglie tutte le informazioni lesive che si possono reperire, fabbricare e distorcere intorno a un fatto isolato dal suo contesto. È una pratica che ha un nome. Non è una pratica giornalistica. È, negli Stati Uniti, la componente chiave di ogni campagna politica. Si chiama opposition research. Per farla bisogna "scavare nel fango", come racconta uno dei maestri di questo triste mestiere, Stephen Marks. Colpito da una certa stanchezza morale e personale, Marks ha rivelato le sue tattiche e quelle della sua professione in un libro intitolato "Confessioni di un Killer Politico", Confessions of Political Hitman. È abbastanza semplice il lavoro, in fondo. I consulenti politici del Candidato indicano chi sono gli uomini più pericolosi per il suo successo. I sondaggisti individuano quali sono le notizie che possono maggiormente danneggiare il politico diventato target. Ha inizio la ricerca. Documenti d'archivio, dichiarazioni alla stampa, episodi biografici, investimenti finanziari, interessi finanziari, dichiarazioni di redditi, proprietà e donazioni elettorali. Insomma, una ricostruzione della vita privata e pubblica del politico preso di mira. A questo punto le informazioni raccolte selezionate tra le più controproducenti per l'avversario da distruggere vengono trasformate in messaggi ai media e in informazioni lasciate trapelare ai giornalisti. Questo è il lavoro del "killer politico" e bisognerà dire che, anche se nello stesso ramo dell'assassinio politico, l'impegno del direttore del giornale di Berlusconi è più comodo. Non ha bisogno di fare molte ricerche. Se gli occorrono documenti qualche signore, per ingraziarsi il Capo, glieli procura. In alcuni casi, è lo stesso Capo che si dà da fare (è accaduto con i nastri delle intercettazioni di Fassino, consegnati ad Arcore e da lui smistati al giornale di famiglia; è accaduto con il video di Marrazzo).
L'informazione è, in questo caso, politica senza alcuna mediazione e potere senza alcuna autonomia perché l'una e le altre sono nelle mani del Capo. Quindi, se non ci sono in giro carte autentiche, si possono sempre fabbricare come nel "caso Boffo". Se non si vuole correre questo rischio, si può sempre ripubblicare quel che è stato già pubblicato, metterci su un bel titolo disonorevole e ripeterlo per due settimane. Colpisci duro, qualcosa si romperà. Per sempre. Questa è la regola. Chi colpire? No problem. Sa da solo chi sono i "nemici" del suo Capo. Quel Fini, ad esempio. Subito lo definisce "il Signor Dissidente". È il dissenso che è stato chiamato a punire. Lo sa riconoscere nella sua fase aurorale. Scrive: "Il Signor Dissidente non è stato zitto. Anzi, ha parlato troppo (...) ha ribadito le critiche al governo e al suo capo, la sua contrarietà alla politica sull'immigrazione, alle posizioni della Lega in proposito, alle leggi sulle questioni etiche". Il Signor Dissidente parla? Deve essere punito. Come? Il direttore annuncia: "È sufficiente - per dire - ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme". (Il Giornale,14 settembre 2009).
Il "giornalismo" di Vittorio Feltri è questo: minaccia, violenza, abuso di potere. Non importa sapere qui se è anche un reato. Dopo il character assassination in serie di questi dodici mesi, ne sappiamo abbastanza per giudicare. Ora non è rilevante conoscere se a questo "assassino politico", dunque a un professionista di una "macchina politica" e non informativa, si deve riconoscere lo status di giornalista. Non glielo si può riconoscere. È un political hitman. È un altro mestiere. Non è un giornalista. Non è lui il problema. Il problema è il suo Capo. Come non è in discussione la libertà di informare o la libertà di fare un giornalismo d'inchiesta. Quel che si discute è la minaccia che precede il lavoro d'inchiesta; è un giornalismo, un finto giornalismo agitato, come nel caso di Emma Marcegaglia, quasi fosse un manganello per fare piegare il capo al malcapitato. Quel che è importante adesso sapere è quanti sono nella vita pubblica italiana coloro che, ricattati dal Capo con questi metodi, tacciono? O spaventati da questi metodi tacceranno? Con quale rassegnazione si potrà accettare un congegno che consegna al capo del governo la reputazione di chiunque, come una sovranità sulle nostre parole, pensieri, decisioni?
(11 ottobre 2010)
(fonte: Repubblica)
domenica 10 ottobre 2010
Big Pharma sotto inchiesta per corruzione: tangenti in sette paesi Tangenti a medici, politici, agenti di commercio, cliniche e ospedali.
'Big Pharma', pseudonimo che identifica l'insieme delle multinazionali del farmaco, finisce sotto inchiesta per corruzione in almeno 7 paesi tra cui, neanche a dirlo, l'Italia.
di Andrea Boretti - 7 Ottobre 2010
big pharma
Big Pharma sotto inchiesta per corruzione in almeno 7 paesi, tra cui l'Italia
Big Pharma - questo lo pseudonimo per identificare l'insieme delle multinazionali farmaceutiche - paga tangenti. La notizia di per sé non ha del sensazionale, da che mondo è mondo la lobby del farmaco è molto potente e tra i suoi mezzi di 'persuasione' si sa per certo che ci siano le mazzette. La notizia vera è che per la prima volta Big Pharma - in questo caso identificata con la Merck&Co., la Bristol-Myers Squibb, la GlaxoSmithKline e l'AstraZeneca - è sotto inchiesta per corruzione all'estero da parte della Sec, la Consob americana.
Avete capito bene, corruzione all'estero. La legge su cui si basa l'avviamento dell'inchiesta è il cosiddetto Foreign Corrupt Practices Act del 1977 che vieta alle compagnie quotate in borsa di pagare funzionari degli altri paesi per fare affari. I dettagli dell'inchiesta non sono noti ma si sa che tra i paesi sotto osservazione ci sono Brasile, Cina, Germania, Polonia, Russia, Arabia Saudita e, neanche a dirlo, l'Italia.
Si sa inoltre che quattro sono i reati fin da ora ipotizzati: tangenti ai medici dipendenti del governo per spingerli a comprare farmaci, pagamento di commissioni extra agli agenti di commercio per corrompere medici dipendenti dai governi, mazzette a cliniche ed ospedali per spingerli all'acquisto di determinati farmaci e infine la classica corruzione politica per spingere le commissioni sanitarie ad approvare l'uso di alcuni farmaci. Qualcuno di voi ricorda il vaccino contro l'influenza AH1N1? Ne riposano milioni in un qualche magazzino pagato dallo stato.
corruzione
Mazzette ai medici, mazzette ai politici, mazzette agli agenti di commercio. Quattro sono i reati fin da ora ipotizzati per Big Pharma
Ora le compagnie in questione già assicurano che stanno collaborando con gli inquirenti mettendo a disposizione tutti i loro libri, di certo c'è che l'operazione sa tanto di ulteriore mossa di moralizzazione del settore sanitario promossa dal Presidente Obama, dopo la tanto attesa riforma sanitaria che ha allargato la possibilità di avere un'assicurazione medica a 30 milioni di americani in più.
La lotta, nonostante la sbandierata collaborazione di Big Pharma, si presenta comunque come ardua, sia per gli interessi in gioco - solo in Europa le Big Four coprono un mercato che vale 103 miliardi di dollari - sia per le influenze delle multinazionali del farmaco che già bastonate una volta durante il governo Obama difficilmente si piegheranno ad una nuova sconfitta.
E l'Italia? Qui la notizia che in America è uscita sul Wall street Journal è stata lanciata e subito nascosta, al punto che basta una veloce ricerca online per capire come qualunque articolo legato all'argomento faccia riferimento ad un unico pezzo (quello di Angelo Aquaro di Repubblica). Big Pharma evidentemente è già al lavoro.
(fonte: ilcambiamento.it)
di Andrea Boretti - 7 Ottobre 2010
big pharma
Big Pharma sotto inchiesta per corruzione in almeno 7 paesi, tra cui l'Italia
Big Pharma - questo lo pseudonimo per identificare l'insieme delle multinazionali farmaceutiche - paga tangenti. La notizia di per sé non ha del sensazionale, da che mondo è mondo la lobby del farmaco è molto potente e tra i suoi mezzi di 'persuasione' si sa per certo che ci siano le mazzette. La notizia vera è che per la prima volta Big Pharma - in questo caso identificata con la Merck&Co., la Bristol-Myers Squibb, la GlaxoSmithKline e l'AstraZeneca - è sotto inchiesta per corruzione all'estero da parte della Sec, la Consob americana.
Avete capito bene, corruzione all'estero. La legge su cui si basa l'avviamento dell'inchiesta è il cosiddetto Foreign Corrupt Practices Act del 1977 che vieta alle compagnie quotate in borsa di pagare funzionari degli altri paesi per fare affari. I dettagli dell'inchiesta non sono noti ma si sa che tra i paesi sotto osservazione ci sono Brasile, Cina, Germania, Polonia, Russia, Arabia Saudita e, neanche a dirlo, l'Italia.
Si sa inoltre che quattro sono i reati fin da ora ipotizzati: tangenti ai medici dipendenti del governo per spingerli a comprare farmaci, pagamento di commissioni extra agli agenti di commercio per corrompere medici dipendenti dai governi, mazzette a cliniche ed ospedali per spingerli all'acquisto di determinati farmaci e infine la classica corruzione politica per spingere le commissioni sanitarie ad approvare l'uso di alcuni farmaci. Qualcuno di voi ricorda il vaccino contro l'influenza AH1N1? Ne riposano milioni in un qualche magazzino pagato dallo stato.
corruzione
Mazzette ai medici, mazzette ai politici, mazzette agli agenti di commercio. Quattro sono i reati fin da ora ipotizzati per Big Pharma
Ora le compagnie in questione già assicurano che stanno collaborando con gli inquirenti mettendo a disposizione tutti i loro libri, di certo c'è che l'operazione sa tanto di ulteriore mossa di moralizzazione del settore sanitario promossa dal Presidente Obama, dopo la tanto attesa riforma sanitaria che ha allargato la possibilità di avere un'assicurazione medica a 30 milioni di americani in più.
La lotta, nonostante la sbandierata collaborazione di Big Pharma, si presenta comunque come ardua, sia per gli interessi in gioco - solo in Europa le Big Four coprono un mercato che vale 103 miliardi di dollari - sia per le influenze delle multinazionali del farmaco che già bastonate una volta durante il governo Obama difficilmente si piegheranno ad una nuova sconfitta.
E l'Italia? Qui la notizia che in America è uscita sul Wall street Journal è stata lanciata e subito nascosta, al punto che basta una veloce ricerca online per capire come qualunque articolo legato all'argomento faccia riferimento ad un unico pezzo (quello di Angelo Aquaro di Repubblica). Big Pharma evidentemente è già al lavoro.
(fonte: ilcambiamento.it)
venerdì 8 ottobre 2010
La società dei minuti contati
Sempre meno tempo per se stessi
Uno studio in Gran Bretagna dimostra come il "me time", il tempo che dedichiamo a noi, sia in vertiginoso calo. "Colpa di una società sempre più competitiva". E di una cattiva gestione della tecnologia dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
La società dei minuti contati Sempre meno tempo per se stessi
LONDRA - Se non avete il tempo di leggere questo articolo, siete scusati. Anzi, siete normali: l'uomo e la donna d'oggi non riescono più a uscire dal ciclo lavoro-casa-famiglia. Sono sempre occupati a fare qualcosa per gli altri, e hanno sempre meno possibilità di fare qualcosa per se stessi. Il "me time", il tempo "per me", è in precipitoso declino: tra il 2005 e il 2010 è calato di otto ore e mezza a settimana. Ne rimane poco, pochissimo.
Secondo un sondaggio condotto in Gran Bretagna, un quinto degli adulti che lavorano hanno appena tre ore alla settimana di tempo dedicato a se stessi: per distrarsi, fare sport, leggere un libro, guardare un film, andare dal barbiere o dal parrucchiere, passeggiare, al limite riposarsi, dormire, godere il dolce far niente. Ma anche quelli che ne hanno un po' di più devono accontentarsi di poco: la media nazionale, nel Regno Unito, è di un'ora e 15 minuti di "me time" al giorno per gli uomini, 50 minuti al giorno per le donne.
Le statistiche così raccolte indicano che gli uomini hanno un po' più di tempo per se stessi delle donne (25 minuti di più al giorno, per la precisione), perché il carico di faccende domestiche e attenzioni da dare ai figli è più alto sulle madri che lavorano rispetto agli impegni dei padri. Le cifre del sondaggio, commissionato dalla società Windows Live Hotmail, dicono inoltre che le professioni in cui il "me time" è più ridotto sono nel campo delle "risorse umane" (medici, infermieri, assistenti sociali, insegnanti), della ricerca scientifica e dei media.
La colpa, secondo alcuni esperti consultati dal quotidiano Guardian di Londra, è di un carico lavorativo sempre più alto, in una società sempre più competitiva, dove settimane di 60 ore in ufficio stanno diventando sempre più spesso la norma. Non solo, anche chi lavora un po' meno in ufficio tende a portarsi il lavoro a casa, perché non ha fatto in tempo a fare tutto quello che doveva fare, perché si sente in colpa, perché è quello che ci si aspetta da lui/lei se è un lavoratore dipendente o che lui/lei ritengono comunque necessario se sono lavoratori autonomi o liberi professionisti. Un altro aspetto del calo del "me time" sono le tecnologie: con personal computer e telefonini super intelligenti, l'ufficio ci segue dovunque siamo, in treno, al bar, a casa, ed è più difficile per non dire impossibile staccarsene completamente anche quando la giornata di lavoro è terminata o comincia il week-end. "Spegnere il Blackberry, l'iPhone o il computer è diventato praticamente impossibile", commenta Fiona Fyfe, la sociologa che ha curato la ricerca.
Studi e dibattiti recenti sottolineano la differenza tra la generazione odierna, la generazione dei baby boomers, cioè i nati negli anni '50 e '60 durante il primo boom economico del dopoguerra, e quella dei loro genitori. Negli anni '60, un avviato professionista di 50 o 60 anni, in qualsiasi campo, che fosse un medico, un avvocato, un architetto, un ingegnere o un manager, poteva rallentare l'attività, godersi i frutti di una carriera di successo, dedicarsi finalmente, per l'appunto, a se stesso, per dare sfogo a hobby, sport, passioni che in precedenza aveva dovuto trascurare. Oggi la competizione sul lavoro è diventata tale che nessun cinquantenne o anche sessantenne si azzarda a ridurre la giornata o la settimana lavorativa, per timore di essere sorpassato e surclassato da altri pronti a sostituirlo.
Infine la diminuzione del "me time" è anche conseguenza di una maggiore mobilità sociale: si cambia casa, quartiere, città, talvolta nazione; si perde la rete degli aiuti familiari, i nonni, gli zii, i vicini di casa, pronti a dare una mano per occuparsi dei figli o di altre piccole incombenze. E così la famiglia tipo corre da mattina a sera inoltrata, presa dal lavoro, dai figli, dalle faccende domestiche, da bollette da pagare e lavoro portato a casa. Quando la giostra finalmente si ferma, resta un'oretta al giorno, se va bene, da dedicare a se stessi. Ma a quel punto molti sono troppo stanchi e stressati per fare qualsiasi cosa.
(05 ottobre 2010) (fonte: Repubblica)
Uno studio in Gran Bretagna dimostra come il "me time", il tempo che dedichiamo a noi, sia in vertiginoso calo. "Colpa di una società sempre più competitiva". E di una cattiva gestione della tecnologia dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
La società dei minuti contati Sempre meno tempo per se stessi
LONDRA - Se non avete il tempo di leggere questo articolo, siete scusati. Anzi, siete normali: l'uomo e la donna d'oggi non riescono più a uscire dal ciclo lavoro-casa-famiglia. Sono sempre occupati a fare qualcosa per gli altri, e hanno sempre meno possibilità di fare qualcosa per se stessi. Il "me time", il tempo "per me", è in precipitoso declino: tra il 2005 e il 2010 è calato di otto ore e mezza a settimana. Ne rimane poco, pochissimo.
Secondo un sondaggio condotto in Gran Bretagna, un quinto degli adulti che lavorano hanno appena tre ore alla settimana di tempo dedicato a se stessi: per distrarsi, fare sport, leggere un libro, guardare un film, andare dal barbiere o dal parrucchiere, passeggiare, al limite riposarsi, dormire, godere il dolce far niente. Ma anche quelli che ne hanno un po' di più devono accontentarsi di poco: la media nazionale, nel Regno Unito, è di un'ora e 15 minuti di "me time" al giorno per gli uomini, 50 minuti al giorno per le donne.
Le statistiche così raccolte indicano che gli uomini hanno un po' più di tempo per se stessi delle donne (25 minuti di più al giorno, per la precisione), perché il carico di faccende domestiche e attenzioni da dare ai figli è più alto sulle madri che lavorano rispetto agli impegni dei padri. Le cifre del sondaggio, commissionato dalla società Windows Live Hotmail, dicono inoltre che le professioni in cui il "me time" è più ridotto sono nel campo delle "risorse umane" (medici, infermieri, assistenti sociali, insegnanti), della ricerca scientifica e dei media.
La colpa, secondo alcuni esperti consultati dal quotidiano Guardian di Londra, è di un carico lavorativo sempre più alto, in una società sempre più competitiva, dove settimane di 60 ore in ufficio stanno diventando sempre più spesso la norma. Non solo, anche chi lavora un po' meno in ufficio tende a portarsi il lavoro a casa, perché non ha fatto in tempo a fare tutto quello che doveva fare, perché si sente in colpa, perché è quello che ci si aspetta da lui/lei se è un lavoratore dipendente o che lui/lei ritengono comunque necessario se sono lavoratori autonomi o liberi professionisti. Un altro aspetto del calo del "me time" sono le tecnologie: con personal computer e telefonini super intelligenti, l'ufficio ci segue dovunque siamo, in treno, al bar, a casa, ed è più difficile per non dire impossibile staccarsene completamente anche quando la giornata di lavoro è terminata o comincia il week-end. "Spegnere il Blackberry, l'iPhone o il computer è diventato praticamente impossibile", commenta Fiona Fyfe, la sociologa che ha curato la ricerca.
Studi e dibattiti recenti sottolineano la differenza tra la generazione odierna, la generazione dei baby boomers, cioè i nati negli anni '50 e '60 durante il primo boom economico del dopoguerra, e quella dei loro genitori. Negli anni '60, un avviato professionista di 50 o 60 anni, in qualsiasi campo, che fosse un medico, un avvocato, un architetto, un ingegnere o un manager, poteva rallentare l'attività, godersi i frutti di una carriera di successo, dedicarsi finalmente, per l'appunto, a se stesso, per dare sfogo a hobby, sport, passioni che in precedenza aveva dovuto trascurare. Oggi la competizione sul lavoro è diventata tale che nessun cinquantenne o anche sessantenne si azzarda a ridurre la giornata o la settimana lavorativa, per timore di essere sorpassato e surclassato da altri pronti a sostituirlo.
Infine la diminuzione del "me time" è anche conseguenza di una maggiore mobilità sociale: si cambia casa, quartiere, città, talvolta nazione; si perde la rete degli aiuti familiari, i nonni, gli zii, i vicini di casa, pronti a dare una mano per occuparsi dei figli o di altre piccole incombenze. E così la famiglia tipo corre da mattina a sera inoltrata, presa dal lavoro, dai figli, dalle faccende domestiche, da bollette da pagare e lavoro portato a casa. Quando la giostra finalmente si ferma, resta un'oretta al giorno, se va bene, da dedicare a se stessi. Ma a quel punto molti sono troppo stanchi e stressati per fare qualsiasi cosa.
(05 ottobre 2010) (fonte: Repubblica)
martedì 5 ottobre 2010
Caro monsignore
Caro monsignor Fisichella, vengo a Lei con questa mia per sottoporle un caso che vorrei mi aiutasse a contestualizzare. La qui presente ha condotto una vita abbastanza irreprensibile, e dunque a tratti anche piuttosto noiosa, assolvendo fin dalla tenerissima età tutti gli obblighi sacramentali da Voi previsti. Un cursus honorum che dal battesimo al matrimonio l’ha fatta stazionare una trentina di anni tra oratori, sacrestie e movimenti religiosi regolarmente approvati e da Voi riconosciuti. La scrivente ha stazionato, e non se ne è mai pentita sia chiaro, soprattutto in aule sgarrupate di parrocchie di frontiera nelle quali ha insegnato catechismo ma anche italiano e matematica per tenere impegnati – e in chiesa – ragazzini che diversamente sarebbero andati a finire, e qualcuno nonostante l’impegno della scrivente ci è finito lo stesso, nei riformatori.
Senonché due anni fa, dopo sedici anni di onorata carriera matrimoniale, suggellati da sacramento da Voi regolarmente celebrato e registrato nei Sacri Albi, la scrivente si è consensualmente separata dal suo legittimo nonché unico marito.
Marito che ha comunque cercato, nonostante l’epilogo, di amare e onorare come meglio ha potuto e finché le è stato possibile.
E arriviamo a questa benedetta udienza di separazione. Benedetta un tubo, caro monsignor Fisichella, perché appena si sono spalancate le porte del tribunale per me si sono automaticamente chiuse quelle della chiesa.
Lo status di “separata” è inconciliabile con quello di “cattolica praticante”. Perché un sacramento non si scioglie per definizione, non si scioglie mai, mi è stato giustamente spiegato, né è previsto uno sconto sulla definitività di quel “per tutta la vita”. Dunque se tu, cara, compi scelte che ti mettono fuori dalle regole della chiesa non puoi pretendere di continuare a farne parte. Indipendentemente dal contestuale curriculum che hai. Ineccepibile.
Dunque, caro monsignore, le riassumo ciò che lei ben sa: per me, da quel momento, niente più partecipazione ai sacramenti. A messa, si, ci posso andare ma la comunione no, non la posso più fare. Non posso più essere madrina di battesimi e cresime, né testimone ai matrimoni. Io sto fuori dalla porta. Posso sbirciare. E vi ringrazio. Ma non posso partecipare.
Ora però accade che un altro ex facente parte della stessa comunità ecclesiale, ugualmente separato, sia pubblicamente incline al turpiloquio e alla bestemmia, contestualizzata nell’ambito di una contestuale barzelletta sull’Olocausto, vada in giro vantandosi di cambiare una ragazza al giorno e non perda occasione per offendere le donne ed esaltare la pratica della promiscuità. Soprassiedo per carità di patria su tutto il resto. Questo signore, pensi a volte come è contestualizzata la vita, può fare – e la fa – la comunione. Io no.
Però sa una cosa, monsignore? Ora che ci penso, io non vorrei mai far parte di un club che annoverasse tra i suoi soci un signore del genere. Mi stupisce, e molto, che ci si trovi a suo agio Lei.
Ma questo è un problema suo. Che, ne sono certa, saprà adeguatamente contestualizzare.
Tiziana Ragni
(fonte: Europa)
Senonché due anni fa, dopo sedici anni di onorata carriera matrimoniale, suggellati da sacramento da Voi regolarmente celebrato e registrato nei Sacri Albi, la scrivente si è consensualmente separata dal suo legittimo nonché unico marito.
Marito che ha comunque cercato, nonostante l’epilogo, di amare e onorare come meglio ha potuto e finché le è stato possibile.
E arriviamo a questa benedetta udienza di separazione. Benedetta un tubo, caro monsignor Fisichella, perché appena si sono spalancate le porte del tribunale per me si sono automaticamente chiuse quelle della chiesa.
Lo status di “separata” è inconciliabile con quello di “cattolica praticante”. Perché un sacramento non si scioglie per definizione, non si scioglie mai, mi è stato giustamente spiegato, né è previsto uno sconto sulla definitività di quel “per tutta la vita”. Dunque se tu, cara, compi scelte che ti mettono fuori dalle regole della chiesa non puoi pretendere di continuare a farne parte. Indipendentemente dal contestuale curriculum che hai. Ineccepibile.
Dunque, caro monsignore, le riassumo ciò che lei ben sa: per me, da quel momento, niente più partecipazione ai sacramenti. A messa, si, ci posso andare ma la comunione no, non la posso più fare. Non posso più essere madrina di battesimi e cresime, né testimone ai matrimoni. Io sto fuori dalla porta. Posso sbirciare. E vi ringrazio. Ma non posso partecipare.
Ora però accade che un altro ex facente parte della stessa comunità ecclesiale, ugualmente separato, sia pubblicamente incline al turpiloquio e alla bestemmia, contestualizzata nell’ambito di una contestuale barzelletta sull’Olocausto, vada in giro vantandosi di cambiare una ragazza al giorno e non perda occasione per offendere le donne ed esaltare la pratica della promiscuità. Soprassiedo per carità di patria su tutto il resto. Questo signore, pensi a volte come è contestualizzata la vita, può fare – e la fa – la comunione. Io no.
Però sa una cosa, monsignore? Ora che ci penso, io non vorrei mai far parte di un club che annoverasse tra i suoi soci un signore del genere. Mi stupisce, e molto, che ci si trovi a suo agio Lei.
Ma questo è un problema suo. Che, ne sono certa, saprà adeguatamente contestualizzare.
Tiziana Ragni
(fonte: Europa)
Forse il malgoverno ci piace
Gli antichi romani sapevano che una volta dato al popolino un po’ di panem et circenses lo si poteva benissimo tenere a bada, così come succedeva con feste, farina e forca nella Napoli borbonica. Perché mai, quindi, dovremmo stupirci se continua ad essere così anche adesso? Le persone oggi sono, almeno in teoria, più colte di una volta e, sempre in teoria (e quando si tralascia il fatto che migliaia di comuni in Italia continuano a non avere l’ADSL), hanno un maggior accesso ad una libera informazione. Che cosa le porta, oltre ad un innato bisogno, ad affidarsi a qualcuno più grande e potente (che sia un Dio o un governo), che le protegga come nel primo caso o che gli dia l’illusione di farlo come nel secondo? Cosa le spinge a chiudere spesso gli occhi davanti alla verità o a certe evidentissime contraddizioni?
È davvero solo una questione di pigrizia mentale e di egoismo, o non si ha scampo da questo destino? E che dire del libero accesso all’informazione? È davvero così? Sì, stiamo scrivendo e leggendo, più o meno liberi di dire la nostra opinione. È vero quindi che continuiamo a vivere in una grande era, pensando a ciò che potrebbe succedere in futuro viste le mire di certi ministri. Ma siamo davvero convinti che, fino a quando i nostri stili di vita ci imporranno di stare occupati con attività più o meno utili a noi stessi e agli altri, inclusa a volte la nostra professione, possiamo sfruttare la fortuna, il privilegio di potere non essere condizionati? Se ad esempio stiamo fuori per lavoro dalla mattina alla sera, e così nostra moglie (o marito), mentre i figli (se ce ne sono) sono costantemente impegnati fra mille scuole, corsi, hobby, sport e compiti, come possiamo coltivare quell’indipendenza di pensiero che ci permetterà, sia oggi che un domani, di farci una nostra opinione riguardo a ciò che succede nel mondo, possibilmente senza (più) farci prendere per i fondelli?
Come è possibile che in un’era in cui si sta passando da un’economia dominata dal mercato e dai concetti di bene e proprietà, verso un’economia dominata da valori come la cultura, l’informazione e le relazioni, si possa trovare solo il tempo di riversarsi sul divano a guardare per un paio d’ore della tv spazzatura, o, nel migliore dei casi, film visti e ri-visti? È una situazione paradossale, se ci si pensa, quella in cui ci troviamo in questo momento: abbiamo la tecnologia per lavorare meno e dedicare più tempo a noi stessi e agli altri, ma non abbiamo tempo per niente e per nessuno spesso a causa del lavoro; si ha accesso a migliaia di fonti attendibili di informazione, soprattutto attraverso la rete, ma in molti continuano a credere alle frottole dei soliti tre telegiornali, in una situazione, quella italiana, a dir poco imbarazzante.
In Italia sta succedendo di tutto: vogliono costruire (e stanno costruendo) infrastrutture che non servono a nulla, riesumare l’energia nucleare, privatizzare acqua ed istruzione in un sistema di finta concorrenza, si vuole “modificare la Costituzione a propria immagine e somiglianza”! Insomma, se ne stanno combinando di cotte e di crude, e nell’”era dell’accesso” la gente continua a credere, o a voler credere, che tutto vada bene com’è, e che se si vuole vietare il latte crudo perché è diventato pericoloso da un giorno all’altro, è giusto che sia così perché “lo hanno detto tutti i telegiornali”.
Forse il problema va ben oltre i telegiornali e la corruzione dei politici, però, perché non è solo l’intera industria culturale di massa a volerci tenere nell’ignoranza più becera, ma siamo noi stessi, spesso, a volerlo, e ad averne bisogno. È sicuramente il dominio indiscusso della società dei consumi a mantenerci in questo perenne torpore, ma è anche la natura umana stessa a farlo. È per questo che Zygmunt Bauman afferma nel suo libro “Vita liquida” che – Se l’emancipazione, obiettivo ultimo della critica sociale, punta a sviluppare individui autonomi e indipendenti, capaci di giudicare e decidere consapevolmente per proprio conto, essa si oppone alla gigantesca “industria culturale”, ma anche alla spinta della moltitudine che quell’industria promette di gratificare, e più o meno illusoriamente gratifica, nelle sue aspirazioni.- Ed è per questo che, passando da quella che era una semplice riflessione alla filosofia vera e propria, Adorno affermava, un po’ bruscamente: -Il mondo vuole essere ingannato. Gli uomini, come afferma il detto comune, amano essere imbrogliati […]-; essi -avvertono che la loro vita sarebbe assolutamente insopportabile nel momento in cui smettessero di restare attaccati a soddisfazioni che non sono tali.-
Come ci si può sentire immuni da una tale verità? È sempre stato così e probabilmente sempre lo sarà. C’è però una differenza, al giorno d’oggi: che la privatizzazione dell’acqua, le scorie nucleari o gli organismi geneticamente modificati possono mettere molto più in apprensione di quanto non possano distrarre panem et circenses. A meno che si pensi che ormai tutto è “fiction”, e che nulla ci possa più toccare, visto che siamo più che abituati a vedere e sentire le peggiori brutture, senza fare una piega, attraverso uno schermo.
(fonte: Il Fatto Quotidiano)
È davvero solo una questione di pigrizia mentale e di egoismo, o non si ha scampo da questo destino? E che dire del libero accesso all’informazione? È davvero così? Sì, stiamo scrivendo e leggendo, più o meno liberi di dire la nostra opinione. È vero quindi che continuiamo a vivere in una grande era, pensando a ciò che potrebbe succedere in futuro viste le mire di certi ministri. Ma siamo davvero convinti che, fino a quando i nostri stili di vita ci imporranno di stare occupati con attività più o meno utili a noi stessi e agli altri, inclusa a volte la nostra professione, possiamo sfruttare la fortuna, il privilegio di potere non essere condizionati? Se ad esempio stiamo fuori per lavoro dalla mattina alla sera, e così nostra moglie (o marito), mentre i figli (se ce ne sono) sono costantemente impegnati fra mille scuole, corsi, hobby, sport e compiti, come possiamo coltivare quell’indipendenza di pensiero che ci permetterà, sia oggi che un domani, di farci una nostra opinione riguardo a ciò che succede nel mondo, possibilmente senza (più) farci prendere per i fondelli?
Come è possibile che in un’era in cui si sta passando da un’economia dominata dal mercato e dai concetti di bene e proprietà, verso un’economia dominata da valori come la cultura, l’informazione e le relazioni, si possa trovare solo il tempo di riversarsi sul divano a guardare per un paio d’ore della tv spazzatura, o, nel migliore dei casi, film visti e ri-visti? È una situazione paradossale, se ci si pensa, quella in cui ci troviamo in questo momento: abbiamo la tecnologia per lavorare meno e dedicare più tempo a noi stessi e agli altri, ma non abbiamo tempo per niente e per nessuno spesso a causa del lavoro; si ha accesso a migliaia di fonti attendibili di informazione, soprattutto attraverso la rete, ma in molti continuano a credere alle frottole dei soliti tre telegiornali, in una situazione, quella italiana, a dir poco imbarazzante.
In Italia sta succedendo di tutto: vogliono costruire (e stanno costruendo) infrastrutture che non servono a nulla, riesumare l’energia nucleare, privatizzare acqua ed istruzione in un sistema di finta concorrenza, si vuole “modificare la Costituzione a propria immagine e somiglianza”! Insomma, se ne stanno combinando di cotte e di crude, e nell’”era dell’accesso” la gente continua a credere, o a voler credere, che tutto vada bene com’è, e che se si vuole vietare il latte crudo perché è diventato pericoloso da un giorno all’altro, è giusto che sia così perché “lo hanno detto tutti i telegiornali”.
Forse il problema va ben oltre i telegiornali e la corruzione dei politici, però, perché non è solo l’intera industria culturale di massa a volerci tenere nell’ignoranza più becera, ma siamo noi stessi, spesso, a volerlo, e ad averne bisogno. È sicuramente il dominio indiscusso della società dei consumi a mantenerci in questo perenne torpore, ma è anche la natura umana stessa a farlo. È per questo che Zygmunt Bauman afferma nel suo libro “Vita liquida” che – Se l’emancipazione, obiettivo ultimo della critica sociale, punta a sviluppare individui autonomi e indipendenti, capaci di giudicare e decidere consapevolmente per proprio conto, essa si oppone alla gigantesca “industria culturale”, ma anche alla spinta della moltitudine che quell’industria promette di gratificare, e più o meno illusoriamente gratifica, nelle sue aspirazioni.- Ed è per questo che, passando da quella che era una semplice riflessione alla filosofia vera e propria, Adorno affermava, un po’ bruscamente: -Il mondo vuole essere ingannato. Gli uomini, come afferma il detto comune, amano essere imbrogliati […]-; essi -avvertono che la loro vita sarebbe assolutamente insopportabile nel momento in cui smettessero di restare attaccati a soddisfazioni che non sono tali.-
Come ci si può sentire immuni da una tale verità? È sempre stato così e probabilmente sempre lo sarà. C’è però una differenza, al giorno d’oggi: che la privatizzazione dell’acqua, le scorie nucleari o gli organismi geneticamente modificati possono mettere molto più in apprensione di quanto non possano distrarre panem et circenses. A meno che si pensi che ormai tutto è “fiction”, e che nulla ci possa più toccare, visto che siamo più che abituati a vedere e sentire le peggiori brutture, senza fare una piega, attraverso uno schermo.
(fonte: Il Fatto Quotidiano)
lunedì 4 ottobre 2010
Recensione: Le mafie nella cucina degli italiani Il business degli agroalimentari attira gli appetiti dei boss
Il business degli agroalimentari attira gli appetiti dei boss
L'appetito vien mangiando, e di appetiti, si sa, le mafie ne hanno tanti. Tuttavia la ricostruzione, fatta da Peppe Ruggiero nel suo ultimo libro: “L’ultima cena, a tavola con i boss” l’appetito lo toglie. Il business dell’agroalimentare, fiore all’occhiello dell’economia italiana è pesantemente gravato dalle organizzazioni criminali italiane. Ortaggi, verdure, carni, formaggi, pesce, caffè, direttamente o indirettamente subiscono condizionamenti mafiosi.
I boss non si fanno scrupoli, controllano buona parte della filiera alimentare, dalla produzione alla commercializzazione. Impongono i prodotti che, in barba alle leggi del mercato, vengono venduti in regime di monopolio criminale. Impongono i prezzi, e non avendo concorrenti, li gonfiano a loro piacimento. Impongono, anche, le ditte che i prodotti alimentari li trasportano, da sud a nord, verso i mercati ortofrutticoli italiani. Fondi, in provincia di Latina, in primis. I prodotti agricoli spesso, troppo spesso, provengono da imprese prestanome. Messe in piedi per riciclare denaro sporco, frutto dei più svariati traffici criminali. Prodotti, inoltre, che spesso sono loro stessi sporchi. L’appetito di denaro dei boss impone l’utilizzo della qualsiasi pur di ottenere il massimo profitto con la minima spesa. Escludendo, di fatto, il rispetto delle norme igieniche più elementari per la produzione e la lavorazione, nonchè il rispetto delle condizioni di lavoro di chi in quelle terre ci lavora.
Alimenti poco sicuri quindi, per chi li mangia e per chi li fa. Vongole e cozze pescate in zone inquinate, come succede nei pressi del porto di Marghera, una tra le zone più inquinate in Italia nelle cui acque sono state sversate: «500.000 tonnellate di sostanze inquinanti, tra le quali idrocarburi, diossina, mercurio e piombo» , ma vendute come prodotti di prima scelta e cucinate da famiglie ignare. Pesce di camorra a Napoli, dove i boss in interi quartieri hanno gestito il business dell’acqua di mare, utilizzata dai pescivendoli per mantenere il prodotto fresco. Peccato che l’acqua fornita dalle organizzazioni criminali fosse quella proveniente da tratti di mare inquinati e, caricata nei mezzi più svariati, autospurgo inclusi. Per non parlare delle bufale, origine della ricchezza e delle nefandezze dei clan dei Casalesi. Dalla mozzarella prodotta con latte di bufale infette, all’importazione di bovini malati destinati alla macellazione per il mercato nazionale. Mozzarelle che diventano blu e fette di carne di bufale malate.
Una truffa ai danni dello Stato, dei consumatori e dei tanti produttori che lavorano onestamente. «Latte di bufala mischiato con latte vaccino – scrive Ruggiero – con l’aggiunta di acqua ossigenata per “gonfiare” la mozzarella. Addirittura il ricorso alla calce per sbiancare il prodotto». Scene da film dell’orrore. Quelle raccontate da Peppe Ruggiero sono pagine che riprendono il percorso iniziato dall’autore con “Biutiful Cauntri”, il documentario scaturito nel bel mezzo dello scandalo rifiuti in Campania. Perché i boss in Campania, ma non solo in Campania, uccidono inquinando e distruggendo il territorio. Avvelenano la terra, le acque e l’aria con gli scarti peggiori delle lavorazioni industriali.
Distruggendo un settore, quello agroalimentare, da sempre orgoglio del nostro Paese per qualità. «La Campania è la vera Chernobyl italiana. Qui – scrive Ruggiero – in soli tre anni sono stati smaltiti circa 15 milioni di tonnellate di veleni». «Il tempo della denuncia è scaduto – continua – restiamo in attesa che lo Stato prenda coscienza e si renda credibile». Un duro atto di accusa, che attende, purtroppo ancora una chiara risposta da parte delle istituzioni. Una risposta tuttavia è arrivata. Dalla società responsabile. Le cooperative sorte sui terreni confiscati ai boss.
In Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Lazio. Il “giusto” di legalità è il marchio dei prodotti di Libera Terra. Una “spina nel fianco” delle organizzazioni criminali che segna la via di uno sviluppo sostenibile e “pulito”. E credibile.
L’ULTIMA CENA. A TAVOLA CON I BOSS
(fonte: liberainformazione)
L'appetito vien mangiando, e di appetiti, si sa, le mafie ne hanno tanti. Tuttavia la ricostruzione, fatta da Peppe Ruggiero nel suo ultimo libro: “L’ultima cena, a tavola con i boss” l’appetito lo toglie. Il business dell’agroalimentare, fiore all’occhiello dell’economia italiana è pesantemente gravato dalle organizzazioni criminali italiane. Ortaggi, verdure, carni, formaggi, pesce, caffè, direttamente o indirettamente subiscono condizionamenti mafiosi.
I boss non si fanno scrupoli, controllano buona parte della filiera alimentare, dalla produzione alla commercializzazione. Impongono i prodotti che, in barba alle leggi del mercato, vengono venduti in regime di monopolio criminale. Impongono i prezzi, e non avendo concorrenti, li gonfiano a loro piacimento. Impongono, anche, le ditte che i prodotti alimentari li trasportano, da sud a nord, verso i mercati ortofrutticoli italiani. Fondi, in provincia di Latina, in primis. I prodotti agricoli spesso, troppo spesso, provengono da imprese prestanome. Messe in piedi per riciclare denaro sporco, frutto dei più svariati traffici criminali. Prodotti, inoltre, che spesso sono loro stessi sporchi. L’appetito di denaro dei boss impone l’utilizzo della qualsiasi pur di ottenere il massimo profitto con la minima spesa. Escludendo, di fatto, il rispetto delle norme igieniche più elementari per la produzione e la lavorazione, nonchè il rispetto delle condizioni di lavoro di chi in quelle terre ci lavora.
Alimenti poco sicuri quindi, per chi li mangia e per chi li fa. Vongole e cozze pescate in zone inquinate, come succede nei pressi del porto di Marghera, una tra le zone più inquinate in Italia nelle cui acque sono state sversate: «500.000 tonnellate di sostanze inquinanti, tra le quali idrocarburi, diossina, mercurio e piombo» , ma vendute come prodotti di prima scelta e cucinate da famiglie ignare. Pesce di camorra a Napoli, dove i boss in interi quartieri hanno gestito il business dell’acqua di mare, utilizzata dai pescivendoli per mantenere il prodotto fresco. Peccato che l’acqua fornita dalle organizzazioni criminali fosse quella proveniente da tratti di mare inquinati e, caricata nei mezzi più svariati, autospurgo inclusi. Per non parlare delle bufale, origine della ricchezza e delle nefandezze dei clan dei Casalesi. Dalla mozzarella prodotta con latte di bufale infette, all’importazione di bovini malati destinati alla macellazione per il mercato nazionale. Mozzarelle che diventano blu e fette di carne di bufale malate.
Una truffa ai danni dello Stato, dei consumatori e dei tanti produttori che lavorano onestamente. «Latte di bufala mischiato con latte vaccino – scrive Ruggiero – con l’aggiunta di acqua ossigenata per “gonfiare” la mozzarella. Addirittura il ricorso alla calce per sbiancare il prodotto». Scene da film dell’orrore. Quelle raccontate da Peppe Ruggiero sono pagine che riprendono il percorso iniziato dall’autore con “Biutiful Cauntri”, il documentario scaturito nel bel mezzo dello scandalo rifiuti in Campania. Perché i boss in Campania, ma non solo in Campania, uccidono inquinando e distruggendo il territorio. Avvelenano la terra, le acque e l’aria con gli scarti peggiori delle lavorazioni industriali.
Distruggendo un settore, quello agroalimentare, da sempre orgoglio del nostro Paese per qualità. «La Campania è la vera Chernobyl italiana. Qui – scrive Ruggiero – in soli tre anni sono stati smaltiti circa 15 milioni di tonnellate di veleni». «Il tempo della denuncia è scaduto – continua – restiamo in attesa che lo Stato prenda coscienza e si renda credibile». Un duro atto di accusa, che attende, purtroppo ancora una chiara risposta da parte delle istituzioni. Una risposta tuttavia è arrivata. Dalla società responsabile. Le cooperative sorte sui terreni confiscati ai boss.
In Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Lazio. Il “giusto” di legalità è il marchio dei prodotti di Libera Terra. Una “spina nel fianco” delle organizzazioni criminali che segna la via di uno sviluppo sostenibile e “pulito”. E credibile.
L’ULTIMA CENA. A TAVOLA CON I BOSS
(fonte: liberainformazione)
Glutammato e recettori "Eccitotossine: i sapori pericolosi per la salute" di Marcello Pamio
Il glutammato o acido glutammico, da un punto di vista nutrizionale è un amminoacido definito “non essenziale”, poiché può essere sintetizzato dall'organismo stesso, dal punto di vista biochimico svolge un ruolo fondamentale nel metabolismo cellulare.
Negli alimenti, l'acido glutammico può essere presente in due forme: quella “legata” (ad altri aminoacidi) che contribuisce alla costruzione delle proteine, ed è quella più consistente, e quella “libera” come singolo aminoacido, quasi irrisoria.
Alcuni recenti studi hanno dimostrato che il glutammato presente nei cibi è la principale fonte di energia dell'intestino e che la sensazione di fame vorace è determinata proprio dalla presenza di questo aminoacido.
Del glutammato ingerito, solo una piccola percentuale viene assorbita dal corpo, il resto deve essere in qualche modo eliminato, con un dispendio energetico non indifferente! Ma non sempre si riesce a sbarazzarsi completamente del glutammato superfluo…
Introducendo con l’alimentazione una eccitotossina come il glutammato o l’aspartato, i loro livelli nel sangue aumentano da 20 fino a 40 volte.
Questo eccesso, oltre a stimolare tutti i recettori del corpo può creare serie problematiche alla salute.
Per capire questo meccanismo dobbiamo sapere che tutti i nostri organi (cervello, cuore, intestino, fegato, ecc.), hanno dei recettori specifici per il glutammato, perfino la barriera emato-encefalica del cervello.
Polmoni, ovaie, apparati di riproduzione e anche lo stesso sperma, le ghiandole adrenaliniche, le ossa e il pancreas sono controllate dai recettori del glutammato.
Si possono immaginare i recettori come delle speciali “serrature”, e le “chiavi” in grado di aprirle sarebbero alcune sostanze chimiche come appunto il glutammato e l’aspartato.
La barriera emato-encefalica, la cui funzione vitale è quella di proteggere il cervello da elementi nocivi esterni, è da sempre considerata una barriera insuperabile: una serratura inespugnabile.
Ma questo purtroppo non corrisponde al vero, perché tale barriera possiede recettori (serrature) all’interno e anche all’esterno della stessa, e quando arriva la chiave (glutammato e/o aspartato), queste “serrature chimiche” si aprono, schiudendo pericolosamente la porta a qualsivoglia sostanza tossica come i metalli pesanti, e non solo.
Continue aperture di questa barriera sono associate a patologie degenerative come i morbi di Parkinson, Huntington e Alzheimer (demenza senile), o comportamentali come il deficit di attenzione (A.D.D.), l’iperattività (A.D.H.D.), la sclerosi laterale, ecc.
I problemi non finiscono qua: assumendo con l’alimentazione un eccesso di glutammato, questo viene trasportato dal sangue in tutto il corpo, andando a stimolare tutti gli organi che hanno proprio quei recettori.
Capita che alcune persone dopo l’ingestione di queste sostanze hanno forti scariche di diarrea, proprio perché il glutammato stimola in questo caso i recettori che si trovano nell’esofago e nell’intestino. Altre persone invece, possono sviluppare la sindrome del colon irritabile e, se soffrono di reflusso esofageo, questo può peggiorare di molto.
Quando il fenomeno interessa il sistema cardiocircolatorio e in particolare il cuore, si possono scatenare infarti anche letali. Tutto l’intero sistema di conduzione del cuore è pieno di ogni sorta di recettori del glutammato!
Questa potrebbe essere una spiegazione del perché gli infarti sono in crescita esponenziale, sia tra persone giovani che tra sportivi.
La medicina ufficiale, come sempre non è in grado di spiegare questa vera e propria pandemia, mentre il neurochirurgo americano Russell Blaylock, ha le idee molto chiare in proposito.
La sua esperienza lo ha convinto a denunciare pubblicamente che quello che accomuna tutti questi casi, e cioè gli infarti tra giovani e sportivi, è un basso livello di magnesio nelle cellule e un alto livello di eccitotossine.
Quando il magnesio nel sangue è basso, i recettori del glutammato diventano ipersensibili e quindi le persone - specie gli atleti che non sopperiscono tale carenza dovuta ad un eccessivo sforzo fisico mediante una alimentazione sana - possono avere infarti improvvisi anche letali.
Riferendosi agli sportivi, il dottor Blaylock dice che: “se mangiano o bevono qualcosa che contiene glutammato (una diet-coke prima di allenarsi per esempio), si produce una iperattività cardiaca e potrebbero morire di infarto. L’infarto improvviso è dovuto a due cose: aritmia, molto più diffusa, e spasmi delle coronarie. Entrambe le cose potrebbero essere provocate dal glutammato”.[1]
I medici non conoscono i recettori del glutammato lungo tutto il condotto elettrico del cuore e nel suo muscolo.
Vi sono nel mondo occidentale milioni di persone che soffrendo di aritmia hanno cambiato il proprio stile di vita, ma nessuno dice loro di evitare glutammato e aspartame, che sono la maggior fonte di sovraccarico cardiaco! Nessuno glielo dice perché soprattutto i medici non prendono in considerazione questo serio problema.
Tutto quello appena detto per il glutammato vale anche per l’aspartato, che si trova principalmente nello zucchero chiamato aspartame, contenuto purtroppo in oltre 6000 prodotti alimentari diversi.
Il glutammato, come abbiamo visto prima, è presente in molti alimenti proteici come carni, salumi, uova, pesce, verdure, cereali, formaggi stagionati, ma anche in prodotti come glutammato monosodico (M.S.G. il comune dado per brodi), estratto di lievito, proteine vegetali idrolizzate, sodio caseinato, calcio caseinato, salse, cibi surgelati, prodotti da forno, piatti pronti, snack, maionese, ecc.
Spesso è presente nell’estratto di malto, brodo, condimenti e salse, mentre non è mai contenuto negli enzimi.
Un altro tassello importante per comprendere meglio il quadro generale sono le scoperte fatte nel 1989 dal dottor R.C. Henneberry e colleghi, i quali hanno dimostrato che se i neuroni sono deficitari di energia, diventano ipersensibili agli effetti tossici del glutammato e delle altre eccitotossine[2].
Usando neuroni dei cervelletto e cervello, i ricercatori hanno constatato che, quando i livelli di magnesio e glucosio erano correttamente presenti, il glutammato anche a livelli alti non causava la morte cellulare.
Viceversa, quando il magnesio era scarso, anche piccolissime dosi di eccitotossine, erano in grado di uccidere i neuroni.
Questa scoperta, fatta oltre vent’anni fa, è estremamente importante per cercare di evitare i danni delle tossine.
Nel capitolo successivo vedremo come il magnesio aiuta i “canali del calcio” a chiudersi e quindi a proteggere le cellule.
La cosa importante da ricordare è che il magnesio offre una considerabile protezione contro le eccitotossine, e questa protezione si riduce ulteriormente quando il livello di energia del cervello è basso…
(fonte: disinformazione.it)
Negli alimenti, l'acido glutammico può essere presente in due forme: quella “legata” (ad altri aminoacidi) che contribuisce alla costruzione delle proteine, ed è quella più consistente, e quella “libera” come singolo aminoacido, quasi irrisoria.
Alcuni recenti studi hanno dimostrato che il glutammato presente nei cibi è la principale fonte di energia dell'intestino e che la sensazione di fame vorace è determinata proprio dalla presenza di questo aminoacido.
Del glutammato ingerito, solo una piccola percentuale viene assorbita dal corpo, il resto deve essere in qualche modo eliminato, con un dispendio energetico non indifferente! Ma non sempre si riesce a sbarazzarsi completamente del glutammato superfluo…
Introducendo con l’alimentazione una eccitotossina come il glutammato o l’aspartato, i loro livelli nel sangue aumentano da 20 fino a 40 volte.
Questo eccesso, oltre a stimolare tutti i recettori del corpo può creare serie problematiche alla salute.
Per capire questo meccanismo dobbiamo sapere che tutti i nostri organi (cervello, cuore, intestino, fegato, ecc.), hanno dei recettori specifici per il glutammato, perfino la barriera emato-encefalica del cervello.
Polmoni, ovaie, apparati di riproduzione e anche lo stesso sperma, le ghiandole adrenaliniche, le ossa e il pancreas sono controllate dai recettori del glutammato.
Si possono immaginare i recettori come delle speciali “serrature”, e le “chiavi” in grado di aprirle sarebbero alcune sostanze chimiche come appunto il glutammato e l’aspartato.
La barriera emato-encefalica, la cui funzione vitale è quella di proteggere il cervello da elementi nocivi esterni, è da sempre considerata una barriera insuperabile: una serratura inespugnabile.
Ma questo purtroppo non corrisponde al vero, perché tale barriera possiede recettori (serrature) all’interno e anche all’esterno della stessa, e quando arriva la chiave (glutammato e/o aspartato), queste “serrature chimiche” si aprono, schiudendo pericolosamente la porta a qualsivoglia sostanza tossica come i metalli pesanti, e non solo.
Continue aperture di questa barriera sono associate a patologie degenerative come i morbi di Parkinson, Huntington e Alzheimer (demenza senile), o comportamentali come il deficit di attenzione (A.D.D.), l’iperattività (A.D.H.D.), la sclerosi laterale, ecc.
I problemi non finiscono qua: assumendo con l’alimentazione un eccesso di glutammato, questo viene trasportato dal sangue in tutto il corpo, andando a stimolare tutti gli organi che hanno proprio quei recettori.
Capita che alcune persone dopo l’ingestione di queste sostanze hanno forti scariche di diarrea, proprio perché il glutammato stimola in questo caso i recettori che si trovano nell’esofago e nell’intestino. Altre persone invece, possono sviluppare la sindrome del colon irritabile e, se soffrono di reflusso esofageo, questo può peggiorare di molto.
Quando il fenomeno interessa il sistema cardiocircolatorio e in particolare il cuore, si possono scatenare infarti anche letali. Tutto l’intero sistema di conduzione del cuore è pieno di ogni sorta di recettori del glutammato!
Questa potrebbe essere una spiegazione del perché gli infarti sono in crescita esponenziale, sia tra persone giovani che tra sportivi.
La medicina ufficiale, come sempre non è in grado di spiegare questa vera e propria pandemia, mentre il neurochirurgo americano Russell Blaylock, ha le idee molto chiare in proposito.
La sua esperienza lo ha convinto a denunciare pubblicamente che quello che accomuna tutti questi casi, e cioè gli infarti tra giovani e sportivi, è un basso livello di magnesio nelle cellule e un alto livello di eccitotossine.
Quando il magnesio nel sangue è basso, i recettori del glutammato diventano ipersensibili e quindi le persone - specie gli atleti che non sopperiscono tale carenza dovuta ad un eccessivo sforzo fisico mediante una alimentazione sana - possono avere infarti improvvisi anche letali.
Riferendosi agli sportivi, il dottor Blaylock dice che: “se mangiano o bevono qualcosa che contiene glutammato (una diet-coke prima di allenarsi per esempio), si produce una iperattività cardiaca e potrebbero morire di infarto. L’infarto improvviso è dovuto a due cose: aritmia, molto più diffusa, e spasmi delle coronarie. Entrambe le cose potrebbero essere provocate dal glutammato”.[1]
I medici non conoscono i recettori del glutammato lungo tutto il condotto elettrico del cuore e nel suo muscolo.
Vi sono nel mondo occidentale milioni di persone che soffrendo di aritmia hanno cambiato il proprio stile di vita, ma nessuno dice loro di evitare glutammato e aspartame, che sono la maggior fonte di sovraccarico cardiaco! Nessuno glielo dice perché soprattutto i medici non prendono in considerazione questo serio problema.
Tutto quello appena detto per il glutammato vale anche per l’aspartato, che si trova principalmente nello zucchero chiamato aspartame, contenuto purtroppo in oltre 6000 prodotti alimentari diversi.
Il glutammato, come abbiamo visto prima, è presente in molti alimenti proteici come carni, salumi, uova, pesce, verdure, cereali, formaggi stagionati, ma anche in prodotti come glutammato monosodico (M.S.G. il comune dado per brodi), estratto di lievito, proteine vegetali idrolizzate, sodio caseinato, calcio caseinato, salse, cibi surgelati, prodotti da forno, piatti pronti, snack, maionese, ecc.
Spesso è presente nell’estratto di malto, brodo, condimenti e salse, mentre non è mai contenuto negli enzimi.
Un altro tassello importante per comprendere meglio il quadro generale sono le scoperte fatte nel 1989 dal dottor R.C. Henneberry e colleghi, i quali hanno dimostrato che se i neuroni sono deficitari di energia, diventano ipersensibili agli effetti tossici del glutammato e delle altre eccitotossine[2].
Usando neuroni dei cervelletto e cervello, i ricercatori hanno constatato che, quando i livelli di magnesio e glucosio erano correttamente presenti, il glutammato anche a livelli alti non causava la morte cellulare.
Viceversa, quando il magnesio era scarso, anche piccolissime dosi di eccitotossine, erano in grado di uccidere i neuroni.
Questa scoperta, fatta oltre vent’anni fa, è estremamente importante per cercare di evitare i danni delle tossine.
Nel capitolo successivo vedremo come il magnesio aiuta i “canali del calcio” a chiudersi e quindi a proteggere le cellule.
La cosa importante da ricordare è che il magnesio offre una considerabile protezione contro le eccitotossine, e questa protezione si riduce ulteriormente quando il livello di energia del cervello è basso…
(fonte: disinformazione.it)
Caro Tony, è lì il dramma!
Tony Blair ieri ha letteralmente distrutto non solo la sinistra, ma l’intera politica italiana. “Posso dire che alcuni amici della sinistra italiana continuano a chiedermi: ma come facciamo a battere Silvio? E io dico loro: smettetela di parlare di scandali e cominciate a parlare di politica, ha detto l’ex primo ministro laburista britannico, intervenendo alla trasmissione ‘Che tempo che fa’ di Fabio Fazio. “Dovremmo avere fiducia nella gente, davvero – ha proseguito Blair – perch‚ legge, può essere divertita dalle notizie, dai titoloni, ma poi quando si vota tutto finisce nel cestino della carta straccia: nell’urna la gente sceglie chi propone la politica migliore per il futuro. Si vince così”.
Ed è inutile dirlo, ha ragione da vendere. Perché dalla grandissima vittoria del Popolo delle Libertà e della Lega, risalente ad appena due anni fa, non è stato certo il continuo fluire di scandali a intaccare la figura del premier. Ma soprattutto, è invece il litigio – tutto politico, anche se fondato pure sulle legittime aspirazioni di Gianfranco Fini – di oggi, a cominciare a smuovere qualcosa nell’attuale maggioranza e, ad occhio, sembrerebbe anche nel paese.
Ma soprattutto, è disperatamente vera un’altra cosa. Ovvero, che finora chi doveva garantire l’antagonismo sul piano politico è stato programmaticamente povero, e soprattutto ha mancato di indicare quella ‘politica migliore per il futuro’ che doveva essere necessaria, per superare Berlusconi sul piano del cosiddetto ‘concreto’.
Il dramma, però, ma Blair pare non essersene accorto, è che anche dall’altra parte, ad eccezione della Lega, non è che di politica ce ne sia poi tanta. Il cosiddetto dibattito interno è stato tra i motivi della rottura con Fini, e dopo il gesto non risulta che Berlusconi si sia pentito e abbia deciso di cambiare marcia.Di politica in Italia non è che ce ne sia molta, a destra come a sinistra. Caro Tony, è lì il dramma!
(fonte: giornalettismo.it)
Ed è inutile dirlo, ha ragione da vendere. Perché dalla grandissima vittoria del Popolo delle Libertà e della Lega, risalente ad appena due anni fa, non è stato certo il continuo fluire di scandali a intaccare la figura del premier. Ma soprattutto, è invece il litigio – tutto politico, anche se fondato pure sulle legittime aspirazioni di Gianfranco Fini – di oggi, a cominciare a smuovere qualcosa nell’attuale maggioranza e, ad occhio, sembrerebbe anche nel paese.
Ma soprattutto, è disperatamente vera un’altra cosa. Ovvero, che finora chi doveva garantire l’antagonismo sul piano politico è stato programmaticamente povero, e soprattutto ha mancato di indicare quella ‘politica migliore per il futuro’ che doveva essere necessaria, per superare Berlusconi sul piano del cosiddetto ‘concreto’.
Il dramma, però, ma Blair pare non essersene accorto, è che anche dall’altra parte, ad eccezione della Lega, non è che di politica ce ne sia poi tanta. Il cosiddetto dibattito interno è stato tra i motivi della rottura con Fini, e dopo il gesto non risulta che Berlusconi si sia pentito e abbia deciso di cambiare marcia.Di politica in Italia non è che ce ne sia molta, a destra come a sinistra. Caro Tony, è lì il dramma!
(fonte: giornalettismo.it)
Il sogno dell'elite di controllo mentale è realtà
Il SISDE dà ragione ai “complottisti”. Smentito il CICAP
Un duro colpo per il CICAP e per tutti coloro che si affannano a ridicolizzare chi da anni cerca di far luce sugli aspetti poco noti di alcuni progetti di intelligence. Di siti dove si parla delle moderne possibilità raggiunte dalla Tecnologia del Controllo ne è pieno il web, ma se a dirlo è il SISDE sul proprio sito, il discorso cambia. E fa riflettere. Sul numero 2 del 2010 della rivista Gnosis, rivista italiana di intelligence, troviamo l’articolo Un software per la lettura dell’intelligenza; “non deve stupire più di tanto – leggiamo – anche l’annuncio di qualche mese fa, sulla realizzazione di un software messo a punto da Intel (azienda statunitense, leader nel settore della realizzazione di microprocessori), in grado di effettuare, almeno in parte, la lettura del pensiero della mente umana. Il funzionamento del dispositivo è piuttosto semplice (si fa per dire!) e si basa sull’utilizzo di un sistema impiegato per effettuare le risonanze magnetiche. In sostanza il congegno effettua una mappatura delle aree del cervello interessate alla generazione delle parole, in maniera similare a quanto fanno le applicazioni che traducono la voce in comandi e testi. È opportuno ricordare che l’attività cerebrale del cervello si basa su onde elettriche (onde cerebrali) che generano appunto l’attività elettrica cerebrale. Non a caso, mediante l’elettroencefalogramma (EEG) è possibile registrare l’attività elettrica dell’encefalo. Quindi il dispositivo della Intel è in grado di identificare le parole “pensate” dalla mente dell’uomo, di abbinare loro un significato elettrico cerebrale e di costruire, mediante una procedura di apprendimento, una sorta di mappa di collegamento tra le parole pensate e i relativi comandi da generare”.
L’articolo prosegue collegando gli studi sull’attività elettrica del cervello alle presunte facoltà in esso nascoste, come la telepatia e la visione a distanza. Si citano, quindi, vari studi condotti sull’argomento, quali il progetto PEAR sulla forza del pensiero, o il progetto STARGATE sulla visione a distanza, chiudendo con l’augurio che “per quanto concerne lo sviluppo di sistemi di lettura del pensiero, di certo ci vorranno ancora diversi anni affinché si possa parlare di sistemi elettronici di psycho-intelligence, ma la chiave della porta di accesso alla mente umana, è stata realizzata. Per l’intelligence, quindi, si configura una nuova era. Forse siamo nelle condizioni di poter inaugurare una nuova metodologia di raccolta delle informazioni”. E’ il caso di dire che ne vedremo delle belle. A distanza.
Un secondo articolo, sempre ospitato su Gnosis (n. 4/2010), è ancora più esplicito e molto, molto meno “romantico”: “Microchip nel cervello, privacy a rischio”. Qui non si parla di presunte facoltà del cervello umano, ma semplicemente del modo di estrarre informazioni, anche se, si sottolinea, garantendo la privacy! Come si spiega nell’introduzione, “la raccolta continua e incessante di dati per il futuro è affidata allo sviluppo delle tecnologie a radiofrequenze (RFId – Radio Frequency Identification), applicabili all’essere umano e fruibili per ottenere informazioni utili in tempo reale. Sviluppando questo metodo, si potrebbe arrivare molto più lontano, soprattutto utilizzando la tecnologia delle frequenze elettromagnetiche del corpo umano.
Un futuro che, non molto vicino ma neppure troppo lontano, consentirà un flusso infinito di informazioni in tempo reale: addirittura la lettura del pensiero”. L’articolo precisa che “negli Stati Uniti la NSA (National Security Agency), nell’ambito della ricerca delle metodologie per raccolta delle informazioni che si basa sui segnali (SIGINT – Signals Intelligence), ha attivato, da tempo, un programma di ricerca per la codifica delle onde EMF (ElectroMagnetic Frequencies). Va sottolineato che la bontà del sistema SIGINT risiede nella certezza che ogni ambiente è pervaso da correnti elettriche che generano un campo magnetico che origina, di conseguenza, onde EMF. Gli studi condotti dalla NSA, in collaborazione con il Dipartimento della Difesa, hanno dimostrato che queste onde vengono generate anche dal corpo umano, possono essere intercettate ed elaborate minuziosamente da software specifici, ospitati anche da piccoli personal computer”. C’è di che stare tranquilli, quindi: niente più rapimenti alla “Abu Omar” sui cieli di mezza Europa, niente più torture per estorcere informazioni, basterà puntarci un’antenna contro (o dentro?). Ancora non ci credete? Eppure L’EMF Brain Stimulation è un dispositivo progettato per le ricerche nel settore neurologico, soprattutto nello sviluppo delle “radiazioni bioelettriche” (EMF non ionizzate). Queste tecnologie (segrete) sono state catalogate dalla NSA come “Radiazioni intelligenti”, meglio identificate come “informazioni elettromagnetiche involontarie diffuse nell’ambiente non radioattive o nucleari”.
Il dispositivo EMF quindi sembra poter operare su una banda di frequenze in grado di “colloquiare” con il sistema nervoso centrale dell’uomo. Inoltre, sembra che questo sistema sia stato già utilizzato per applicazioni di tipo “bring-to-computer-links”, con velivoli dell’Aeronautica Militare statunitense. Attraverso elettrostimolazioni neuronali sarebbe possibile interagire direttamente con l’avionica del velivolo da combattimento e sembra che alcuni esperimenti di “controllo cerebrale a distanza” siano stati condotti dagli UAV utilizzati durante la campagna irachena per la ricognizione del campo di battaglia”. Di certo due articoli illuminanti (e traccianti!) che rendono superfluo il CICAP dal momento che complottismo, scienza e paranormale si fondono sempre più in una fosca realtà. Ma a noi piace vedere il lato positivo: non occorreranno più manifestazioni per ostentare il dissenso: i governi avranno la tecnologia per leggerlo nella nostra testa. A quando il televoto neuronale?
G. P.
Rete dei Cittadini
(fonte: Dietro il Sipario)
Un duro colpo per il CICAP e per tutti coloro che si affannano a ridicolizzare chi da anni cerca di far luce sugli aspetti poco noti di alcuni progetti di intelligence. Di siti dove si parla delle moderne possibilità raggiunte dalla Tecnologia del Controllo ne è pieno il web, ma se a dirlo è il SISDE sul proprio sito, il discorso cambia. E fa riflettere. Sul numero 2 del 2010 della rivista Gnosis, rivista italiana di intelligence, troviamo l’articolo Un software per la lettura dell’intelligenza; “non deve stupire più di tanto – leggiamo – anche l’annuncio di qualche mese fa, sulla realizzazione di un software messo a punto da Intel (azienda statunitense, leader nel settore della realizzazione di microprocessori), in grado di effettuare, almeno in parte, la lettura del pensiero della mente umana. Il funzionamento del dispositivo è piuttosto semplice (si fa per dire!) e si basa sull’utilizzo di un sistema impiegato per effettuare le risonanze magnetiche. In sostanza il congegno effettua una mappatura delle aree del cervello interessate alla generazione delle parole, in maniera similare a quanto fanno le applicazioni che traducono la voce in comandi e testi. È opportuno ricordare che l’attività cerebrale del cervello si basa su onde elettriche (onde cerebrali) che generano appunto l’attività elettrica cerebrale. Non a caso, mediante l’elettroencefalogramma (EEG) è possibile registrare l’attività elettrica dell’encefalo. Quindi il dispositivo della Intel è in grado di identificare le parole “pensate” dalla mente dell’uomo, di abbinare loro un significato elettrico cerebrale e di costruire, mediante una procedura di apprendimento, una sorta di mappa di collegamento tra le parole pensate e i relativi comandi da generare”.
L’articolo prosegue collegando gli studi sull’attività elettrica del cervello alle presunte facoltà in esso nascoste, come la telepatia e la visione a distanza. Si citano, quindi, vari studi condotti sull’argomento, quali il progetto PEAR sulla forza del pensiero, o il progetto STARGATE sulla visione a distanza, chiudendo con l’augurio che “per quanto concerne lo sviluppo di sistemi di lettura del pensiero, di certo ci vorranno ancora diversi anni affinché si possa parlare di sistemi elettronici di psycho-intelligence, ma la chiave della porta di accesso alla mente umana, è stata realizzata. Per l’intelligence, quindi, si configura una nuova era. Forse siamo nelle condizioni di poter inaugurare una nuova metodologia di raccolta delle informazioni”. E’ il caso di dire che ne vedremo delle belle. A distanza.
Un secondo articolo, sempre ospitato su Gnosis (n. 4/2010), è ancora più esplicito e molto, molto meno “romantico”: “Microchip nel cervello, privacy a rischio”. Qui non si parla di presunte facoltà del cervello umano, ma semplicemente del modo di estrarre informazioni, anche se, si sottolinea, garantendo la privacy! Come si spiega nell’introduzione, “la raccolta continua e incessante di dati per il futuro è affidata allo sviluppo delle tecnologie a radiofrequenze (RFId – Radio Frequency Identification), applicabili all’essere umano e fruibili per ottenere informazioni utili in tempo reale. Sviluppando questo metodo, si potrebbe arrivare molto più lontano, soprattutto utilizzando la tecnologia delle frequenze elettromagnetiche del corpo umano.
Un futuro che, non molto vicino ma neppure troppo lontano, consentirà un flusso infinito di informazioni in tempo reale: addirittura la lettura del pensiero”. L’articolo precisa che “negli Stati Uniti la NSA (National Security Agency), nell’ambito della ricerca delle metodologie per raccolta delle informazioni che si basa sui segnali (SIGINT – Signals Intelligence), ha attivato, da tempo, un programma di ricerca per la codifica delle onde EMF (ElectroMagnetic Frequencies). Va sottolineato che la bontà del sistema SIGINT risiede nella certezza che ogni ambiente è pervaso da correnti elettriche che generano un campo magnetico che origina, di conseguenza, onde EMF. Gli studi condotti dalla NSA, in collaborazione con il Dipartimento della Difesa, hanno dimostrato che queste onde vengono generate anche dal corpo umano, possono essere intercettate ed elaborate minuziosamente da software specifici, ospitati anche da piccoli personal computer”. C’è di che stare tranquilli, quindi: niente più rapimenti alla “Abu Omar” sui cieli di mezza Europa, niente più torture per estorcere informazioni, basterà puntarci un’antenna contro (o dentro?). Ancora non ci credete? Eppure L’EMF Brain Stimulation è un dispositivo progettato per le ricerche nel settore neurologico, soprattutto nello sviluppo delle “radiazioni bioelettriche” (EMF non ionizzate). Queste tecnologie (segrete) sono state catalogate dalla NSA come “Radiazioni intelligenti”, meglio identificate come “informazioni elettromagnetiche involontarie diffuse nell’ambiente non radioattive o nucleari”.
Il dispositivo EMF quindi sembra poter operare su una banda di frequenze in grado di “colloquiare” con il sistema nervoso centrale dell’uomo. Inoltre, sembra che questo sistema sia stato già utilizzato per applicazioni di tipo “bring-to-computer-links”, con velivoli dell’Aeronautica Militare statunitense. Attraverso elettrostimolazioni neuronali sarebbe possibile interagire direttamente con l’avionica del velivolo da combattimento e sembra che alcuni esperimenti di “controllo cerebrale a distanza” siano stati condotti dagli UAV utilizzati durante la campagna irachena per la ricognizione del campo di battaglia”. Di certo due articoli illuminanti (e traccianti!) che rendono superfluo il CICAP dal momento che complottismo, scienza e paranormale si fondono sempre più in una fosca realtà. Ma a noi piace vedere il lato positivo: non occorreranno più manifestazioni per ostentare il dissenso: i governi avranno la tecnologia per leggerlo nella nostra testa. A quando il televoto neuronale?
G. P.
Rete dei Cittadini
(fonte: Dietro il Sipario)
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